L’empatia è universalmente considerata una virtù. Ma in molte situazioni non è presa nemmeno in considerazione. Per quale motivo? Perché calarsi nei panni dell’altro richiede uno sforzo cognitivo notevole. È quindi l’impegno eccessivo e la fatica richiesta il motivo principale per evitare di connettersi con le emozioni altrui. Forse è questa la chiave dell’indifferenza.
È quanto emerge da uno studio che ha coinvolto circa 1.204 persone, pubblicato su Journal of Experimental Psychology dai ricercatori della Pennsylvania State University (USA) e University of Toronto (Canada).
I costi dell’empatia
L’empatia è la capacità di comprendere i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona. È una caratteristica che ha permesso all’umanità di evolversi nei rapporti interpersonali. Ma è anche un aspetto che manca in alcune condizioni psicopatologiche, come i disturbi della personalità. Per questo motivo è di particolare interesse per la scienza.
Tralasciando però le condizioni patologiche, la domanda è: perché il più delle volte le persone la evitano?
Per rispondere al quesito, il team di ricercatori ha quindi formulato un test psicologico per capire se la “fatica mentale” possa diventare un deterrente e ostacolare la disponibilità a empatizzare.
Se vuoi saperne di più sull’empatia, ti consigliamo di leggere il nostro approfondimento: Empatia: cos’è, storia, tipi, perché si prova, misurazione, carenza, aforismi.
Il test
Per valutare il genuino desiderio di entrare in empatia sono stati utilizzati due mazzi di carte raffiguranti i volti di bambini profughi. Nel primo mazzo, era chiesto soltanto di descrivere i protagonisti delle carte; nel secondo, di provare empatia per queste persone. I partecipanti erano liberi di scegliere il mazzo di carte e, quindi, di impegnarsi o meno a empatizzare. Il mazzo “empatia” conteneva anche foto di bambini sorridenti. Mettersi nei loro panni cioè non implicava obbligatoriamente di solidarizzare con una condizione sconfortante.
Meglio non farsi coinvolgere
Soltanto il 35% dei volontari ha pescato dal mazzo “empatia”. La maggior parte ha quindi preferito evitare ogni sforzo emotivo e d’immedesimazione, anche in caso di emozioni positive. Il test poi non riguardava il portafoglio. Non era cioè richiesto di aiutare economicamente i bambini delle foto.
Empatia: ne vale davvero la pena?
Nei questionari complementari allo studio, la maggior parte delle persone ha descritto la richiesta a empatizzare come un compito gravoso e impegnativo dal punto di vista cognitivo.
Quando però i ricercatori hanno fatto credere ai volontari di essere molto portati verso l’empatia, i partecipanti sono stati più propensi a scegliere le carte dal mazzo più evitato. Questo potrebbe voler dire che, in alcune condizioni, l’empatia può essere incoraggiata.
Quindi, anche se percepita come una fatica da evitare, mettere in campo l’empatia può dipendere anche dall’obiettivo da raggiungere. Può sembrare meno gravosa, ad esempio, se riguarda i propri cari o se in gioco c’è una gratificazione sociale.
Ti è piaciuto questo articolo? Codividilo su Pinterest.