Vitamina D: una sua carenza può causare problemi alle ossa, ma, tranne in determinate condizioni, come una gravidanza, o in presenza di fattori di rischio e patologie accertate, come l’osteoporosi, prendere integratori non serve, rappresenta un costo inutile per il cittadino e può anche diventare un rischio. Di certo, non è efficace per prevenire malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e tumori.
E’ questa, in sintesi, la motivazione con cui, nei giorni scorsi, l’Agenza Italiana del Farmaco ha modificato, con una nota, “le modalità di prescrivibilità a carico del Servizio sanitario nazionale (Ssn) dei farmaci classificati in fascia A a base di colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo per la prevenzione e il trattamento della carenza di Vitamina D nella popolazione adulta (>18 anni)”.
Stop, quindi, alla prescrizione generalizzata del dosaggio della vitamina D e alle ricette rosse in assenza di precise malattie. Un’indicazione che ha scatenato polemiche, in seguito alle quali l’AIFA è tornata sull’argomento, chiarendo che “le limitazioni introdotte attraverso la nota si riferiscono esclusivamente alla prevenzione e al trattamento della carenza di Vitamina D nella popolazione adulta”. “Restano confermate – si legge nella precisazione – le condizioni di rimborsabilità a carico del Ssn di tali farmaci per i pazienti pediatrici, in attesa di un analogo processo di rivalutazione”.
Rimane comunque valido l’invito a non abusare di questo supplemento che, come si legge nel vademecum al cittadino stilato proprio dall’AIFA, in assenza di particolari condizioni, fattori di rischio o patologie è inutile e può diventare anche dannoso. Spesso, invece, negli ultimi tempi, l’integrazione di vitamina D viene presentata come benefica anche per le persone che non ne avrebbero bisogno e indicata come rimedio per la prevenzione di patologie cardiovascolari e tumori. Ma, chiarisce l’AIFA, “le evidenze scientifiche disponibili indicano che questa somministrazione sia inefficace e, pertanto, inappropriata”. Vediamo, allora, quali sono le linee guida dell’AIFA per non cadere nella trappola degli integratori di vitamina D che non servono a nulla.
Vitamina D: cosa si rischia in caso di carenza
Il principale ruolo della vitamina D è quello di regolare l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo, favorendo la normale formazione e mineralizzazione dell’osso. La vitamina D gioca anche un ruolo nella normale contrattilità muscolare. Per questo, una sua grave carenza può determinare il rachitismo nei bambini e l’osteomalacia (una condizione analoga al rachitismo nei bambini) negli adulti, oltre a una riduzione della forza muscolare e a dolori diffusi.
Tuttavia, chiarisce l’AIFA, per quanto una carenza di vitamina D sia spesso asintomatica, il dosaggio della vitamina D nella forma sierica 25(OH)D, che ne misura il livello nel sangue, dovrebbe essere eseguito solo in presenza di specifiche condizioni di rischio, su indicazione del medico. I valori desiderabili di 25(OH)D sono compresi tra 20 e 40 ng/mL. Il dosaggio è invece inappropriato se esteso alla popolazione generale.
Vitamina D: quando serve un’integrazione
L’utilizzo di integratori di vitamina D è previsto:
- negli anziani ospiti delle residenze sanitario-assistenziali;
- nelle donne in gravidanza o in allattamento;
- nelle persone affette da osteoporosi da qualsiasi causa o osteopatie accertate per cui non è indicata una terapia remineralizzante.
In questi casi, la somministrazione di integratori può avvenire indipendentemente dal dosaggio.
L’utilizzo previa misurazione della 25(OH)D è invece previsto:
- nelle persone con livelli sierici di 25(OH)D < 20 ng/mL e sintomi attribuibili a ipovitaminosi (astenia, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate);
- nelle persone con diagnosi di iperparatiroidismo secondario a ipovitaminosi D;
- nelle persone affette da osteoporosi di qualsiasi causa o osteopatie accertate per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia remineralizzante;
- in caso di una terapia di lunga durata con farmaci che interferiscono col metabolismo della vitamina D (antiepilettici, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici, ecc.);
- in caso di malattie che possono causare malassorbimento nell’adulto (fibrosi cistica, celiachia, morbo di Crohn, chirurgia bariatrica, ecc.).
Troppa vitamina D: i pericoli per la salute
La vitamina D è liposolubile, quindi tende ad accumularsi nell’organismo. Assumerla per lunghi periodi ad alte dosi può provocare effetti gravi per la salute, come ipercalcemia, calcolosi renale, aumento del rischio di fratture nei mesi successivi alla somministrazione. Il sovradosaggio di vitamina D durante i primi 6 mesi di gravidanza, inoltre, può avere effetti tossici sul feto. Ecco perché è importante rivolgersi al medico per valutare la reale necessità di un’integrazione e concordare la giusta posologia.
Vitamina D: dieta e sole per assicurarti il giusto apporto
In assenza di patologie o fattori di rischio, l’esposizione alla luce solare è il principale meccanismo con cui il nostro organismo produce la vitamina D, che non a caso è nota anche come “vitamina del solee”. Anche la dieta rappresenta una fonte di vitamina D, anche se la maggior parte dei cibi ne contengono limitate quantità, per cui l’alimentazione da sola non basta ma è raccomandata una regolare esposizione al sole, anche solo con braccia e viso, per permettere al corpo di sintetizzarla.
Tra gli alimenti più ricchi di vitamina D ci sono latte e derivati (burro, yogurt, formaggi), fegato di manzo, tuorlo d’uovo, olio di fegato di merluzzo, pesci come dentice, merluzzo, orata, palombo, sogliola, trota, salmone, aringa.
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