La seconda parte del nostro giro nel Perù comincia sulle sponde del Titicaca, il lago navigabile più alto del mondo nonché il più grande dell’America Latina. Si trova al confine con la Bolivia, che ne possiede circa un terzo, e in genere si visita a partire dalla città di Puno, situata a 3800 metri di altezza. Puno non merita una visita molto approfondita: è soprattutto il porto dal quale ci si imbarca per raggiungere, con una breve e suggestiva navigazione, le prime isole visitabili, quelle delle famiglie Uros.
Le isole galleggianti degli Uros
Si tratta di un piccolo arcipelago composto da una novantina di isole galleggianti, grandi e ingegnose zattere ricavate da una pianta detta “totora” o “chullu”(tecnicamente è lo Schoenoplectus californicus), le cui canne sono assemblate e costantemente rinnovate per dare una base alle capanne di questa tribù, che parla la lingua aymara. La popolazione, in realtà, vive da qualche anno sulla terraferma, ma ogni mattina ricrea con una certa convinzione lo stile di vita semplice dei decenni scorsi. Dopo la vendita di oggetti di artigianato e il simpatico giro su una sorta di gondola locale, la cosa più divertente e sconcertante è la canzone con la quale le donne della tribù salutano i turisti in partenza per le tappe successive: “Vamos a la playa”, che nessuno di loro sospetta sia un celebre successo degli italianissimi Righeira (1983). Quando lo abbiamo detto alla guida, ci ha guardato con una certa incredulità.
L’isola di Taquile
Navigazione molto più lunga ma altrettanto piacevole per l’isola di Taquile, dal clima temperato per tutto l’anno e perciò abitata fin dall’epoca preincaica. Da una cinquantina d’anni è stata affidata completamente ai suoi abitanti, che nominano gli amministratori locali e cercano di mantenere le antiche abitudini fra le quali la tessitura, che è stata riconosciuta come patrimonio Unesco. Dopo l’approdo si sale lungo un meraviglioso sentiero panoramico fino alla piazza centrale del paese, e poi ci si distribuisce fra i numerosi ristoranti che propongono una cucina semplice e genuina. Pranzare con la vista sul lago è un’esperienza indimenticabile: non certo per il cibo, ma per la vista e l’eredità dei secoli passati che avvolge l’isola e i suoi abitanti.
La necropoli di Sillustani e il sito di Huari
Tornati sulla terraferma si lascia Puno e dopo una mezz’ora ci si ferma in uno straordinario sito archeologico affacciato sulla laguna di Umayo: la necropoli di Sillustani, dove i nobili della popolazione preincaica dei Colla, e in seguito anche degli Inca, furono sepolti in tombe circolari alte fino a 12 metri, che noi potremmo vagamente paragonare ai nuraghi. In realtà la tecnica costruttiva era completamente diversa e altrettanto ingegnosa, ma il risultato è di assoluta e strabiliante bellezza, anche grazie al contesto naturale nel quale il sito si trova.
Ancora parecchi chilometri e si passa per Raqchi, sito archeologico Huari molto grande e bello. Spicca al centro della cittadina ciò che resta della struttura del tempio di Wiracocha, ma anche la concezione urbanistica e la posizione vicino a un corso d’acqua sono interessanti.
Sulla “Via del Barocco Andino”
Ultima tappa, ancora più sorprendente, è Andahauylillas: siamo sulla “Via del Barocco Andino”, un bel progetto di valorizzazione turistica, culturale e spirituale lanciato dai Gesuiti per far conoscere alcune fra le chiese più ricche e sorprendenti del Perù. Quelle di Cuzco non faticano a ricevere la dovuta attenzione dei viaggiatori, ma quella di San Pedro, al centro di questo piccolo e sperduto villaggio, deve rivendicare ogni giorno la sua fama di “piccola Sistina” o “Sistina d’America”. Fu costruita dai gesuiti all’inizio del Seicento, con uno stile che esternamente non impressiona. L’interno, invece, è coperto fino al tetto da affreschi spesso arricchiti da lamine d’oro, e impreziosito anche da tele, intagli e altre opere di raffinata fattura, tutte della stessa epoca. Alcune iscrizioni, a dimostrazione di quanto questa chiesa fosse fondamentale nell’opera di evangelizzazione della Compagnia di Gesù, sono in cinque lingue: non solo quelle dei dominatori (latino e spagnolo), ma anche quelle dei popoli colonizzati (quechua e aymara, tuttora diffuse e parlate, e puquina, lingua quasi estinta). Chiese come questa erano vissute dai fedeli come emblemi di quel sincretismo religioso che ha consentito al cristianesimo di radicarsi nel continente senza cancellare riti e credenze precedenti, ma anzi innestandosi su di essi.
Machu Picchu
E dopo tanto girovagare ecco il Machu Picchu, la cui scoperta è stata attribuita finora all’archeologo americano Hiram Bingham, che vi mise piede nel 1911 e trovò poche famiglie di indigeni che vivacchiavano fra le rovine della mitica città inca, a 2500 metri di altitudine. Se però da un lato i peruviani rivendicano la scoperta per il connazionale Agustìn Lizàrraga nel 1902, dall’altro a individuare il presunto Eldorado – che invece di oro non recava traccia! – sarebbe stato tre decenni prima l’avventuriero tedesco Berns il quale, deluso dall’assenza del vagheggiato tesoro, decise sostanzialmente di tacere la notizia e di sfruttarla soprattutto ai fini di una truffa.
Alla scoperta della “città ideale”
Sta di fatto che ancor oggi, per chi approda la prima volta al sito, l’esperienza è fortissima: sveglia alle 4 di mattina, partenza alle 5 in bus dalla cittadina di Aguas Calientes, arrivo alla biglietteria di Machu Picchu pochi minuti prima dell’apertura e ingresso, con qualche centinaio di altri mattinieri, alle 6 in punto. Il clima è fresco, non ci sono zanzare e il luogo è davvero magico, con una corona di altre montagne verdissime che spuntano qua e là bucando una spessa coltre di nubi. Nelle prime foto domina il biancastro di nuvole e nebbia, poi emerge soprattutto il verde della vegetazione quasi amazzonica (siamo fra le Ande e l’Amazzonia peruviana), infine compare il grigio delle pietre con le quali, intorno al 1440, gli Inca edificarono questa città ideale pochi decenni prima dell’invasione spagnola, che ne provocò il rapido e definitivo abbandono. Le immagini della cittadella sono tra le più diffuse nel mondo, ma trovarcisi dentro, sia pure in mezzo a una folla internazionale di selfisti in delirio, è comunque incredibilmente emozionante. Non mi dilungo sui particolari delle rovine, ma prestate attenzione anche alle montagne circostanti e al fiume Urubamba nel fondo valle: sono altrettanto affascinanti.
Aguas Calientes e la città inca di Ollantaytambo
Il sito Unesco meriterebbe ore di visita, ma un po’ la stanchezza un po’ i tempi di accesso limitati (per dare spazio ai visitatori meno mattinieri), impongono di tornare per pranzo ad Aguas Calientes, cittadina che vive la bolla speculativa di tutti i luoghi che sono porta d’accesso obbligata a grandi mete turistiche. E dunque, alberghi costruiti in fretta, ristoranti dai menù o scontati o improbabili, e per contro il tentativo – lodevole e originale – del Comune di creare nel centro una serie di grandi sculture urbane che illustrino la storia e la mitologia inca. Scultori locali hanno già realizzate molte di queste “Cronicas en piedra”, con risultati interessanti (www.munimachupicchu.gov.pe ).
Aguas Calientes si raggiunge e si lascia con un treno, che percorre come un serpentello tutta la valle dell’Urubamba, fino alla città inca di Ollantaytambo. Anche questa ferrovia è una piacevole scoperta: il viaggio è comodo e apparentemente sicuro (a parte un recente incidente), spesso in carrozze panoramiche e sempre con un servizio di ristoro forse migliore che sul Frecciarossa. In un’oretta, passando in mezzo ad arditi terrazzamenti che trasformarono il canyon in una vasta zona agricola, si arriva alla cittadina e al sito archeologico di Ollantaytambo: rilassante e ordinata la prima, vera e propria testimonianza vivente del passato con le sue stradine lastricate e l’assetto idrico originario; spettacolare e originale il secondo, sul fianco di una collina che domina la vallata, con aspetti che non sfigurano anche se paragonati al più famoso Machu Picchu.
Cuzco, l’antica capitale inca
Il nostro tour si conclude a Cuzco, l’antica capitale inca, situata a 3400 metri di altitudine e inserita fra i siti Unesco dal 1983. Il nome della città, in lingua quechua, significa ombelico: il centro del mondo, in altre parole!
Il centro storico è stupendo, con tre piazze attigue che occupano migliaia di metri quadrati con una profusione di facciate barocche, portici, strade vivacissime, mercati e negozietti. Da non perdere la Cattedrale, eretta nel sedicesimo secolo poco dopo la conquista spagnola sulle fondamenta del palazzo inca di Wiracocha, o la chiesa della Compagnia di Gesù. Ma un po’ tutto il centro di Cuzco è frutto della “riscrittura urbana” della capitale inca a opera dei nuovi padroni: una storia di sofferenze e umiliazioni, da cui però è scaturito un insieme che oggi produce un afflusso costante di turisti, attirati anche dal non lontano sito di Machu Picchu.
Il sito archeologico inca di Sacsayhuamàn
Più vicino ancora, però, è il sito archeologico inca di Sacsayhuamàn, costruito alla fine del 1400 sulla collina di Carmenca che domina la città di Cuzco con i suoi 3700 metri di altitudine. Settant’anni di lavori ciclopici, per creare una pianta urbana a forma di testa di puma (Cuzco rappresentava invece il corpo dell’animale), con cinte murarie altissime realizzate sovrapponendo pietre enormi tagliate alla perfezione. Molte pietre sono state poi trasferite a Cuzco per realizzare le opere successive alla conquista, ma ciò che resta del sito è comunque impressionante per la sua ampiezza e maestosità, e lascia immaginare l’imponenza delle cerimonie religiose che vi si svolsero per qualche decennio, fino all’invasione spagnola.
Non è un caso, forse, che a pochi chilometri da questo importante centro di culto ci sia capitato di incontrare uno sciamano. Esperienza interessante, alla quale è difficile arrivare privi di scetticismo e pregiudizi, ma che non lascia indifferenti. La visione del mondo delle popolazioni indigene era complessa e ricca, impossibile da liquidare come ingenua o primitiva, ma anche difficile da comprendere bene in pochi giorni di viaggio.
La cucina peruviana
Più facile, invece, immergersi nei sapori straordinari della cucina peruviana, anche grazie alla mediazione dello chef Rafael Rodriguez del “Nuna” di Porto Cervo: avendo guidato dal punto di vista gastronomico il viaggio realizzato dall’agenzia milanese Vuela (www.vuela.it), è stato coprotagonista di un eccezionale pranzo a quattro mani realizzato nel ristorante “Cicciolina” in calle Triunfo 393 (www.cicciolinacuzco.com ). Non fatevi fuorviare dal nome, che a noi italiani sembra un po’ trash: si tratta di uno dei migliori locali del Perù, grazie allo chef italoargentino Luis Alberto Sacilotto, che con Rodriguez ha proposto il meglio della sua carta, dal ceviche alla causa, dalle carni di alpaca e lama ai dolci a base di frutta tropicale. Per chiudere, naturalmente, un pisco sour da manuale!