Sommario
La tripofobia è un disturbo per cui l’individuo manifesta paura irrazionale verso i buchi. A differenza di altre fobie che sono legate ad un evento specifico come la claustrofobia o a fenomeni culturali come la paura del numero 13, non ha origine in un trauma o evento specifico.
Chi soffre di questo disturbo è terrorizzato dalla visione di oggetti o forme che presentano dei buchi aperti, soprattutto quando sono piccoli, ravvicinati e profondi come in un favo, una spugna o nel formaggio.
Questa fobia genera delle reazioni immotivate di paura, disgusto e ansia che non possono essere controllate. Molte volte le reazioni sono talmente forti da scatenare sintomi fisiologici come sudorazione, pelle d’oca, nausea e vomito.
Ad esempio, anche la sola visione o immagine mentale di un melograno, o di un alveare può scatenare le reazioni di ansia e paura immotivata tipiche di questa fobia e la sintomatologia psicofisiologica associata.
Attualmente, non trova una collocazione tra i disturbi d’ansia o fobie specifiche nei manuali diagnostici psichiatrici. Pur non essendo riconosciuta ufficialmente, si presenta con una vasta gamma di sintomi la cui manifestazione può variare in intensità. Infatti, si può manifestare con una repulsione e un disgusto lieve o moderato fino ad arrivare ad una paura persistente o un attacco di panico.
Se i sintomi sono persistenti (oltre i sei mesi), invasivi e invalidanti, è necessario rivolgersi ad uno specialista della salute mentale (medico o psicologo).
Tripofobia: che cos’è
Il termine tripofobia deriva dall’unione di due parole “τρυπα” che significa “buco” e “φόβος” che significa paura.
Indica un disturbo d’ansia in cui gruppi irregolari e ripetitivi di piccoli buchi aperti rappresentano lo stimolo fobico.
La persona che ne soffre sperimenta sensazioni di forte ansia, timore, disgusto e repulsione quando vede o immagina pattern ripetitivi e ravvicinati costituiti da buchi come in una spugna o in una fetta di pane ai cereali.
Ad innescare la paura possono essere anche cerchi convessi o figure geometriche che si ripetono.
Non si tratta di una vera e propria fobia, ma di una repulsione verso uno stimolo preciso, il quale provoca quasi sempre una reazione immediata.
Tale ansia e disgusto hanno come conseguenza un comportamento di evitamento di quelle situazioni che possono fungere da trigger e innescare le crisi.
Ad esempio, la persona tripofobica potrebbe modificare il suo comportamento evitando di ritrovarsi in alcune circostanze, mangiare alcuni cibi e svolgere determinate attività.
Quali sono le cause
Potrebbe derivare da una risposta evolutiva di difesa dell’organismo o dalla difficoltà del cervello nell’elaborazione di alcune tipologie di stimoli visivi.
Cause percettive
Alcuni studiosi, come lo psicologo Wilkins dell’Università dell’Essex, hanno ipotizzato che il disgusto e la repulsione, siano dovute alla natura degli stimoli stessi.
In altre parole, alcuni stimoli come i pattern geometrici ripetitivi, richiederebbero al cervello un maggiore sforzo per essere elaborati.
Tale sforzo non è utile e non ha uno scopo razionale e provoca affaticamento degli occhi e distorsioni visive. Quindi, si innescano dei meccanismi di difesa psicologici automatici ed inconsci come il disagio e la repulsione, che proteggono il nostro cervello da uno sforzo inutile.
Cause evolutive
Animali pericolosi e velenosi
Alcuni studi suggeriscono che anche chi non soffre di tale disturbo può avere delle reazioni di disgusto, disagio o fastidio quando osserva questa tipologia di stimoli.
La manifestazione (non patologica) di questa avversione anche in persone che non soffrono del disturbo ha fatto supporre agli studiosi che ci potesse essere una causa filogeneticamente determinata.
Quindi, potrebbe derivare da una reazione di difesa automatica e ancestrale ereditata dal “passato” che permetterebbe al nostro organismo di difendersi da stimoli visivi ripetitivi potenzialmente dannosi.
Tali pattern sarebbero quelli tipici di animali velenosi come i serpenti o nidi di calabroni e veicolerebbero l’informazione di pericolo perché potrebbero nascondere una minaccia per la sopravvivenza e la riproduzione della persona.
Malattie infettive
Alcune ricerche suggeriscono che sia legata, più che alla paura, all’emozione del disgusto.
Ogni cavità, secondo queste richerche rappresenta simbolicamente un luogo di possibile contaminazione e di scambio tra esterno ed interno.
La paura della contaminazione è legata, a sua volta, agli insetti, ai parassiti e alle possibili malattie da essi trasmesse. Infatti, si pensa che la paura dei buchi possa derivare dalla repulsione verso i parassiti che si annidano nelle cavità e verso le malattie infettive che si manifestano con rush cutanei circolari sulla pelle come il vaiolo.
Tripofobia: cosa innesca la fobia
Influisce negativamente sulla vita quotidiana della persona che ne soffre. Anche stimoli ordinari e semplici con i quali veniamo in contatto ogni giorno potrebbero scatenare la fobia.
Rappresenta una forma di paura verso stimoli potenzialmente pericolosi ma che di fatto non lo sono, come per l’appunto i fori. Chi soffre di questo disturbo vive nella costante paura che uno stimolo innocuo possa scatenare il disturbo e le manifestazioni psico-fisiologiche.
Tali stimoli potenzialmente innescanti possono appartenere all’ambiente, al corpo umano e animale, agli alimenti, agli oggetti e ai film.
Tra gli stimoli che possono provocare reazioni di repulsione, ansia o paura troviamo principalmente i buchi soprattutto se sono molto ravvicinati, piccoli e profondi.
- Tra i cibi potenzialmente “pericolosi” per la tripofobia: il melograno, le fragole, il cioccolato poroso, il formaggio con i buchi.
- Spesso la persona evita situazioni che possono metterla in contatto con oggetti naturali come spugne da bagno, baccelli di fiori di loto, favi, coralli, semi di frutta.
- Azioni quotidiane come farsi la doccia, un bagno o lavarsi il viso potrebbero trasformarsi in veri incubi se si guarda il soffione della doccia, le bolle di sapone, i pori della pelle, ferite, acne e dermatiti.
- Anche oggetti creati dall’uomo come tubi impilati, cannucce raggruppate, fori nei mattoni, fotocamere del cellulare, reti metalliche, tombini, pellicce, vestiti a pois sono tutti stimoli potenzialmente ansiogeni per il tripofobico.
- Infine, non sono esenti da possibili complicazioni anche film con effetti speciali, fotografie, disegni, oggetti di arredamento, sculture e pietre.
Come si manifesta la tripofobia
E’ un disturbo in cui lo stimolo fobico è rappresentato da buchi e pattern visivi costituiti da forme geometriche vicine tra di loro a simulare dei fori.
Sintomi psicologici
I sintomi e la loro intensità variano da persona a persona ma generalmente si manifestano con paura, ansia, disagio o repulsione nei confronti dei buchi.
Tale sintomatologia psicologica persiste nel tempo e si verifica ogni qualvolta l’individuo che ne soffre si trova di fronte ad una situazione o ad uno stimolo che innesca la fobia.
Nei casi più gravi, può innescare stati ansiosi molto forti tanto da generare attacchi di panico.
Sintomi fisici
Ogni persona reagisce differentemente alla paura e alla visione di stimoli fobici.
Infatti, chi ne soffre può manifestare anche disturbi fisici. Tra le reazioni fisiologiche che si possono riscontrare troviamo:
- Brividi e pelle d’oca
- Sudore freddo
- Tremori
- Intorpidimento
- Formicolio e prurito
- Respirazione affannosa
- Tachicardia
- Bocca secca
- Senso di svenimento
- Nausea
- Vomito.
Infine, possono presentarsi anche crisi di pianto, sensazione di testa vuota e disturbi visivi (illusioni ottiche e distorsioni).
Questo quadro sintomatologico può essere affiancato anche da variazioni comportamentali di evitamento che inducono la persona ad evitare determinate situazioni come ad esempio:
- Mangiare il melograno o le fragole
- Fare escursioni per evitare di vedere api o alveari
- Comprare alcuni oggetti come spugne o telefoni cellulari con fotocamere troppo ravvicinate.
Questa sintomatologia così ampia può variare in intensità e può essere scatenata non solo dalla visione o dalla vicinanza con lo stimolo fobico ma addirittura dal solo pensiero o immagine mentale di questo.
Come capire se soffro di tripofobia
Attualmente non è riconosciuta ufficialmente come malattia psichiatrica e di conseguenza non è classificata in nessuno dei manuali diagnostici in uso come il DSM 5 o l’IPA 11.
Non è ufficialmente riconosciuta come disturbo psichiatrico nel DSM 5 (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali redatto dall’American Psychiatric Association). Quindi, non sono stati ancora definiti i criteri diagnostici per effettuare una diagnosi.
Per scoprire se soffriamo di questa condizione, possiamo provare ad effettuare una prima valutazione in maniera molto autonoma. Basta osservare o immaginare alcune situazioni o oggetti come un favo, un soffione della doccia o un melograno.
Se guardandole o immaginandole, ci assale una sensazione di disgusto, di paura o ribrezzo, se si presenta mal di testa o nausea, potremmo soffrire di tale disturbo.
Dal momento che la tripofobia presenta alcune caratteristiche comuni alle fobie specifiche, potrebbe rientrare, anche se non ufficialmente, in questa tipologia di disturbo.
Sono ancora pochi gli studi a riguardo che possano confermare questa classificazione. Ma volendo procedere su questa linea, possono essere definiti dei criteri, ai quali rifarsi per la diagnosi.
Comorbilità con altri disturbi
Chi presenta tripofobia ha maggiori probabilità di presentare altri disturbi come depressione, disturbi d’ansia a causa delle conseguenze che tale disturbo ha sulla vita quotidiana delle persone che ne soffrono.
Inoltre, è possibile che si inneschino dei comportamenti di evitamento che portano al ritiro sociale oppure alla manifestazione di disturbi come il disturbo ossessivo compulsivo.
Diagnosi
Secondo il DSM 5 la fobia specifica è la “paura marcata e persistente o ansia riguardo ad una situazione o un oggetto specifico”.
Oltre a questo criterio le fobie specifiche presentano altre caratteristiche:
- La paura, l’ansia o l’evitamento riguardo la situazione o l’oggetto sono persistenti (≥ 6 mesi) e non sono giustificati da altri disturbi mentali.
- L’oggetto o la situazione fobica causa quasi sempre paura o ansia immediata.
- La persona riconosce che la paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al pericolo reale e al contesto socioculturale.
- La situazione fobica viene attivamente evitata o vissuta con forte paura o ansia intensa.
- L’ansia anticipatoria, la paura o l’evitamento provocano disagio e interferiscono significativamente con il normale svolgimento delle attività quotidiane della persona nel sociale, nel lavoro o in altre importanti aree di funzionamento.
Test diagnostici
La diagnosi differenziale è molto importante per escludere altre patologie simili, l’intensità e la gravità del disturbo tripofobico.
Purtroppo, essendo ancora poco studiata e non essendo classificata nei manuali diagnostici in uso come disturbo, non esistono dei veri e propri test standardizzati che ne permettano la diagnosi. Girovagando su internet si possono trovare molti questionari e test “psicologici” che tuttavia non sono il risultato di studi scientifici o il frutto di ricerche di scienziati e medici.
Nel 2015, Le Cole e Wilkins hanno ideato un questionario chiamato test della tripofobia (QT) che consta di 17 item che valutano i sintomi tripofobici.
Questa è una scala sintomatica che misura il grado di disagio causato da immagini fobiche ma non immagini neutre o semplicemente negative. Questa scala potrebbe essere utilizzata per identificare gli individui che hanno i sintomi.
Tuttavia, il questionario è ancora oggetto di studi e di miglioramenti per la sua affidabilità nella sua versione intera e ridotta.
Come curare la tripofobia
La psicoterapia risulta l’approccio migliore per la gestione delle fobie specifiche e della tripofobia anche in associazione con un piano farmacologico.
L’approccio farmacologico rappresenta la strada più breve e più semplice nella gestione degli episodi di ansia e paura.
Tuttavia, esso rappresenta solo una soluzione a breve termine per controllare i sintomi. L’approccio farmacologico aiuta a gestire le crisi ma non elimina la causa che le provoca. Di conseguenza i farmaci da soli non possono essere sufficienti alla risoluzione del problema.
Terapia cognitivo comportamentale
La terapia cognitivo-comportamentale è l’approccio più efficace per il trattamento delle fobie specifiche e comprende l’impiego di tecniche di rilassamento, espositive, cognitive e di desensibilizzazione sistematica. Il percorso psicoterapeutico viene distinto in due fasi.
Nella prima fase, il professionista insegna a riconoscere e gestire i sintomi dell’ansia come l’iperventilazione anche attraverso l’insegnamento di alcune tecniche di rilassamento. Nella seconda fase, si procede con l’esposizione graduale agli stimoli fobici.
La persona fobica, in accordo con il terapeuta, pattuirà una serie di stimoli con i quali, in maniera graduale e progressiva, verrà messa in contatto. Lo scopo di questa esposizione “a livelli di difficoltà crescente” è quello di trasformare uno stimolo altamente ansiogeno in uno stimolo neutro.
Si potrà procedere con l’esposizione immaginativa o in presenza, dove ogni esercizio verrà ripetuto più volte nel tempo e si passerà a quello successivo solo se il precedente è stato superato.
Per “superato” si intende che lo stimolo fobico nell’esercizio in questione è diventato uno stimolo neutro. In ogni istante del percorso il terapeuta affiancherà il paziente e lo aiuterà nella gestione dei pensieri e delle emozioni che si vengono a generare.
Fonti
- Cole, G. G., & Wilkins, A. J. (2013). Fear of holes. Psychological science, 24(10), 1980-1985.
- Aminuddin, I., & Lotfi, H. A. (2017). Understanding trypophobia: the fear of holes. Malaysian Journal of Psychiatry, 25(2), 69-72.
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