Sommario
L’epilessia è un disturbo neurologico transitorio che colpisce il Sistema Nervoso Centrale. È causato da un’attività eccessiva e anomala di un gruppo di neuroni della corteccia cerebrale. Quindi, è una condizione cronica dovuta a cause diverse e che si manifesta attraverso crisi epilettiche ricorrenti, improvvise e momentanee.
Tuttavia, la comparsa di crisi epilettiche e la ripetizione degli attacchi nel tempo è un elemento necessario per la diagnosi di epilessia, che si effettua attraverso screening di neuroimmagini, test di laboratorio ed elettroencefalografia.
Il trattamento comprende farmaci anticonvulsivanti e chirurgia. Infatti, dopo la cefalea, l’epilessia rappresenta la seconda condizione neurologica cronica più comune. La prevalenza è circa dell’1%.
Epilessia: che cos’è
E’ importante distinguere tra: epilessia, crisi epilettiche e sindrome epilettica.
Infatti, le crisi epilettiche sono un disturbo improvviso e transitorio delle funzioni neurologiche, caratterizzato da una scarica anomala, incontrollata ed eccessiva di un gruppo di neuroni con manifestazioni psicofisiche temporanee.
Invece, l’epilessia è una malattia neurologica cronica legata a cause diverse e caratterizzata dalla presenza di crisi epilettiche ricorrenti. Infatti, la ripetizione delle crisi nel tempo è una condizione necessaria per la diagnosi.
Infine, per sindrome epilettica, si intende una classificazione clinica distinta che include il tipo di crisi, l’eziologia, le alterazioni visibili all’elettroencefalogramma (EEG), l’esame neurologico, la prognosi e, in alcuni casi, la risposta a specifici farmaci antiepilettici.
Epilessia: date da ricordare
- Giornata internazionale dell’epilessia – secondo lunedì di febbraio.
- Giornata nazionale per l’epilessia – prima domenica di maggio.
Epilessia: epidemiologia
Chi colpisce l’epilessia? Dopo la cefalea, l’epilessia rappresenta la seconda condizione neurologica cronica più comune. Infatti, l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) la riconosce come malattia sociale.
Ma è probabile che la sua frequenza sia sottostimata, perché spesso questa patologia è tenuta nascosta per motivi psicologici e sociali.
Nei Paesi industrializzati l’epilessia interessa circa 1 persona su 100.
Quindi, si ritiene che in Europa, circa 6 milioni di persone siano affetti da epilessia in fase attiva (cioè con crisi persistenti e/o in trattamento) e che in Italia la malattia riguardi circa 500.000 persone.
L’epilessia può manifestarsi in tutte le età, ma i picchi di incidenza più alti si hanno nei bambini e negli anziani.
Infatti, la curva di incidenza per età vede un picco nel primo anno di vita e, dopo una diminuzione nell’età media, una ripresa nella tarda età, sopra i 75 anni. Inoltre, se si considerano anche le crisi isolate che possono presentarsi in qualunque momento della vita, i tassi di incidenza hanno valori compresi tra il 2 ed il 6%. Quindi, la probabilità di avere almeno una crisi durante la vita è circa dell’8%.
Invece, nei Paesi in via di sviluppo, l’incidenza dell’epilessia è probabilmente maggiore, ma non ci sono dati epidemiologici sicuri.
Non ci sono, comunque, differenze significative di genere e il tasso di mortalità è di 2-3 volte superiore a quello della popolazione generale.
Quali sono le cause principali dell’epilessia
Non è possibile identificare una causa certa di epilessia in circa la metà dei soggetti che ne soffrono. Per l’altra metà le origini sono da ricondurre alle seguenti cause:
- strutturali
- genetiche
- infettive
- metaboliche
- immunologiche.
Cause strutturali
Includono le alterazioni del tessuto cerebrale visibili alle neuroimmagini, come, ad esempio:
- lesioni vascolari (ictus o encefalopatia), traumatiche e infettive (encefaliti, meningiti, ascessi cerebrali, ecc.)
- sofferenza pre-peri-post-natale, oppure cause genetiche, come alcune malformazioni dello sviluppo del cervello.
Inoltre, l’ictus, in particolar modo di tipo emorragico, è una delle principali cause di epilessia negli adulti di età superiore ai 35 anni.
Anche l’ipertermia, cioè la febbre elevata, può causare un aumento dell’eccitabilità dei neuroni e, quindi, scatenare o favorire l’insorgenza delle crisi. Infatti, le cosiddette convulsioni febbrili riguardano il 10% dei bambini sotto i 6 anni.
Tuttavia, queste in assenza di anomalie dell’attività elettrica cerebrale, rilevate con l’esame di elettroencefalografia (EEG), e di alterazioni neurologiche, scompaiono spontaneamente con la crescita.
Genetica
Le cause genetiche riguardano le forme di epilessia provocate da una mutazione genetica che può essere ipotizzata sulla base della storia familiare. Le principali forme di epilessia geneticamente determinate sono legate a mutazioni di specifici geni, anche se si stima che possano essere circa 500 i geni correlati alla malattia.
Infezioni
Includono quelle condizioni in cui l’epilessia è direttamente correlata a un’infezione del Sistema Nervoso Centrale (ad esempio meningiti, encefaliti) e a patologie come:
- tubercolosi
- HIV
- malaria cerebrale
- toxoplasmosi cerebrale
- infezioni congenite da Zika virus
- citomegalovirus.
Infatti, queste infezioni possono spesso determinare lesioni cerebrali.
Cause metaboliche
Molti disturbi metabolici sono associati all’epilessia.
In effetti, sono difetti metabolici che, in molti casi, derivano direttamente da un difetto genetico come:
- porfiria
- uremia
- amminoacidopatie
- deficit da folati.
Quindi, l’identificazione di queste cause è molto importante per la scelta della terapia e la prevenzione di un’eventuale disabilità intellettiva.
Inoltre, altre cause possono essere:
- diminuita quantità o mancanza di ossigeno nei tessuti (ipossia/anossia) per riduzione del battito cardiaco (bradicardia) o arresto cardio-circolatorio;
- diminuzione prolungata della quantità di glucosio nel sangue (ipoglicemia);
- aumento della quantità di ammoniaca nel sangue (iperammoniemia);
- disturbi elettrolitici, ecc.
Cause immunologiche
Includono le condizioni immuno-mediate, cioè patologie che riguardano il sistema immunitario, in cui le crisi epilettiche rappresentano la sintomatologia più importante. Quindi, il riconoscimento di queste forme è fondamentale per orientare prontamente un’appropriata immunoterapia.
Epilessia: fattori di rischio
Alcuni fattori esterni possono facilitare la comparsa di un attacco epilettico. Ad esempio, nei soggetti predisposti possono comparire in seguito a stress psicofisici o a un’alterazione significativa del ciclo sonno-veglia (veglie prolungate, risvegli precoci, ecc.).
Anche l’eccessiva assunzione di alcool o un abuso di sostanze eccitanti (come la cocaina) può facilitare la comparsa di crisi.
Epilessia fotosensibile
Infine, alcuni soggetti sono particolarmente suscettibili all’effetto di luci intermittenti (il passaggio lungo un viale alberato, il riflesso del sole sull’acqua o sulla neve, luci al neon, luci psichedeliche, schermi televisivi, ecc.). In questo caso si parla di epilessia fotosensibile.
Chi è particolarmente sensibile agli stimoli visivi può andare incontro a crisi epilettiche perfino davanti alla TV o giocando ai videogame (anche per lo stress emotivo). Quindi, in questi casi, sono utili i seguenti accorgimenti:
- illuminare l’ambiente circostante, evitando la penombra;
- porre una lampada accesa vicino allo schermo;
- non stare troppo vicini allo schermo;
- utilizzare schermi > 100 Hz o di tecnologia più moderna (LCD, LED, ecc.) e ridurre la luminosità;
- fare frequenti pause;
- limitare il tempo trascorso davanti alla TV.
La fotosensibilità comunque non è presente in tutte le forme di epilessia e generalmente viene testata durante l’elettroencefalogramma (EEG).
Crisi febbrili
In alcuni casi gli attacchi epilettici possono colpire i bambini a causa di improvvisi aumenti della temperatura.
Le crisi febbrili (conosciute anche come “convulsioni febbrili”) si dicono semplici, se durano meno di 15 minuti e senza ripetizione nelle 24 ore, o complesse, se durano più di 15 minuti e si ripetono nelle 24 ore. In genere, le crisi febbrili semplici durano 2-3 minuti e non richiedono alcun tipo di trattamento. Invece, quelle complesse possono essere trattate farmacologicamente con benzodiazepine.
Le ricadute nei bambini con crisi febbrili sono circa il 30-40% e sono più frequenti in un’età inferiore ai 15 mesi e nei casi di familiarità. Il rischio di sviluppare l’epilessia è marginale nelle crisi semplici, mentre è stimato tra il 4 e il 15% nel caso di crisi febbrili complesse.
Epilessia: sintomi
I sintomi dell’epilessia sono le crisi epilettiche, solitamente di breve durata (secondi o pochi minuti), che possono manifestarsi con alterazione dello stato di coscienza e/o con movimenti involontari.
Cosa sono le crisi epilettiche
Si tratta di una scarica elettrica atipica e incontrollata di un gruppo di neuroni, che interrompe temporaneamente la normale funzione cerebrale. È tipicamente caratterizzata da alterazioni dello stato di coscienza, movimenti involontari o convulsioni.
La classificazione delle crisi epilettiche si basa sulla zona della corteccia cerebrale interessata. Infatti, la scarica delle cellule nervose, può verificarsi in una sola regione o in tutta la corteccia cerebrale (la cosiddetta zona epilettogena, cioè la regione cerebrale da cui origina la scarica epilettica).
Quanto dura una crisi epilettica
Le crisi possono durare dai 5 ai 10 minuti e sono generalmente caratterizzate da una fase di contrazione muscolare intensa, convulsioni e una fase di risoluzione.
Spesso sono precedute da un’aura, cioè un insieme di disturbi come:
- senso di nausea
- difficoltà digestive
- alterazioni dello stato di coscienza
- scotomi (disturbi visivi).
Invece, lo stato post-ictale, che spesso segue le crisi, è caratterizzato da:
- sonno profondo
- mal di testa
- confusione
- crampi muscolari.
Tuttavia, questa condizione dura da alcuni minuti a qualche ora.
La maggior parte dei soggetti, nell’intervallo tra le crisi, ritorna alla normalità dal punto di vista neurologico. Un eventuale deterioramento mentale progressivo è in genere legato alla patologia neurologica sottostante le crisi, non alle crisi stesse.
Epilessia: tipo di crisi
Le crisi epilettiche sono distinte in crisi a:
- esordio focale
- esordio generalizzato.
Crisi ad esordio focale
Sono caratterizzate dall’attivazione di una zona limitata di un solo emisfero cerebrale. Sono gli stessi sintomi generalmente a localizzare l’area del cervello interessata, poiché evidenziano la disorganizzazione dell’area corticale coinvolta dalla crisi.
Secondo il recente schema di classificazione delle crisi epilettiche, le crisi focali sono distinte in base al grado di compromissione della consapevolezza del soggetto. Si parla di episodi con consapevolezza conservata o con consapevolezza compromessa, cioè se è presente o meno un disturbo della coscienza.
Le crisi con parziale compromissione della coscienza si manifestano con:
- arresto dell’attività in corso
- fissità dello sguardo
- mancata risposta agli stimoli
- assenza di risposta a semplici comandi.
I disturbi della coscienza sono generalmente collegati alla propagazione della scarica critica che, da aree cerebrali delimitate, invade distretti sempre più ampi e, in particolare, le aree corticali associative. È considerato un segno clinico molto importante poiché indica la minore o maggiore intensità (e conseguentemente gravità) della crisi.
Sulla base del grado di interessamento della consapevolezza, le crisi focali sono classificate in:
Crisi focali ad esordio motorio
Sono caratterizzate da sintomi variabili come:
- disartria
- incoordinazione
- contrazioni muscolari progressive (ad esempio dalla mano, al viso e alla lingua).
Tali manifestazioni sono denominate “marcia jacksoniana”, per indicare la progressione della scarica critica che si diffonde coinvolgendo le diverse regioni del cervello. Inoltre, esse includono:
- aggressività
- ammiccamenti palpebrali
- movimento a tipo si-si del capo (noto come “head nodding”)
- automatismi manuali (grattare, strofinare, manipolare oggetti, ecc.), oro-facciali (masticazione, deglutizione), vocalizzazioni, ecc.
Crisi focali ad esordio non motorio
Si caratterizzano da segni e sintomi variabili a seconda delle regioni cerebrali interessate. A loro volta si distinguono in crisi con manifestazioni:
- vegetative che coinvolgono: motilità oculare, termoregolazione (sudorazione, brividi, ecc.), sistema cardiovascolare (pallore, arrossamento, alterazione del ritmo cardiaco, ecc.), sistema gastroenterico (nausea, vomito, dolore addominale, ecc.);
- cognitive che coinvolgono le aree deputate alle funzioni cognitive: alterazione della cognizione del tempo e della memoria (il soggetto ha la sensazione di aver vissuto il presente, déjà vu), sensazione di estraniamento o irrealtà, depersonalizzazione, afasia, amnesia, deficit di attenzione;
- crisi focali con manifestazioni emozionali o affettive i cui segni più evidenti sono: ansia, rabbia, paura, gioia, ecc. Recentemente sono state inserite in questo gruppo anche le crisi di risata (crisi gelastiche) e di pianto (crisi dacristiche);
- crisi focali con manifestazioni sensoriali. Si tratta di esperienze percettive non causate dall’ambiente esterno ma dal coinvolgimento di specifiche aree cerebrali: comparsa di rumori, suoni, musiche, allucinazioni olfattive o visive, formicolio, vertigini, scotomi, ecc.
Crisi ad esordio generalizzato
La sintomatologia coinvolge ambedue gli emisferi cerebrali e interessa fin dall’inizio ampie zone del cervello. Sono classificate in:
Crisi generalizzate motorie
A loro volta si distinguono in crisi:
- tonico-cloniche. Sono generalmente caratterizzate da tre fasi: tonica, clonica e postcritica. L’esordio è un grido con perdita di coscienza e contrazione della muscolatura per 10-20 secondi, con alterazione della pressione sanguigna, del ritmo cardiaco, salivazione, morso laterale della lingua e apnea. Segue poi una fase clonica con contrazioni muscolari bilaterali che si riducono gradualmente. La fase postcritica può durare parecchi minuti: il soggetto appare confuso, ipotonico e il respiro riprende la sua regolarità lentamente. Spesso è presente un sonno prolungato o dolori muscolari, cefalea e stanchezza;
- cloniche. Sono caratterizzate da scosse bilaterali e ritmiche, disturbo della coscienza prolungato;
- toniche. Sono contraddistinte da contrazione muscolare sostenuta con alterazione della coscienza. I muscoli interessati sono generalmente quelli del collo, testa o arti. Il cambiamento improvviso del tono muscolare può provocare cadute, spesso traumatiche;
- Mioclonie. Sono caratterizzate dalla comparsa di una contrazione involontaria, improvvisa e breve (<100 msec), di intensità e localizzazione variabile, di un muscolo o di un gruppo di muscoli. Sono generalmente scosse bilaterali in assenza di alterazioni della coscienza;
- miocloniche – atoniche/ crisi miocloniche – toniche. Sono crisi contraddistinte da scatti mioclonici (ovvero rapide contrazioni muscolari), spesso bilaterali, seguiti da atonia (perdita del tono muscolare) o da crisi tonico-clonica;
- atoniche. Sono caratterizzate da una improvvisa perdita del tono posturale che può interessare solo il collo, ma in genere coinvolge anche il tronco e gli arti, provocando improvvise cadute;
- spasmi epilettici. Sono contrassegnati da una brusca flessione o estensione (o entrambe) della muscolatura del tronco. Possono verificarsi fenomeni come head nodding (movimenti a tipo si-si del capo) e movimenti degli occhi.
Crisi generalizzate non motorie
Si distinguono in assenze che si manifestano con una breve alterazione dello stato di coscienza. Sono improvvise sia nell’esordio che nella fine. Il soggetto interrompe bruscamente l’attività in corso, presenta lo sguardo fisso, se chiamato non risponde e dopo circa 5-40 secondi riprende la propria attività come se nulla fosse accaduto. Sono assenze:
- atipiche. Durano più a lungo delle assenze tipiche e spesso sono associate a disturbi motori;
- miocloniche. Sono accompagnate da leggeri fenomeni motori soprattutto di tipo oculare;
- mioclonie palpebrali. Sono caratterizzate da movimenti palpebrali e deviazione verso l’alto degli occhi. Solitamente durano meno di 10 secondi e possono essere associate a una breve sospensione della coscienza.
Classificazione delle crisi epilettiche
Secondo la nuova classificazione, l’epilessia si distingue in epilessia:
- focale
- generalizzata
- combinata focale/generalizzata
- indeterminata.
Epilessia focale
È una condizione in cui i dati clinici e diagnostici evidenziano l’origine delle crisi in una zona specifica del cervello e in un solo emisfero. Si suddivide in base all’eziologia in:
– Epilessie focali strutturali, metaboliche, infettive e immuni. In queste epilessie è dimostrabile la presenza di una lesione cerebrale responsabile delle crisi. Si distinguono poi anche in base alla zona del cervello coinvolta (epilessie del lobo frontale, temporale, parietale e occipitale). I sintomi variano in relazione ai lobi coinvolti dalla crisi epilettica. L’età di esordio e la prognosi sono variabili. Fanno parte di questo gruppo la sindrome di Kojewnikov e la sindrome di Rasmussen.
– Epilessie focali genetiche. Si caratterizzano dall’assenza di deficit neurologici e cognitivi e, generalmente, da una buona risposta alla terapia. In alcuni casi, sono stati identificati i geni responsabili della patologia.
Epilessia generalizzata
Si caratterizza per la comparsa di crisi epilettiche generalizzate in cui la scarica elettrica origina da entrambi gli emisferi e interessa più aree cerebrali. Tra queste forme di epilessia, i cui fattori genetici svolgono un ruolo importante, esistono diverse sindromi ben definite che si distinguono per tipo predominante di crisi epilettica e per età di insorgenza. La maggior parte ha una buona prognosi.
Epilessie generalizzate genetiche
Costituiscono circa 1/3 di tutte le epilessie.
Sono generalmente benigne poiché rispondono bene alle terapie. Si manifestano solitamente nell’infanzia o nell’adolescenza, ma esistono anche forme che si presentano in età adulta e, raramente, nell’anziano. Sono di origine genetica e caratterizzate dalla presenza di crisi generalizzate senza alterazioni neurologiche.
Tra queste:
- Epilessia a tipo assenza dell’infanzia (chiamata anche “piccolo male”): l’esordio è compreso tra i 4 e gli 8 anni, risponde bene alla terapia e la prognosi è ottima, poiché si risolve spontaneamente con la crescita.
- Epilessia a tipo assenza dell’adolescenza: può presentarsi tra i 10 e i 17 anni. La risposta alla terapia è ottima, la prognosi un po’ più incerta rispetto alla forma infantile.
- Epilessia mioclonica giovanile (o sindrome di Janz): ha un esordio tra i 12 e i 18 anni. Generalmente le crisi epilettiche tendono a verificarsi al risveglio. Deprivazione del sonno e l’uso di alcol possono favorire le crisi.
- Epilessia con crisi di “grande male” al risveglio (o grande male sporadico). Può manifestarsi tra i 6 e i 35 anni (con un picco a 18 anni). Le crisi si verificano prevalentemente al risveglio.
- Epilessia a tipo assenza con mioclonie palpebrali (o sindrome di Jeavons). Ha un esordio tra i 2 e i 14 anni con una prevalenza nel sesso femminile.
Epilessia combinata focale/generalizzata
Si caratterizza per l’eterogeneità dei sintomi. Le crisi sono associate a deficit neurologici (ritardo intellettivo o regressione dello sviluppo cognitivo, disturbi psichiatrici) e ad alterazioni anatomiche. Fanno parte di questo gruppo la sclerosi tuberosa, la neurofibromatosi, le encefaliti postvacciniche e alcune alterazioni cromosomiche.
Sono ad esordio infantile e si contraddistinguono da un’epilessia grave che compromette le funzioni cognitive e psichiche
Tra queste: la sindrome di West, la sindrome di Lennox-Gastaut e la sindrome di Landau-Kleffner.
Epilessia: diagnosi
In caso di sospetta epilessia è opportuno rivolgersi a Centri specializzati. Per la diagnosi è necessaria un’accurata anamnesi, magari con l’aiuto dei familiari. Poi si passa agli esami strumentali e alle neuroimmagini.
Esami da fare
Elettroencefalografia (EEG). Mediante degli elettrodi posti sulla testa del soggetto, si registra l’attività elettrica del cervello. Ci sono poi anche metodiche EEG più avanzate, come la Video-EEG, molto utile quando è necessario filmare le crisi del paziente e analizzare le corrispondenti registrazioni dell’EEG. Poi, esistono in commercio piccoli apparecchi portatili che consentono la registrazione EEG per periodi prolungati (24-48 ore) anche se il soggetto è in movimento (EEG Dinamico).
Risonanza Magnetica (RM). Può fornire immagini del cervello sempre più complete, consentendo di evidenziare eventuali lesioni cerebrali e la conformazione strutturale del cervello.
RM funzionale (fMRI). In previsione di un intervento chirurgico, è importante eseguirla per mappare le aree cerebrali che controllano le funzioni essenziali (come ad esempio quelle motorie e del linguaggio) ed evitarle durante la rimozione di tessuto cerebrale e non creare quindi deficit permanenti. La fMRI può anche essere effettuata in combinazione con l’EEG, per verificare la correlazione dell’attività epilettica evidenziabile sull’EEG con l’attivazione di specifiche aree cerebrali.
Uno studio di neuroimmagini accurato permette di chiarire casi di difficile diagnosi ed è quindi fondamentale per la strategia terapeutica. Oltre l’EEG e alle neuroimmagini, per diagnosticare alcune forme di epilessia sono necessarie anche indagini di laboratorio di tipo genetico. Le epilessie genetiche costituiscono, infatti, il 30% di tutte le epilessie.
Diagnosi differenziale
Le patologie che presentano tra i sintomi anche crisi epilettiche sono molte. Tra queste:
- disturbi cerebrovascolari
- sincopi
- emicrania
- crisi psicogene
- disturbi tossico-metabolici
- disordini del movimento.
La diagnosi differenziale può essere difficile, soprattutto nel bambino e nei giovani. Infatti, in caso di attacco epilettico è necessario stabilire se si tratta di una crisi occasionale, cioè determinata da una causa specifica, oppure espressione di epilessia.
Quindi, l’iter diagnostico prevede la sintesi di dati:
- clinici
- neurofisiologici (EEG e tecniche correlate)
- neuroradiologici (in particolare la RM encefalo)
- di laboratorio, per individuare il tipo di crisi e accertare che si tratti di epilessia.
Un’anamnesi molto accurata per ottenere informazioni cliniche, raccolte dal paziente e dai familiari, è molto importante.
Epilessia: cure e trattamenti
Come si cura l’epilessia? L’approccio terapeutico è prevalentemente farmacologico, basato quindi sull’utilizzo di farmaci specifici (antiepilettici) per il controllo delle crisi.
La scelta del farmaco deve essere effettuata tenendo in considerazione fattori come: tipo di crisi e di sindrome epilettica, età, sesso, profilo psichico, presenza di eventuali comorbilità e aspetti psico-relazionali.
In linea generale, i farmaci per l’epilessia, attraverso meccanismi diversi, agiscono determinando un incremento dell’inibizione, un decremento dell’eccitazione o prevenendo l’alterazione dell’eccitabilità dei neuroni.
Quindi, il farmaco antiepilettico ideale dovrebbe possedere due caratteristiche fondamentali:
- essere efficace per gran parte delle forme di epilessia
- avere pochi effetti collaterali.
Il valproato è solitamente considerato una scelta molto sicura nelle epilessie generalizzate e la carbamazepina nelle epilessie parziali. Tuttavia oggi sono disponibili farmaci di nuova generazione che hanno l’indubbio vantaggio di avere meno effetti collaterali e quindi di essere più tollerati. Tra questi: felbamato, gabapentin, oxcarbazepina, topiramato, ecc.
Per ottenere una buona risposta alla terapia, il neurologo (specializzato nella diagnosi e terapia dell’epilessia) deve spiegare con chiarezza tutti gli aspetti della cura antiepilettica. Infatti, tale terapia, in genere, è protratta per alcuni anni, senza interruzione, e la maggior parte dei farmaci va assunta quotidianamente, a intervalli regolari. Quindi, è opportuno che il paziente conosca bene gli effetti collaterali della terapia e le eventuali interazioni con farmaci diversi.
Quando sospendere i farmaci
Il trattamento farmacologico può essere sospeso quando l’epilessia tende spontaneamente alla guarigione. Ad esempio, è il caso delle crisi di assenze tipiche dell’infanzia, che tendono a cessare spontaneamente con la pubertà.
Per tutti gli altri casi, la sospensione dei farmaci può avvenire dopo 3-5 anni senza crisi e la sospensione deve essere graduale (almeno sei mesi). Va comunque tenuto presente il rischio di recidiva. La percentuale di ricaduta dipende anche dal tipo di epilessia: nelle epilessie generalizzate idiopatiche, con crisi convulsive e mioclonie, è circa del 90% e nelle epilessie parziali varia dal 50 all’80%. È maggiore anche nelle epilessie ad esordio giovanile, nei casi in cui è necessaria l’associazione di più farmaci per controllare le crisi, oppure nei precedenti tentativi falliti di sospensione.
Farmacoresistenza
Si tratta di una situazione in cui, nonostante le cure, le crisi non scompaiono. Attualmente il fenomeno interessa il 20-30% delle persone affette da epilessia.
La comunità scientifica internazionale ha stabilito che può essere definito “farmacoresistente” un soggetto che continua ad avere crisi pur avendo assunto almeno due farmaci specifici, nelle giuste dosi e per il periodo stabilito. Esistono, tuttavia, anche casi di falsa farmacoresistenza, dovuti cioè a una diagnosi errata, alla scelta inadeguata del farmaco e/o delle sue dosi e all’assunzione non corretta della terapia.
Nei casi di farmacoresistenza è possibile tentare l’approccio neurochirurgico.
Trattamento chirurgico dell’epilessia
Nell’ambito delle epilessie focali (cioè che si originano da una determinata area del cervello), almeno il 25% dei soggetti è resistente alle terapie mediche. In questi casi è opportuno verificare la possibilità di un intervento chirurgico. I protocolli medici prevedono l’approccio chirurgico quando, dopo anni di terapia, con almeno due dei farmaci antiepilettici, non si è ottenuto il controllo completo delle crisi.
La terapia chirurgica delle epilessie consiste nella rimozione (quando possibile, senza causare deficit neurologici) della parte di corteccia responsabile delle crisi. Le indagini neurofisiologiche (EEG e Video-EEG), lo studio del tipo di crisi (aspetti clinici) e le neuroimmagini (RM), consentono l’identificazione di questa regione cerebrale, la zona epilettogena. Nel 40% dei soggetti, sono invece necessarie indagini più sofisticate (come l’impianto di elettrodi all’interno del cervello per registrare le crisi).
Risultati incoraggianti
I progressi scientifici e strumentali consentono ormai di identificare la causa delle crisi in quasi il 90% dei soggetti candidati a un intervento e le procedure chirurgiche presentano rischi molto bassi (in genere l’1%).
Circa il 70% dei pazienti operati ottiene un ottimo risultato con l’intervento: l’assenza di crisi consente, in un secondo momento, di ridurre e sospendere la terapia farmacologica. Inoltre, l’assenza di crisi consente al soggetto di recuperare una buona qualità della vita e una maggiore autonomia.
Può anche guidare a un anno dall’intervento, tornare al lavoro e, nei casi pediatrici, seguire un iter scolastico senza gli effetti negativi delle crisi e della terapia farmacologica.
Altri trattamenti
In caso di epilessia farmacoresistente, in cui non si può ricorrere alla chirurgia (perché le crisi originano da più zone del cervello, oppure per il rischio di danni neurologici permanenti), ci sono terapie palliative per diminuire le crisi e la somministrazione dei farmaci. Tra queste:
• Stimolazione vagale. Attraverso un pace-maker sottocutaneo, posizionato a lato del collo, sono inviati degli impulsi al nervo vago che tendono a diminuire la frequenza delle scariche elettriche del cervello, consentendo una riduzione più o meno rilevante delle crisi, con conseguente miglioramento della qualità di vita.
• Stimolazione cerebrale profonda (DBS). Si tratta di un impianto di elettrodi in specifiche aree del cervello con l’ausilio di un dispositivo, tipo pacemaker, che invia impulsi al cervello.
• Responsive Neurostimulation (RNS). È un sistema di neurostimolazione progettato per prevenire convulsioni epilettiche. Si tratta di un piccolo dispositivo impiantabile in un massimo di due aree cerebrali responsabili delle crisi epilettiche. Controlla continuamente l’attività cerebrale, rileva attività anormali e, in risposta, eroga impulsi elettrici impercettibili prima della comparsa degli attacchi.
• Cannabidiolo. In forma farmaceutica, questa sostanza sembra ridurre la frequenza delle crisi, soprattutto nelle epilessie farmacoresistenti e in particolar modo nei bambini. Il farmaco non contiene la componente psico-attiva della cannabis.
Epilessia: prognosi e decorso
Il tasso di mortalità nei soggetti epilettici è circa 2-3 volte superiore a quello della popolazione generale.
Il decesso può essere dovuto a patologie correlate all’epilessia (tumori, patologie degenerative, ecc.) o avvenire accidentalmente nel corso di una crisi (asfissia, trauma cranico secondario, ecc.).
Negli ultimi anni molti studi si sono occupati del rischio di morte improvvisa senza causa apparente in soggetti con epilessia: tale condizione, definita con l’acronimo SUDEP (Sudden Unexpected Death Epilepsy), è responsabile del 10% dei decessi.
Recidiva
Il rischio di recidiva dopo una prima crisi epilettica spontanea è prossimo all’80% dopo 3 anni.
Generalmente, una remissione degli attacchi trattati farmacologicamente si osserva nel 70-80% dei casi. Ciò, dopo attenta valutazione, può comportare la sospensione della terapia. Tuttavia il rischio di ricaduta è del 17-50%.
Prognosi
Per quanto riguarda la prognosi di epilessia, si possono distinguere epilessie:
- spontaneamente benigne (ottima prognosi, remissione spontanea, possibilità di non prescrivere la terapia)
- farmacosensibili (prognosi buona, remissione sotto trattamento, possibilità di sospensione dei farmaci)
- farmacodipendenti (prognosi più riservata, mantenimento necessario della terapia, remissione poco probabile, frequente ricaduta dopo la sospensione dei farmaci)
- farmacoresistenti (20-30% dei casi, prognosi sfavorevole, persistenza delle crisi nonostante l’uso dei farmaci).
Stato di male epilettico
E’ una situazione clinica nella quale una crisi epilettica si prolunga per più di 20 minuti o nella quale le crisi si ripetono a brevissimi intervalli (inferiori al minuto), determinando quasi una condizione epilettica continua.
Le cause più frequenti sono le patologie cerebrovascolari, i traumi cranici, i tumori cerebrali, le infezioni del sistema nervoso centrale, le encefalopatie metaboliche o da sostanze tossiche e i disordini elettrolitici.
Nel 20% circa dei casi è impossibile individuare la causa scatenante, soprattutto nei soggetti che già soffrono di epilessia.
La prognosi dipende dalla causa scatenante: l’anossia, l’ictus, le infezioni del sistema nervoso centrale e i disturbi metabolici sono associati ad una prognosi peggiore, mentre le patologie correlate all’alcool o a traumi cranici sono associati ad una mortalità più bassa.
La mortalità globale è calcolata fra il 2,5% ed il 38%, con un aumento collegato sia all’età che alla durata dello stato di male. L’incidenza è di 40-60 casi all’anno per 100.000 abitanti.
Epilessia: impatto sociale
Accettare la diagnosi
La diagnosi di epilessia è indubbiamente difficile da accettare, anche per le problematiche psicosociali, che possono causare stati di ansia e depressione. La difficoltà principale è accettare una patologia un po’ misteriosa, causata da un’alterazione del funzionamento del cervello che insorge all’improvviso e che, al di fuori delle crisi, non ha conseguenze sul benessere fisico.
Quindi, è importante da parte del medico fornire informazioni molto dettagliate sulla malattia e avere un atteggiamento ottimistico sulle prospettive di guarigione. Nei bambini, l’iperprotezione familiare e le possibili discriminazioni a scuola hanno un impatto negativo, mentre negli adulti possono presentarsi difficoltà nell’integrazione sociale, anche per il pregiudizio e la scarsa informazione sulla malattia.
Quindi, la persona epilettica sviluppa molto spesso un “disagio” psichico paragonabile a un “effetto collaterale” della malattia stessa.
Perciò, spesso è necessario un sostegno psicologico anche mediante gruppi di auto-aiuto, per confrontare le difficoltà e trovare soluzioni comuni.
Epilessia nei bambini e adolescenti
Il bambino con epilessia si trova spesso a fronteggiare problemi di inserimento a scuola.
Inoltre, i genitori, il più delle volte, sono iperprotettivi e tendono a nascondere il disturbo, anche agli insegnanti, oppure ne parlano “troppo”, descrivendo il figlio come un “handicappato” e chiedendo esenzioni da certe attività o trattamenti educativi personalizzati.
Gli insegnanti, a loro volta, non hanno conoscenze adeguate sull’epilessia e spesso tendono a drammatizzare, contribuendo, anche involontariamente, a emarginare il bambino. La paura più grande è la difficoltà nel gestire un attacco epilettico in classe. Poi, i compagni possono confondere questa malattia con un ritardo mentale e deridere il bambino. Per questi motivi, le ripercussioni psicologiche sul bambino, che inizia a sentirsi “malato” e diverso, sono gravose.
Quindi, per facilitare l’inserimento scolastico sono fondamentali interventi educativi e formativi che coinvolgono genitori, insegnanti, il bambino stesso e i suoi compagni.
L’epilessia, soprattutto nei casi meno gravi, non incide significativamente sulle capacità di apprendimento. Ciò che, invece, può avere effetti negativi sull’apprendimento scolastico sono i farmaci antiepilettici, poiché alcuni possono causare disturbi cognitivi.
Per un adolescente accettare di essere epilettico è ancora più difficile, anche per il pregiudizio dei suoi coetanei. Questa è un’età particolare, in cui spesso il giovane “non si piace” e le crisi epilettiche sono vissute come una vera e propria disgrazia. Essendo un’età di transizione è ancora più opportuno un sostegno psicologico.
Epilessia nelle donne
L’epilessia non ha ‘preferenze’ di genere, colpisce uomini e donne nella stessa misura, ma le donne si trovano ad affrontare problematiche specifiche:
- effetti collaterali di alcuni farmaci antiepilettici possono incidere sull’aspetto estetico
- sono le donne a prendersi cura dei figli, quindi l’insorgenza improvvisa di una crisi può avere effetti difficili da gestire
- l’uso dei farmaci antiepilettici ha un impatto a livello ormonale e riproduttivo; può influire sul ciclo mestruale, terapia contraccettiva, gravidanza, salute fetale e allattamento.
Epilessia e contraccezione
È possibile assumere contraccettivi, ma va evidenziato che alcuni antiepilettici riducono l’azione contraccettiva della pillola rendendola quindi meno “sicura”.
Per quanto riguarda la fertilità, non ci sono evidenze scientifiche che attestino che l’epilessia renda le donne meno fertili, anche se statisticamente le donne epilettiche hanno meno figli rispetto alla popolazione femminile generale. Però, non vanno sottovalutati fattori psicosociali come la difficoltà nel trovare un partner che accetti la malattia, paura di concepire un figlio epilettico, ecc.
Epilessia e gravidanza
Durante la gravidanza o il parto, l’epilessia non pone particolari limiti, tranne nei casi di crisi frequenti e intense (in cui è consigliato il parto cesareo). Tuttavia, i farmaci possono causare malformazioni del feto, però il 90% dei figli di donne con epilessia nasce sano e l’assunzione dei farmaci antiepilettici non rappresenta una controindicazione.
Allattamento
L’allattamento al seno non è rischioso, anche perché la quantità di farmaco nel latte materno è piuttosto esigua e l’eventuale effetto sedativo nel neonato è lieve e temporaneo.
Tuttavia, tutti questi aspetti spesso provocano nella donna ansia e depressione, rendendo utile un sostegno psicologico.
Epilessia negli anziani
La causa principale di epilessia negli anziani sono le lesioni cerebrali dovute a problemi circolatori (ad esempio ictus) o alla presenza di demenza, tumori o altre malattie degenerative.
La cura dell’anziano con epilessia è abbastanza problematica, poiché il disturbo spesso si associa ad altre malattie che necessitano anch’esse di farmaci.
Quindi, è essenziale tenere presente le interazioni tra i vari medicinali, scegliere il farmaco più adatto e controllare bene il dosaggio e l’assunzione regolare dei farmaci.
Cosa fare e non fare in caso di attacco epilettico
Una crisi epilettica di tipo tonico-clonico (la crisi convulsiva o Grande Male) può spaventare chi vi assiste per la prima volta. In realtà questo tipo di attacco non è pericoloso, a parte per gli eventuali traumi dovuti alla caduta improvvisa, e dura molto poco.
Ecco cosa fare:
- mettere una cosa morbida sotto la testa
- girare il soggetto di fianco per favorire la fuoriuscita di saliva e permettere la respirazione
- guardare sull’orologio quanto dura la crisi
- allentare i vestiti stretti e togliere gli occhiali al termine delle scosse
- aiutare il soggetto a riprendersi quando la crisi termina.
Cosa non fare
- cercare di aprire la bocca per impedire il morso della lingua
- inserire qualcosa nella bocca
- cercare di bloccare la persona durante gli attacchi
- somministrare acqua, farmaci o cibo.
Quando chiamare l’ambulanza
- La crisi colpisce un soggetto che non soffre di epilessia
- dura più di 5 minuti
- dopo la crisi il soggetto presenta difficoltà respiratorie
- le crisi sono ripetute
- segni di trauma dopo la crisi.
Nel caso delle crisi a tipo assenza (o Piccolo Male) non occorre fare nulla. Il soggetto perde coscienza per pochi secondi, ma non cade a terra e non manifesta fenomeni motori.
Invece, nelle crisi focali, come quelle del lobo temporale, può esserci una compromissione parziale del livello di coscienza. In questi casi è inutile cercare di far “tornare in sé” la persona o impedire i suoi movimenti. Invece, è opportuno limitarsi a vigilare per evitare che si faccia del male.
Si può viaggiare se si ha l’epilessia?
Chi soffre di epilessia può viaggiare in aereo, ma in caso di crisi non controllate è necessario informare il personale di bordo.
Tuttavia, se la meta è un Paese caldo o tropicale, è necessario informarsi sulle vaccinazioni. La maggior parte dei vaccini è sicura, ma alcuni sono controindicati. In questi casi è sempre bene consultare un neurologo.
Epilessia e mondo del lavoro
L’epilessia non impedisce di lavorare, tranne nei casi in cui le crisi epilettiche rappresentano il sintomo di una malattia neurologica più complessa, che può limitare le attività lavorative.
Tuttavia, molti datori di lavoro, soprattutto privati, si spaventano all’idea di avere un dipendente epilettico e questo rende certamente più difficile l’inserimento occupazionale.
Però, è possibile almeno richiedere l’invalidità civile, che è assegnata in una percentuale variabile in base al tipo di epilessia e alla frequenza delle crisi. Se la percentuale di invalidità è uguale o superiore al 46%, è possibile iscriversi alle liste di collocamento rientrando tra le categorie protette.
Epilessia e patente di guida
I soggetti affetti da epilessia possono ottenere la patente di guida. Però, occorre presentare una domanda, firmata da un neurologo della ASL, alla Commissione Medica locale. Attualmente è sufficiente un periodo senza crisi di almeno un anno per poter richiedere o rinnovare la patente A e B.
Epilessia e sport
Chi soffre di epilessia può praticare sport o esistono dei limiti? La risposta è sì, in entrambi i casi. I soggetti con epilessia possono, infatti, fare sport, ad eccezione di quelli più rischiosi (alpinismo, paracadutismo, pugilato, immersioni subacquee, ecc.). Da svolgere con cautela anche nuoto, sci e equitazione, soprattutto se praticati senza sorveglianza. Gli sport di gruppo sono comunque preferibili a quelli individuali.
Invece, non è possibile praticare lo sport agonistico, poiché la diagnosi di epilessia non consente il rilascio dell’idoneità sportiva da parte delle Autorità competenti.
Lo sport è consigliato sia per aumentare il benessere psicofisico, sia per favorire l’integrazione sociale.
L’attività fisica, infatti, ha effetti benefici a livello neurologico, può ridurre la frequenza delle crisi e degli stati depressivi, aumentare l’autostima, favorire la socializzazione, migliorare le funzioni cognitive e, in generale, la salute a lungo termine.
Tuttavia, la scelta dell’attività sportiva va valutata attentamente con il neurologo.
Sport da evitare
- Paracadutismo
- immersione subacquea
- alpinismo
- deltaplano, aliante e volo a motore
- pugilato.
Sport consentiti
- Atletica leggera
- basket
- pallavolo
- calcio
- danza
- sport con racchetta
- camminata
- jogging
- corsa.
Con precauzioni
- Sci d’acqua
- nuoto
- canoa
- windsurf
- vela.
Sport da valutare con il neurologo
- Ciclismo
- pattinaggio
- equitazione
- ginnastica
- rugby
- hockey su ghiaccio
- sport da contatto (box, karate ecc.).
Epilessia e yoga
Un recente studio americano, pubblicato su Medical Hypotheses, ha esaminato in che modo questa disciplina agisca sullo stress. L’ipotesi è partita dalla conferma che lo stress provoca uno squilibrio del sistema nervoso autonomo e una ridotta attività del neurotrasmettitore inibitorio chiamato “GABA”. Questo squilibrio ha effetti sull’intero organismo: una bassa attività del GABA si è riscontrata nei disturbi d’ansia, nel disturbo da stress post-traumatico, nella depressione, nell’epilessia e nel dolore cronico. La pratica costante dello yoga sembra in grado di riportare a livelli di normalità questo neurotrasmettitore con evidenti benefici.
Atleti con epilessia
Molti personaggi dello sport hanno sofferto di epilessia. Tra questi:
- Salvatore Antibo, mezzofondista italiano, due volte campione europeo sui 5.000 e 10.000 metri e medaglia d’argento alle Olimpiadi di Seul del 1988 sui 10.000 metri. Antibo è il testimonial della LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia);
- Marion Clignet, ciclista francese;
- Florence Griffith, velocista statunitense;
- Alan Faneca, giocatrice americana di hockey su ghiaccio.
Epilessia: dieta
Chetogenica
E’ una dieta terapeutica che ha dimostrato di migliorare il controllo delle crisi in pazienti con epilessia farmacoresistente. Si utilizza, pertanto, per trattare alcune patologie metaboliche quali il GLUT1 (deficit di proteina di trasporto del glucosio) e PDH (carenza di piruvato deidrogenasi).
Questa dieta, da seguire con la supervisione di un neurologo e di un nutrizionista, prevede un regime nutrizionale basato su un’elevata percentuale di grassi e una quota ridotta di proteine e carboidrati. Infatti, l’obiettivo è indurre uno stato di chetosi cronica per simulare lo stato metabolico del digiuno. Quindi, in questo modo si “obbliga” l’organismo a utilizzare i grassi invece del glucosio come fonte di energia, mantenendo elevato lo sviluppo di corpi chetonici.
Il rapporto tra i costituenti è: 4 gr grassi / 1 gr di proteine + carboidrati.
Effetti collaterali
Partendo dall’osservazione che il digiuno ha un effetto “sedativo” nei confronti delle crisi epilettiche, è nata l’idea di ricorrere alla dieta chetogenica come opzione terapeutica. Tuttavia, come tutte le terapie, anche la dieta chetogenica può presentare alcuni effetti collaterali come:
- nausea
- vomito
- diarrea
- sonnolenza
- inappetenza
- ipoglicemia.
Successivamente, dopo alcuni mesi, stitichezza, calcolosi renale, acidosi, alterazione di alcuni parametri ematici.
Dieta chetogenica: per quanto tempo?
Se l’inizio del trattamento è precoce, le possibilità di successo sono maggiori. Questa terapia però va seguita per un tempo limitato. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Epilepsia Open, nei bambini con un controllo delle crisi maggiore del 50%, la dieta può essere seguita anche per due anni (a patto che non compaiano effetti collaterali che richiedano la sospensione del trattamento).
Invece, si può seguire più a lungo, se nel tempo, si osserva una remissione del 90% delle crisi epilettiche, con effetti collaterali scarsi.
Epilessia e cinema
I pugni in tasca
Diretto da Marco Bellocchio, è la storia di una famiglia borghese che vive in una decadente villa nel piacentino. Con una madre cieca, è il figlio maggiore Augusto a gestire la famiglia.
Poi c’è Leone, il più giovane dei fratelli, affetto da epilessia, e Giulia legata morbosamente a Sandro, l’ultimo dei fratelli, anche lui epilettico.
Sandro progetta di uccidere tutti i suoi familiari e quando se ne presenta l’occasione, spinge la madre in un burrone, affoga nel bagno Leone e, dopo aver rivelato tutto alla sorella Giulia, si allea con lei per uccidere Augusto. Ma la fredda determinazione di Sandro spaventa Giulia che, temendo di diventare la prossima vittima, non interviene a salvarlo nel corso di una grave crisi epilettica.
Il grande cocomero
Con la regia di Francesca Archibugi, è la storia di una dodicenne, Valentina, soprannominata Pippi, ricoverata in ospedale in seguito a un attacco epilettico.
Lo psichiatra, Arturo, accoglie la ragazzina nel suo reparto di Neuropsichiatria infantile e tenta con lei un approccio psicoterapeutico. Comprende che nell’ambiente familiare, superficiale e fatto di reciproca indifferenza, Pippi è lasciata sola a sé stessa. In ospedale, invece, trova l’affetto, sia in Arturo che in una bimba cerebrolesa cui dedica il proprio tempo e le proprie attenzioni. Sarà proprio la morte della bimba a scatenare il rifiuto di Pippi nei confronti di Arturo e a indurla a una crisi epilettica che fornirà allo psichiatra la chiave per guarire la giovane.
L’aria salata
Nel film di Alessandro Angelini, Fabio, un educatore a Rebibbia, ritrova per caso all’interno del carcere suo padre, Luigi Sparti, condannato per omicidio, che finge di essere epilettico per ottenere la semilibertà. Fabio e Luigi non si sono più visti da quando l’uomo ha abbandonato suo figlio quando aveva solo sei anni. Alessandro decide di aiutare il padre, ma quando scopre che spaccia droga all’interno del carcere gli rivela la sua identità. Padre e figlio iniziano un confronto che li porterà a confidarsi le reciproche sofferenze vissute negli anni di lontananza.
Mi prendo cura di te
È un film dedicato all’epilessia e interpretato da oltre cento neurologi che hanno recitato la parte dei pazienti. Si tratta di un progetto della Lega Italiana contro l’Epilessia (Lice), presentato al 35° Congresso nazionale dell’associazione. È un’opera rivolta a medici e operatori del settore, per aiutarli a comprendere le specifiche necessità dei soggetti affetti da epilessia. Il film è parte di un progetto, accreditato dal Ministero della Salute, chiamato “mEdiCinema”, nato sulla scia di un innovativo approccio terapeutico. Mediante il racconto di storie di pazienti, familiari e clinici, si cerca di comprendere le persone nel proprio specifico contesto, per mettere a fuoco necessità e nuove strategie di intervento.
Epilessia: cenni storici
L’epilessia, dal greco epilēpsía, cioè “essere colto di sorpresa” o anche “essere invaso”, nell’antica Grecia veniva considerato un male sacro, causato cioè da un intervento divino o demoniaco. Tra i più antichi rituali di guarigione utilizzati in Grecia per guarire l’epilettico c’era la “pratica dell’incubazione” che consisteva nel far dormire il soggetto sopra una lastra di pietra nel tempio d’Esculapio (il dio della Medicina), attendendo la guarigione. Ma anche la luna piena si credeva influenzasse la ricorrenza degli attacchi epilettici, che poi venivano curati con i semi e le radici della peonia, la polvere delle ossa di cranio e il sangue umano. Come testimonia Plinio il Vecchio, si usava, infatti, cospargere di sangue umano la bocca di un epilettico. Oppure doveva succhiare il sangue che usciva dalla bocca di un gladiatore morente per trarne risultati terapeutici.
Nell’antica Roma l’epilessia era chiamata anche “morbo comiziale” (termine ancora diffuso in medicina). Se un partecipante aveva una crisi epilettica durante i comizi, la riunione era subito sciolta, perché era un segno di malaugurio.
Il Morbo sacro
La prima descrizione dell’epilessia si deve a Ippocrate di Cos, che scrisse un trattato sull’epilessia (“Morbo Sacro”) evidenziando la natura organica della malattia e ponendo le basi per un approccio scientifico alla medicina.
Infatti, Ippocrate utilizza la “teoria umorale”, secondo la quale lo stato di salute consisteva in un equilibrio di “umori”: flegma, bile nera, bile gialla e sangue. L’epilessia era causata, dunque, da un eccesso di “flegma”, cioè un’eccessiva secrezione di muco da parte del cervello.
Gli studi sull’epilessia si fermano nel Medioevo, epoca in cui gli epilettici erano considerati “posseduti dal demonio” e perfino contagiosi. Non era raro, infatti, che le donne epilettiche in gravidanza venissero sepolte vive e che gli uomini fossero castrati.
Dalla magia alla scienza
Successivamente, fu il neurologo inglese John Hughlings Jackson nel 1861 ad affermare, grazie all’osservazione clinica, che la crisi epilettica dipendeva da “una scarica occasionale, improvvisa, eccessiva e rapida, localizzata nelle cellule nervose della materia grigia”.
Quindi, gli studi di Jackson posero le basi neurofisiologiche per la comprensione delle crisi epilettiche. Inoltre, nei primi decenni del Novecento comparvero i primi farmaci anticonvulsivanti e le indagini diagnostiche fecero passi avanti con la prima registrazione dell’attività elettrica celebrale nell’uomo.
Invece, la prima classificazione dei disturbi epilettici fu proposta dal francese Gastaut nel 1970.
La classificazione attuale, basata principalmente sull’aspetto clinico ed elettroencefalografico delle crisi epilettiche, adottata a livello mondiale è la “Classificazione Internazionale Delle Crisi Epilettiche”.
Epilessia e grandi uomini
Giulio Cesare
Testimonianze scritte raccontano dell’imperatore in preda a strani malori, descritti come un’epilessia, forse a causa di infezioni croniche. Tuttavia le crisi epilettiche non danneggiarono le funzioni cognitive di Cesare che restò senatore fino al giorno dell’assassinio.
Fëdor Dostoevskij
Il grande scrittore definiva gli attacchi epilettici “il tocco di Dio”. Non tentò alcuna cura, anche perché all’epoca l’epilessia era considerata un male dell’anima.
Vincent Van Gogh
Dai documenti si evince che la malattia lo accompagnò per tutta la vita, associata a sintomi psicotici e depressivi che lo portarono al suicidio.
Ed ancora: Alessandro Magno, Aristotele, Charles Dickens, Ludwig van Beethoven, Isaac Newton, Pietro Il Grande.
Con la consulenza del Dott. Carlo Di Bonaventura, neurologo, dirigente medico di I livello c/o Clinica Neurologica, Policlinico Umberto I, Dipartimento di Neuroscienze Umane, Sapienza Università di Roma
Si ringrazia il Prof. Alfredo Berardelli per la gentile concessione del materiale bibliografico: La Neurologia della Sapienza, edizione 2019, Esculapio Editore.
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