Sommario
I trigliceridi alti, o ipertrigliceridemia, è una condizione nella quale la concentrazione di trigliceridi nel sangue è al di sopra della norma. Possono essere più alti della norma sia nei soggetti adulti che nei bambini. Tuttavia, di per sé, la condizione non genera sintomi, almeno quando la dislipidemia non supera una certa soglia di gravità , provocando disturbi anche importanti. Infatti, è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e per la pancreatite acuta, una patologia potenzialmente fatale.
Frequentemente l’ipertrigliceridemia viene diagnosticata per caso, a seguito di controlli effettuati per altre ragioni. Quindi, la prima linea del trattamento consiste nel modificare lo stile di vita della persona, eliminando dall’alimentazione i cibi che innalzano la concentrazione di trigliceridi nel sangue, alcol compreso, e i fattori ulteriori di rischio, come il fumo da sigaretta.
Inoltre, l’esercizio fisico aerobico permette di mantenere il peso corporeo nella norma e controllare la quota di grasso addominale.
Trigliceridi alti: cosa sono
I trigliceridi alti sono una dislipidemia, una condizione metabolica patologica nella quale la concentrazione nel plasma di lipoproteine a bassissima densità (VLDL, Very Low Density Lipoproteins) e di chilomicroni sono più elevate del normale. Quindi, questa condizione comporta la deposizione di grassi nelle arterie e nei capillari di numerosi apparati, con conseguenze importanti.
Quindi, nell’ipertrigliceridemia i livelli di trigliceridi nel sangue sono superiori al range di normalità . Nel soggetto con trigliceridi alti, la concentrazione di lipoproteine a bassissima densità (VLDL) e di chilomicroni è elevata nel plasma.
I trigliceridi che circolano nel plasma sono di origine sia esogena (ossia provenienti dall’alimentazione e trasportati all’interno dei chilomicroni) che endogena (sintetizzati dal fegato e trasportati nelle VLDL). Nei muscoli e nel tessuto adiposo le lipoproteine cariche di trigliceridi (sia chilomicroni che VLDL) vengono idrolizzate dalla LPL ad acidi grassi liberi.
Quindi, la concentrazione di trigliceridi nel sangue è parte di una scala continua (non discreta) e oscilla nell’ambito di intervalli di valori anche relativamente ampi. Il dosaggio della trigliceridemia dello stesso soggetto può variare anche del 25% da un giorno all’altro e si innalza repentinamente a seguito di un pasto.
Trigliceridi alti: i valori di riferimento
Per diverse ragioni già enunciate, non è possibile identificare un livello normale di trigliceridi. I parametri utili ai fini diagnostici vengono identificati sulla base del rischio clinico. La complessità nella classificazione dell’ipertrigliceridemia rende sfidante il processo diagnostico.
Quindi, sulla base del rischio clinico, si identifica una trigliceridemia:
- normale, se inferiore a 175 mg/dL.
- Lieve: compresa tra 175-885 mg/dL.
- Grave: superiore a 885 mg/dL.
Livelli di trigliceridi superiori a 900 o 1.000 sono generalmente tipici delle cause genetiche, in particolare di patologie quali l’ipertrigliceridemia familiare e l’iperchilomicronemia familiare da deficit di lipasi lipoproteica o di apolipoproteina CII.
Trigliceridi alti: cause primarie e secondarie
Benché sia possibile distinguere sommariamente fra cause primarie e secondarie dell’ipertrigliceridemia, la maggior parte dei casi deriva dalla contestuale presenza di più fattori.
Ipertrigliceridemia familiare
Fra le patologie genetiche che determinano l’ipertrigliceridemia primaria, si trova anche la lipodistrofia familiare parziale (FPLD). Questa malattia può essere estremamente resistente alla terapia farmacologica e provocare con una certa facilità episodi di pancreatite acuta.
L’ipertrigliceridemia familiare è una malattia a trasmissione autosomica dominante che colpisce 2-3 persone su 1.000. Si tratta di un aumento dei trigliceridi nel sangue dovuto all’accumulo di VLDL (ipertrigliceridemia di tipo IV di Frederickson, meno grave) oppure da accumulo di VLDL e chilomicroni (ipertrigliceridemia di tipo V di Frederickson, più severo, associato ad un rischio aumentato di coronaropatia).
I trigliceridi sono compresi fra 200 e 500 mg/dL, ma, nei casi in cui sono concomitanti altri fattori di rischio (come l’abuso di alcol o un’alimentazione scorretta), possono superare i 1.000 mg/dL. Questa malattia si esprime in maniera direttamente proporzionale all’età , raggiungendo il massimo livello di manifestazione fra i 50 ed i 60 anni.
Generalmente non sono presenti segni o sintomi significativi, eccettuati alcuni casi in cui è possibile individuare reperti di iperuricemia e aterosclerosi precoce. Inoltre, al fine di controllare l’ipertrigliceridemia familiare, viene somministrata una dieta, che deve garantire la perdita di peso, e farmaci ipolipemizzanti.
Iperlipidiemie miste o combinate: valori alti di colesterolo e trigliceridi
Molto più frequenti sono le iperlipidemie miste o combinate, condizioni che comportano incrementi sia del colesterolo che dei trigliceridi. In questi casi, è necessaria la copresenza di cause primarie e secondarie: si tratta dunque di una patologia a genesi multifattoriale. Colpisce una persona su 50-100 e può determinare coronaropatia prematura, responsabile di circa il 15% degli infarti del miocardio nelle persone al di sotto dei 60 anni.
Il colesterolo totale si mantiene fra 250 e 500 mg/dL e i trigliceridi oscillano fra 250 e 750 mg/dL. Anche in tale condizione, allo scopo di controllare la patologia, è necessario che il paziente sia sottoposto a dieta, che perda peso in maniera significativa e che assuma farmaci ipolipemizzanti.
Fin qui abbiamo parlato di cause primarie, relative a patologie genetiche o condizioni multifattoriali. Ma le cause dei trigliceridi alti possono essere anche secondarie e giustificano il 10-20% dei casi. Vediamo di seguito quelle più comuni.
Diabete non controllato
La forma insulino-dipendente del diabete (diabete di tipo I, IDDM, Insulin Dependent Diabetes Mellitus) comporta una ridotta capacità da parte della lipasi lipoproteica di metabolizzare i trigliceridi, scindendoli in acidi grassi e glicerolo con liberazione di energia.
La forma non insulino-dipendente (diabete di tipo II, NIDDM, Non-Insuline Dependent Diabetes Mellitus) determina insulino-resistenza (ossia una ridotta efficacia dell’insulina nel permettere l’ingresso del glucosio nelle cellule e dunque la riduzione della glicemia) e, dunque, aumenta la produzione e riduce il catabolismo dei trigliceridi.
Abitudini alimentari scorrette
Lo stile di vita sedentario associato ad un eccessivo apporto di grassi saturi, trans, zuccheri (che l’organismo converte in trigliceridi) e alcol con la dieta è la causa secondaria principale di ipertrigliceridemia nel mondo. I grassi trans sono acidi grassi polinsaturi o monoinsaturi cui sono stati aggiunti atomi di idrogeno con metodi industriali al fine di saturarne i doppi legami; sono contenuti in molti cibi processati.
Sindrome metabolica
La sindrome metabolica è una condizione caratterizzata dalla contemporanea presenza di tre alterazioni metaboliche ed emodinamiche e che rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cardiovascolari e tumori. Inoltre, per la sua diagnosi devono essere presenti almeno tre condizioni fra:
- aumento della circonferenza della vita (superiore a 102 cm nell’uomo e 88 nella donna).
- pressione arteriosa massima (sistolica) superiore a 130 mmHg e minima (diastolica) superiore a 85.
- colesterolo HDL inferiore a 40 nell’uomo e a 50 nella donna.
- trigliceridemia 150; glicemia superiore a 110 mg/dL.
La sindrome metabolica è causata da uno stile di vita scorretto e da una predisposizione genetica, condizioni che portano all’accumulo di grasso addominale, fenomeno che può determinare l’insorgenza di insulino-resistenza (alla base di malattie come il diabete), delle dislipidemie e dell’ipertensione. Tuttavia, la sindrome metabolica non genera sintomi particolari ed è frequente anche in persone normopeso.
Gravidanza
Benché un lieve aumento dei trigliceridi in gravidanza sia considerato fisiologico, deve comunque essere monitorato, perché potenzialmente rischioso. L’ormone principale secreto durante la gestazione, il progesterone, è caratterizzato da funzioni anaboliche, ossia costruttive dei tessuti. Ha il compito di attivare nell’organismo della mamma le funzioni che consentono la formazione degli organi del feto.
Quindi, i trigliceridi, in questo quadro, rivestono funzione energetica importante e anche il loro livello cresce. Nei casi a rischio, la rilevazione dei parametri lipidici della mamma durante la gravidanza permette di predire la possibilità che insorgano complicazioni quali la gestosi o il diabete mellito gestazionale, entrambe condizioni associate all’ipertrigliceridemia.
ObesitÃ
Obesità e sovrappeso sono fra i fattori più importanti fra quelli che creano una predisposizione all’ipertrigliceridemia. Il sovrappeso è causato da uno sbilanciamento fra il numero delle calorie ingerite e quello delle calorie bruciate, a favore del primo, e si manifesta con l’accumulo di tessuto adiposo nel corpo, un fenomeno che si verifica quando i trigliceridi sono alti nel sangue.
Questa è la ragione per la quale molti dei programmi di prevenzione per l’ipertrigliceridemia e i disturbi cardiovascolari sono indirizzati prima di tutto a soggetti obesi (con indice di massa corporea superiore a 30 kg/m²), oltre che, naturalmente, a quelli affetti da diabete di tipo I o II.
Ipotiroidismo
La perdita di funzionalità della tiroide causa una riduzione nella secrezione di ormoni che hanno effetto di attivazione del metabolismo. Quindi, il rallentamento metabolico che ne consegue può determinare un quadro di iperlipidemia.
Alterazioni renali
L’insufficienza renale cronica determina gravi alterazioni del profilo lipidico, perché turba l’equilibrio nel metabolismo delle VLDL. Infatti, questa patologia è associata ad un quadro di aterosclerosi precoce ed accelerata e all’aumento del rischio cardiovascolare. Il meccanismo sotteso a questa correlazione si basa su molti fattori (fra cui la circolazione delle tossine uremiche dovuta all’indebolimento della funzione renale, l’aumentato stress ossidativo, lo stato di infiammazione cronica e l’ipertensione) che conducono ad un deficit nel catabolismo delle VLDL, per riduzione marcata dell’attività lipolitica.
La sindrome nefrosica è causata dall’alterazione della barriera di filtrazione glomerulare e comporta perdita di proteine con le urine (proteinuria), che risulta associata ad una riduzione generale della quantità di proteine sintetizzate dall’organismo, comprese quelle deputate al catabolismo dei trigliceridi. Questo aspetto è responsabile dell’aumento dei livelli di trigliceridi nel sangue.
Uso di farmaci
I cortisonici, la ciclosporina (farmaco ad azione immunosoppressiva), l’acido valproico (impiegato per il trattamento dell’epilessia), gli antipsicotici di seconda generazione, gli inibitori delle proteasi usati per la terapia dell’infezione da HIV e la pillola anticoncezionale sono fra i medicinali responsabili dell’aumento dei livelli di trigliceridi nel sangue.
Moto frequenti sono le iperlipidemie miste o combinate, caratterizzate da incrementi sia del colesterolo che dei trigliceridi.
Trigliceridi alti: sintomi e come si manifestano
Di per sé i trigliceridi alti non provocano sintomi, ma può aumentare il rischio cardiovascolare (in particolare di coronaropatie, ictus e arteriopatia periferica), di pancreatite acuta, entrambi sintomatici, e di altre manifestazioni minori. Tra queste ce ne sono alcune sicuramente più frequenti di altre.
- Dolori addominali: sono tipici di alcune forme genetiche e associati a livelli molto alti di trigliceridi.
- Stanchezza generalizzata: anche questo sintomo è correlato ad alcune cause primarie di ipertrigliceridemia.
- Disturbi cognitivi: l’aumento della viscosità del sangue dovuto all’eccesso di trigliceridi può ridurre l’efficienza di irrorazione sanguigna di alcune aree del cervello, con conseguenze psichiatriche.
- Xantomi cutanei: quando il livello di trigliceridi nel sangue supera la soglia di normalità queste molecole vengono fagocitate da cellule che hanno funzione di pulizia, i macrofagi (definite anche cellule-spazzino). L’accumulo dei macrofagi pieni di trigliceridi (detti foam cells, ossia cellule dall’aspetto spugnoso) a livello cutaneo (di gomiti, ginocchia, mani, piedi e glutei) determina la formazione di papule giallastre, dette xantomi. Gli xantomi prendono il nome di xantelasmi quando interessano la palpebra. Gli xantomi possono essere rimossi chirurgicamente, anche se tendono a riformarsi.
- Epatosplenomegalia: quando i trigliceridi si accumulano nel sangue possono depositarsi nel tessuto di fegato e milza e richiamare i macrofagi che hanno il compito di inglobarli e rimuoverli; questo fenomeno determina un ingrossamento di questi due organi.
- Lipemia retinalis: i trigliceridi alti (superiori a 2.000 mg/dL) si accumulano nei vasi sanguigni della retina; all’osservazione dell’occhio con l’oftalmoscopio i vasi retinici appaiono bianchi.
Diagnosi dell’ipertrigliceridemia
La diagnosi di ipertrigliceridemia è importante perché scostamenti anche limitati possono aumentare il rischio di complicazioni. Livelli di trigliceridi superiori a 900 o 1.000 mg/dL sono riscontrabili nelle malattie responsabili di ipertrigliceridemia che riconoscono cause genetiche, in particolare l’ipertrigliceridemia familiare e l’iperchilomicronemia familiare da deficit di lipasi lipoproteica o di apolipoproteina CII.
Quindi, chi è a rischio viene sottoposto ad un’analisi del profilo lipidico sierico, che comprende:
- colesterolo totale.
- Trigliceridi.
- Colesterolo HDL.
- Colesterolo LDL.
- VLDL.
Poiché i livelli di trigliceridi possono fluttuare con ampio range durante la giornata, occorre sottoporsi al prelievo sempre a digiuno.
Inoltre, le persone a rischio devono sottoporsi ad un monitoraggio periodico dei livelli di trigliceridi, in particolare se colpite da patologia infiammatoria, perché l’infiammazione tende ad aumentarli. Quindi, si sospettano forme primarie di ipertrigliceridemia quando sono presenti xantomi cutanei in un soggetto con anamnesi di malattia aterosclerotica precoce (ossia comparsa ad un’età inferiore ai 60 anni) o storia familiare di disturbo aterosclerotico e livelli elevati di trigliceridi.
Invece, per quanto riguarda la diagnosi delle ipertrigliceridemie secondarie, vengono esaminati tutti i parametri correlati ad una delle malattie che possono essere causa di aumento dei livelli dei trigliceridi:
- glicemia a digiuno.
- Enzimi epatici.
- Creatininemia.
- Ormoni tiroidei.
- Proteinuria.
Trigliceridi alti: rischi e patologie correlate
La più temibile complicazione dei trigliceridi alti è rappresentata dalla pancreatite acuta, un’evenienza clinica molto grave e potenzialmente fatale. Inoltre, livelli alti di trigliceridi sono associati a rischio cardiovascolare, con aumento della probabilità di andare incontro a patologie quali l’infarto miocardico, l’ictus e l’aterosclerosi.
Pancreatite acuta
La pancreatite acuta è causa di ricoveri ospedalieri e di riduzione della produttività per perdita di giorni di scuola o di lavoro. Riduce la qualità della vita, comporta un rischio di danni permanenti ad organi e di morte.
I trigliceridi alti sono responsabili dell’1-4% dei casi di pancreatite acuta: al di sopra dei 1.000 mg/dL il rischio diventa concreto. Valori di trigliceridi superiori a 2.000 mg/dL sono da trattare come emergenza medica.
La pancreatite acuta può essere preceduta da nausea, dolore addominale che si irradia alla schiena e bruciore di stomaco. In alcuni pazienti anche da un abnorme aumento degli enzimi pancreatici (in particolare le lipasi).
Il meccanismo con cui si instaura la pancreatite acuta è attualmente non ben noto. Tuttavia, l’eccesso di trigliceridi comporta anche un loro aumentato metabolismo: la reazione di scissione con cui vengono idrolizzati per liberare energia comporta un’aumentata produzione di acidi grassi. È l’accumulo di acidi grassi nel pancreas ad irritare quest’organo e ad innescare la pancreatite.
Rischio cardiovascolare
Per quanto riguarda il rischio cardiovascolare, gli studi sperimentali hanno messo in luce dati contrastanti sugli esiti cardiovascolari e cerebrovascolari (ictus). Dal momento che i trigliceridi alti sono quasi sempre accompagnati dall’alterazione di altri parametri lipidici nel sangue, è difficile determinare l’influenza delle singole componenti, quanto sia dovuto all’azione dei trigliceridi e quanto all’effetto combinato di colesterolo, trigliceridi e lipoproteine.
In base ai riscontri sperimentali, l’ipertrigliceridemia lieve, di per sé, è un semplice marker di rischio cardiovascolare. Quindi, nel caso delle forme moderate o gravi, occorre istituire una terapia mirata alla protezione cardiovascolare, basata sulla somministrazione di statine, fibrati e dosi farmacologiche di acidi grassi della linea omega-3.
Trigliceridi alti: cosa fare per abbassarli
Mentre il trattamento dell’ipertrigliceridemia grave non è in discussione, il dibattito è aperto sulla necessità di trattare le forme lievi e soprattutto sulla reale risposta alla terapia. Infatti, si è osservato che la somministrazione di farmaci in grado di ridurre il livello di trigliceridi (ipolipemizzanti) non produce sempre risultati cardiovascolari apprezzabili.
Inoltre, dal momento che spesso i trigliceridi alti sono accompagnati da alterazione di altri parametri lipidici del sangue, è difficile attribuire in maniera precisa le responsabilità nella genesi di eventuali complicazioni cardiovascolari.
In generale, il trattamento dei trigliceridi alti ha due obiettivi principali:
- prevenzione della pancreatite acuta (nei casi gravi, con trigliceridi superiori a 885 mg/dL).
- Riduzione del rischio cardiovascolare globale.
Infine, una volta normalizzato il parametro, è opportuno che il medico enfatizzi l’importanza dello stile di vita, soprattutto dal punto di vista alimentare e dell’esercizio fisico. L’approccio terapeutico parte dal trattamento degli eventuali fattori secondari presenti e dalla correzione dello stile di vita, per passare ai farmaci nei casi in cui la dieta non ha prodotto risultati.
Lo stile di vita è il primo parametro su cui si interviene in presenza di ipertrigliceridemia lieve o moderata, tenendo presente che nei pazienti con trigliceridi molto alti occorre instaurare un trattamento farmacologico immediato.
Gli interventi sullo stile di vita possono ridurre la trigliceridemia anche del 25-30%. Scopri tutti i rimedi per abbassare i trigliceridi in modo efficace.
Cosa non mangiare in caso di trigliceridi alti
La concentrazione di trigliceridi nel sangue dipende in larga misura dall’alimentazione, in particolare dall’apporto di zuccheri semplici e di alcol, sostanze che vengono nell’organismo convertite in trigliceridi destinati all’accumulo.
L’alcol, in particolare, deve essere completamente eliminato nei casi di ipertrigliceridemia grave.
Anche i grassi trans sono correlati ad aumentati livelli di trigliceridi nel sangue. Infatti, sono acidi grassi insaturi (quelli che non derivano da fonti animali) che sono stati saturati attraverso processi industriali per la preparazione di cibi pronti, alimenti da evitare nell’ambito di una dieta equilibrata.
Naturalmente, rientrano fra gli alimenti da bandire anche i dolci, le torte, i biscotti, i gelati ed i sorbetti, anche se prodotti con soia. In questo caso, infatti, viene eliminata la componente di grassi saturi, ma non quella di zuccheri.
Se da un lato, l’alimentazione di coloro che devono tenere sotto controllo i trigliceridi deve impoverirsi di grassi saturi (quelli di origine animale), dall’altro dovrebbe arricchirsi di grassi mono-e polinsaturi, inclusi quelli della linea omega-3.
I soggetti con ipertrigliceridemia dovrebbero mantenere il peso corporeo entro certi limiti, in particolare focalizzando l’attenzione sul grasso addominale. Infatti, la deposizione di grasso addominale rappresenta un fattore ulteriore di rischio per la patologia cardiovascolare, anche quando associata ad un peso corporeo nella norma.
Quindi, la riduzione dell’apporto calorico dovrebbe rientrare in un quadro alimentare equilibrato stabilito con un nutrizionista, per non sottrarre al corpo sostanze preziose. L’obiettivo vero non è il raggiungimento del peso forma, ma il suo mantenimento nel tempo.
Trigliceridi alti: cosa mangiare e dieta consigliata
In questa prospettiva, è possibile individuare indicazioni universalmente valide per definire un’alimentazione adeguata allo scopo, benché il piano dietetico vero e proprio debba essere il risultato di una strategia personalizzata, tagliata su misura per il singolo individuo.
- Meglio limitare la presenza della frutta, ricca di zuccheri, in particolare quella molto dolce, come i cachi, le banane, i fichi e l’uva.
- Via libera al consumo di verdura, con una precisazione: carote e patate non sono verdure, ma vegetali molto ricchi di zuccheri, che devono essere considerati al pari di pasta, pane e riso. Questi ultimi devono essere scelti nella versione integrale, ricca di fibre e dunque con un apporto inferiore in zuccheri e con un’azione di riduzione dell’assorbimento intestinale di zuccheri e grassi.
- Optare per latte e yogurt magri, tagli di carne con poco grasso, limitare i formaggi (rigorosamente magri) a due volte la settimana e usare olio d’oliva (in quantità parsimoniose) anziché burro aiuta a contenere la quantità di grassi saturi ingerita.
- L’ampio utilizzo delle spezie permette di ridurre la quantità di olio e sale utilizzata per insaporire le vivande e di ottenere un’azione funzionale. Basti pensare alla curcuma, al cumino e al peperoncino (ricchi di antiossidanti) e ai semi di finocchio (ricchi di anetolo, che favorisce la digestione e contribuisce a ridurre le fermentazioni intestinali) e al gingerolo dello zenzero, con la sua spiccata attività antinfiammatoria.
- Il pesce, ricco di acidi grassi omega-3 (in particolare il pesce azzurro di cui sono così ricchi i nostri mari), deve essere consumato almeno tre volte a settimana.
- Per chi è abituato all’aperitivo, può essere difficile rinunciare alle bevande alcoliche. Un’idea è quella di provare a sostituirle con cocktail analcolici a base di frutta, centrifugati o, occasionalmente, con bevande gassate light. I succhi di frutta non sono consigliati, perché ricchi di zuccheri anche quando privi di zuccheri aggiunti.
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Farmaci e cure per i trigliceridi alti
Quando la correzione dello stile di vita è insufficiente e i trigliceridi si mantengono superiori a 200 mg/dL deve essere prescritta una terapia farmacologica.
Fibrati
I fibrati, in particolare il fenofibrato, rappresentano il trattamento di prima linea per i trigliceridi alti e sono finalizzati alla riduzione del rischio di pancreatite e di malattia cardiovascolare.
Alcuni studi condotti su soggetti in terapia mostrano che la terapia con fibrati riduce del 13% gli eventi cardiovascolari maggiori, in particolare nei pazienti con trigliceridi alti, a fronte di una buona tollerabilità .
Tuttavia, l’effetto collaterale più frequente dovuto ai fibrati è la miopatia (danno muscolare). Quindi, per scongiurare questo rischio, è opportuno monitorare i parametri muscolari con regolari esami del sangue.
Acido nicotinico
L’acido nicotinico riduce la produzione da parte del fegato di una delle due tipologie di proteine che trasportano i trigliceridi nel sangue (VLDL). Al dosaggio di 2 g/die riduce i trigliceridi di circa il 20-40%. Può dare reazioni dermatologiche, che talvolta ne limitano il dosaggio.
Statine
Le statine sono farmaci usati per ridurre il colesterolo: vengono prescritte in caso di trigliceridi alti se anche il colesterolo è in eccesso. Questi farmaci hanno mostrato di ridurre significativamente la mortalità dovuta a squilibri lipidici nel sangue (iperlipidemie). Vengono, in particolare, impiegate l’atorvastatina, la rosuvastatina, la pitavastatina.
La combinazione di fibrati e statine produce un’azione complessiva migliore rispetto alla monoterapia, ma comporta un rischio aggiuntivo di miopatia, che può essere bypassato consigliando al paziente l’assunzione dei fibrati al mattino e delle statine la sera.
Tuttavia, nei pazienti diabetici è opportuno aggiornare periodicamente il dosaggio dell’insulina, al fine di controllare la malattia al meglio.
Acidi grassi omega 3
Gli acidi grassi omega 3 (PUFA), ossia acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA), vengono prescritti come terapia adiuvante a dosi farmacologiche, comprese fra i 2 ed i 4 g/die. A queste dosi, sono in grado di ridurre significativamente la trigliceridemia. Possono essere aggiunti alla terapia combinata di statine e fibrati.
Tuttavia, il ruolo dei PUFA è controverso. Infatti, alcuni studi internazionali non sono riusciti a dimostrarne e quantificarne l’effetto benefico nei pazienti con patologia metabolica, mentre, altri ne hanno evidenziato l’importante ruolo nella riduzione del rischio cardiovascolare nei pazienti con trigliceridi alti in terapia con le statine.
Quindi, attualmente, sono in corso ulteriori studi estesi che sperabilmente attribuiranno un’esatta dimensione al ruolo degli omega-3 nella prevenzione del rischio cardiovascolare.
Volanesorsen
Il Volanesorsen è un oligonucleotide antisenso che produce un calo dei trigliceridi mirato a ridurre significativamente il rischio di pancreatite acuta.
È stato approvato nel 2019 a valle dello studio sperimentale Approach, che ha coinvolto 66 pazienti in 40 diversi centri di trattamento, in 12 Paesi. Ha dimostrato come nella maggior parte dei pazienti l’uso di questo farmaco abbassi i livelli di trigliceridi al di sotto del livello di rischio per pancreatite acuta.
Intervento chirurgico
Quando i trigliceridi sono molto alti, il rischio di pancreatite acuta richiede terapie più drastiche, come la plasmaferesi terapeutica. Infatti, questo trattamento consiste nell’asportazione del plasma e nel suo passaggio all’interno di una macchina che ne rimuove i grassi e lo reimmette nel corpo. Non si tratta di una procedura eseguita di routine, anche a causa delle possibili conseguenze che può determinare, non completamente note.
La terapia genica è verosimilmente applicabile nei casi in cui i trigliceridi alti siano dovuti ad una causa primaria di tipo genetico. Se alla base della patologia è presente una mutazione monogenica (che riguarda un solo gene), questa può essere corretta con l’inserimento nel DNA del gene corretto. In passato, a questo scopo è stata usata una terapia genica con virus adeno associato (alipogene tiparvovec), oggi non più disponibile.
Quindi, nei casi in cui la dieta e l’esercizio fisico non producono risultati apprezzabili in termini di perdita di peso, si può ipotizzare di ricorrere alla chirurgia bariatrica, con realizzazione di bypass gastrico per la riduzione dell’assorbimento di sostanze nutritive.
Trigliceridi alti e sport: importante anche per la prevenzione
La prevenzione dell’ipertrigliceridemia si fonda sull’adozione di abitudini alimentari corrette, sull’esecuzione con regolarità di un’attività fisica aerobica, sulla rinuncia al fumo da sigaretta e all’alcol. Oltre alla terapia delle condizioni che possono determinarla, quando secondaria, come il diabete, la sindrome metabolica, l’obesità , l’ipotiroidismo, eventuali malattie renali (insufficienza renale cronica e sindrome nefrosica).
Lo sport ha ruolo centrale nella normalizzazione dei livelli di trigliceridi nel sangue, anche attraverso la riduzione del peso corporeo ed il mantenimento del peso forma raggiunto. A questo scopo, occorre scegliere uno sport aerobico, in cui l’ossigeno rappresenta il comburente impiegato dalle cellule muscolari per ricavare energia. L’attività fisica aerobica è dimostrata avere effetto sulla concentrazione di lipidi nel sangue, in particolare sulla concentrazione dei trigliceridi.
Mentre l’esercizio anaerobico porta all’accumulo di acido lattico e produce una sensazione di fatica, che abbrevia l’attività sportiva e richiede tempi di recupero molto superiori, l’attività fisica aerobica metabolizza in maniera più efficiente gli acidi grassi, che vengono così sottratti all’accumulo sottoforma di trigliceridi. Dunque, preferire gli sport di resistenza, che richiedono fiato, come la corsa e il nuoto sulla lunga distanza, permette di tenere sotto controllo i trigliceridi.
Fonti
- Volanesorsen and triglyceride levels in familial Chylomicronemia Syndrome – J.L. Witztum et al – New England Journal of Medicine, 2019;
- Grave ipertrigliceridemia e rischio di pancreatite acuta – C. Trenti – AO Arcispedale Santa Maria Nuova Reggio Emilia;
- Ipertrigliceridemia: una dislipidemia comune e di inquadramento complesso – C. Trenti et al – Italian Journal of Medicine, 2009;
- Guidelines for cardiovascular health and risk reduction in children and adolescents – National Heart Lung and Blood Institute;
- La natura poligenica dell’ipertrigliceridemia: implicazioni per la definizione, la diagnosi e il trattamento – Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi, 2014;
- Dyslipidemia in chronic kidney disease – P. Cappelli – Trends in Medicine, 2007.