Sommario
L’epatite C è una malattia causata da un virus che attacca le cellule del fegato producendo un’infezione acuta che nella maggior parte dei casi è asintomatica o associata a sintomi compatibili con l’influenza.
La permanenza di uno stimolo infiammatorio porta, con il trascorrere del tempo, allo sviluppo di fibrosi epatica, che può evolvere in cirrosi e, in un certo numero di pazienti, in tumore del fegato.
La malattia viene diagnosticata tramite un semplice esame del sangue. Tuttavia, non causando sintomi specifici, risulta poco diagnosticata nella sua fase iniziale. Nella maggior parte dei casi, infatti, il test viene effettuato quando compaiono i sintomi, ossia in una fase anche molto avanzata dell’epatite C, quando i danni al fegato sono già irreversibili. Per questa ragione viene consigliata l’esecuzione degli esami del sangue specifici a tutti coloro che rientrano nelle categorie a rischio.
La diagnosi dell’epatite C e il suo monitoraggio nel tempo possono rendere necessaria l’esecuzione della biopsia epatica, un esame invasivo, anche se (occorre precisarlo) indolore che permette di studiare le alterazioni delle cellule del fegato per risalire allo stadio della patologia e valutare l’efficacia delle cure.
Fino all’avvento dei recenti farmaci ad azione antivirale diretta, l’epatite C è stata trattata con medicinali meno specifici, con scarsa efficacia e numerosi effetti collaterali. Strumenti farmacologici che non riuscivano ad arrestare la progressione della malattia, che in un numero relativamente elevato di pazienti rendeva necessario il trapianto d’organo.
Questi farmaci, il cui esponente più noto è il sofosbuvir, hanno radicalmente cambiato la storia dell’epatite C, riuscendo a produrre la guarigione nella quasi totalità delle persone sottoposte alla terapia e accorciando le liste d’attesa per il trapianto di fegato.
Che cos’è l’epatite c
L’epatite è un’infiammazione del fegato che può essere originata da un virus, da batteri o da parassiti. Ci sono 5 tipi di epatite virale:
- A
- B
- C
- D
- E.
I virus responsabili di queste infezioni sono rispettivamente: HAV, HBV, HCV, HDV, HEV.
Se vuoi saperne di più sull’epatite B, leggi il nostro approfondimento.
L’epatite C è una patologia causata da un virus (HCV) che infetta le cellule del fegato dando il via ad un processo infiammatorio, la fase acuta della malattia.
Nella maggior parte dei casi, i soggetti infettati non sviluppano sintomi, o sviluppano manifestazioni lievi, che vengono facilmente confuse con quelle influenzali o da virus para-influenzale.
Se, come accade nei tre quarti della popolazione che viene raggiunta dall’infezione, il virus non viene sconfitto dal sistema immunitario, rimane nel fegato.
Quindi, lo stimolo infiammatorio permane e la patologia evolve negli anni verso la forma cronica. È in questa fase che generalmente viene diagnosticata, quando ormai le lesioni epatiche sono irreversibili.
Chi colpisce
Le stime raccontano che più di 170 milioni di persone nel mondo sono state infettate dal virus HCV e, di queste, 70 milioni soffrono di epatite C cronica.
Oltre ai fattori di rischio della trasmissione, questa infezione riconosce una correlazione ancora non ben chiara con alcune condizioni. Fino al 20% delle persone con epatopatia alcolica (una lesione diffusa del fegato causata dall’alcolismo) ha una sovra-infezione da virus dell’epatite C. Inoltre, la positività al virus HIV aumenta di 6 volte il rischio di contrarre l’infezione da HCV.
La prevalenza della malattia è più elevata tra le persone nate negli anni 1945-1970. Infatti, in questo periodo, la diffusione delle malattie a trasmissione ematica è stata importante e in gran parte legata alle trasfusioni di sangue e di emoderivati infetti e all’utilizzo di siringhe in vetro non monouso non sterili.
L’introduzione dei test diagnostici specifici nello screening dei donatori di sangue ha permesso di contenere il rischio di trasmissione iatrogena (ossia attraverso procedure mediche) del virus HCV. Un pericolo che è stato azzerato dall’avvento dei test di rilevazione del RNA del virus (HCV-RNA).
La diffusione in Italia
In Italia la prevalenza del virus è stimata compresa fra il 2 ed il 3%, con picchi del 5-10% nelle regioni meridionali.
Nel nostro Paese sono presenti circa 1,5 milioni di persone infette.
Epatite C e infezione da HIV
I dati statistici dicono che le persone già infettate dal virus HIV hanno un rischio aumentato di 6 volte, rispetto alla popolazione generale, di ammalarsi anche di epatite C.
Sembra che l’anello di congiunzione fra queste due patologie sia costituito dall’uso di droghe iniettive, che espone al rischio di contrarre una serie di virus trasmissibili per via ematica.
I casi di co-infezione sono estremamente diffusi. Infatti, il 25% dei pazienti HIV positivi è anche infettato da HCV.
Questo aspetto costituisce, soprattutto nei Paesi più poveri, un serio problema di salute pubblica. Alla nostra latitudine, questa situazione è in larga parte migliorata grazie all’introduzione in terapia degli antivirali ad azione diretta.
Cause dell’epatite C: il virus HCV
Il virus dell’epatite C è stato scoperto e identificato da tre ricercatori, Harvey J. Alter, Charles M. Rice e Michael Houghton, che hanno ricevuto, per questo, il Premio Nobel per la Medicina nel 2020.
Le ragioni dell’ambito riconoscimento fanno riferimento alla possibilità di riconoscere la malattia come un’entità patologica a se stante. Ma anche alle prospettive aperte per lo studio dei tumori del fegato, la cui genesi ha aspetti in comune con il virus HCV.
Come è fatto un virus
Un virus è un microorganismo caratterizzato da una struttura piuttosto semplice, che si appoggia agli elementi delle cellule animali e umane per potersi replicare. Per questo il virus rimane vitale solo se trova una cellula ospite che gli mette a disposizione le sue strutture biochimiche.
Il virus è composto sostanzialmente da un nucleo di materiale genetico (che può essere DNA o RNA) circondato da un involucro di proteine (detto capside). Talvolta è ricoperto esternamente da una membrana che ricorda le nostre membrane cellulari (envelope).
Alcuni virus contengono all’interno della loro struttura proteine utili alla replicazione all’interno della cellula ospite. Queste proteine, in particolare le proteasi, sono bersaglio di alcuni farmaci antivirali.
Genotipi
L’HCV appartiene alla famiglia delle Flaviviridae, genere Hepacivirus.
Si tratta di un virus il cui genoma, in questo caso RNA, è soggetto a frequenti mutazioni. Poiché il microorganismo continua a cambiare, lo sviluppo di un vaccino è complesso.
Ad oggi nessun vaccino è disponibile per l’epatite C.
Inoltre, proprio perché il virus non è mai uguale a se stesso, il sistema immunitario fatica a riconoscerlo. Questo rende più facile la sua permanenza nell’organismo e l’evoluzione della malattia verso la forma cronica.
La variabilità del patrimonio genetico del virus è tale da avere prodotto 6 diversi genotipi e oltre 90 sottotipi.
Non è completamente chiaro il ruolo dei diversi genotipi nel decorso clinico della malattia. Ma la comunità scientifica ha accertato che influenzano il decorso della malattia e la risposta alle terapie antivirali. Per questa ragione, lo studio del genotipo virale deve essere effettuato in ogni paziente prima di iniziare l’assunzione dei farmaci.
Infine, il genotipo è associato anche alla distribuzione geografica. Negli Stati Uniti prevale il genotipo 1 (ma sono presenti anche il 2 ed il 3), in Europa il 4, in Africa 4 e 5, in Asia il 6.
Target
Il virus HCV colpisce principalmente le cellule del fegato (epatociti), ma può infettare anche altri tipi cellulari, come alcune cellule del sangue e del midollo osseo.
Periodo di incubazione del virus HCV
Il virus HCV ha un periodo di incubazione molto variabile. Possono trascorrere da 2 settimane a 6 mesi dal momento dell’infezione (ovvero quando il virus entra per la prima volta in una cellula dell’organismo) a quando la malattia si manifesta.
Il periodo di incubazione è per lo più compreso fra le 6 e le 9 settimane.
Epatite C: virus HCV, quale organo colpisce e come
Il danno che il virus HCV produce nell’organismo è causato prevalentemente dalla reazione del sistema immunitario all’infezione.
Quando HCV entra nella cellula epatica, questa viene trasformata in una sorta di apparecchiatura al servizio delle sue esigenze replicative. È più o meno così che tutti i virus si comportano.
L’infezione induce delle modifiche nella cellula, che comincia ad esprimere sulla sua membrana proteine del virus. Questo trae in inganno il sistema immunitario, che la scambia per un elemento estraneo e la attacca.
Purtroppo, questa aggressione evolve verso il peggiore dei risultati: non è abbastanza radicale da eliminare il virus, ma è sufficientemente potente da danneggiare il tessuto del fegato in maniera persistente.
Il ruolo decisivo delle cellule immunitarie è confermato in laboratorio, dove si può osservare molto chiaramente che HCV non causa danni alle cellule epatiche in vitro.
Epatite C: contagio del virus HCV
La trasmissione avviene principalmente per via ematica, attraverso il contatto diretto con sangue infetto; meno frequente quella relativa al contatto accidentale.
La causa più comune di contagio è l’uso promiscuo di aghi e siringhe infette, in passato diffuso fra i tossicodipendenti.
Meno frequente la trasmissione dovuta a contatto accidentale con sangue infetto, che può avvenire a danno degli operatori sanitari. Infatti, si stima che il rischio di contrarre il virus dopo puntura accidentale sia mediamente pari all’1,8%.
Sono considerati a rischio minore:
- condivisione di rasoi
- spazzolini e forbici da unghie utilizzati da persone infette
- esecuzione di tatuaggi
- applicazione di piercing con materiali
- apparecchiature non sterili.
Il contagio per via sessuale è documentato nella letteratura scientifica, ma con un impatto drasticamente minore rispetto a quello dell’epatite B.
In casi rari (meno del 5%), l’infezione può essere trasmessa per via verticale da madre a figlio. Il virus HCV può essere trasmesso dalla madre infetta al bambino durante il parto: il rischio è più alto nelle donne co-infette con il virus HIV.
Oggi non sussistono più rischi legati alle trasfusioni di sangue e di emoderivati, perché le sacche provenienti dalle donazioni vengono tutte controllate con l’esecuzione del test per la ricerca degli anticorpi anti-HCV.
Epatite C: fattori di rischio
Poiché la trasmissione dell’infezione si verifica per via ematica, sono a rischio tutte le condizioni che comportano un contatto diretto con il sangue di una persona infetta.
- Utilizzo promiscuo di siringhe.
- Trasfusione o trapianto d’organo eseguito prima del 1992 o somministrazione di fattori della coagulazione prima del 1987.
- Parto da madre positiva al virus HCV.
- Dialisi del sangue a lungo termine.
Rientrano fra le categorie a rischio anche gli operatori sanitari esposti al pericolo di ferite accidentali con aghi infetti o fonti di sangue positivo alla presenza del virus HCV.
I rapporti sessuali non protetti con partner a rischio, l’applicazione di piercing o l’esecuzione di tatuaggi con apparecchiature non sterili e lo scambio di oggetti personali (spazzolino da denti, forbicina per la manicure, rasoi) con soggetti positivi al virus rappresentano un comportamento che espone alla possibilità di contagio.
Una persistente anomalia dei valori delle transaminasi epatiche ALT deve destare attenzione e spingere a controlli medici diagnostici.
L’uso di cocaina e altre droghe pesanti non espone direttamente al rischio di contrarre il virus, ma predispone all’assunzione di comportamenti che potrebbero aumentare le possibilità di infezione. Fino al 20% dei pazienti con epatopatia alcolica ha una co-infezione con HCV. La positività al virus HIV aumenta le chance di contrarre la co-infezione da HCV.
Epatite C: infezione acuta e quando diventa cronica
Nella maggior parte dei casi l’epatite C, sia nella fase acuta che in parte di quella cronica, è asintomatica o paucisintomatica (produce sintomi lievi).
Anche quando la malattia cronicizza, i segni si manifestano tardivamente.
Infezione acuta
L’infezione acuta iniziale da HCV è, nella maggior parte dei casi, asintomatica e anitterica (il soggetto non ha ittero).
Quando presenti, i segni clinici sono simili a quelli di un’influenza o di un’infezione da virus para-influenzale (uno di quei virus che circolano durante la stagione fredda e che possono produrre disturbi gastroenterici).
I soggetti colpiti possono avere:
- mancanza di appetito
- nausea
- vomito
- febbre
- debolezza
- dolori addominali, articolari e muscolari.
In qualche caso compare prurito cutaneo e una sensazione di ipersensibilità, fastidio nella regione del fegato.
Ittero
In alcune persone compare l’ittero, ovvero la colorazione giallastra della pelle e delle sclere degli occhi. Un decorso fulminante fatale si osserva assai raramente (0,1%).
Le forme acute anitteriche coprono comunque il 90% dei casi.
Infezione cronica
Il rischio maggiore connesso all’epatite C acuta è quello della cronicizzazione, che si verifica nell’80% circa dei pazienti non trattati. Non comparendo sintomi specifici, le persone colpite dall’infezione non si sottopongono al test, non ottengono una diagnosi e non vengono sottoposte a terapia.
Questa capacità del virus di permanere all’interno del corpo aggirando le misure messe in atto dal sistema immunitario differenzia l’epatite C dagli altri tipi di epatite, per i quali la cronicizzazione rappresenta un’eccezione.
L’evoluzione dell’epatite C cronica
L’epatite C cronica può evolvere e causare gravi conseguenze.
Insufficienza epatica
Lo stato permanente di infiammazione del tessuto del fegato comporta il rilascio di sostanze dannose per le cellule che lo compongono. L’insieme delle alterazioni che subentrano nell’organo viene definito fibrosi.
Il fegato si indurisce, perde elasticità e comincia a funzionare poco e male.
Quest’organo è sede della sintesi di speciali proteine (le proteine plasmatiche) che hanno la funzione di mantenere i liquidi all’interno delle cellule. L’insufficienza epatica determina pertanto una riduzione della loro produzione e un conseguente accumulo di liquidi in sede extra-cellulare. L’addome si gonfia per il deposito di fluidi generando una condizione (detta ascite) nella quale la pancia è prominente anche se la persona è magra.
Poiché il fegato funziona poco e male, i suoi compiti di detossificazione del sangue vengono disattesi e rimangono in circolo sostanze potenzialmente dannose, in particolare per il cervello. Il paziente sviluppa la cosiddetta encefalopatia epatica, che può portare alla perdita della coscienza e al coma.
Cirrosi
Questa condizione, che si realizza nel fegato del 20-30% dei pazienti con epatite C cronica, nell’arco di 10-20 anni, si manifesta con sintomi piuttosto caratteristici, la maggior parte dei quali dipende dallo stato di fibrosi dell’organo. L’infiammazione persistente causa alterazioni nel tessuto, che si indurisce e non permette ai vasi sanguigni che lo nutrono di dilatarsi e restringersi in risposta agli stimoli.
La perdita di elasticità dei vasi epatici causa una congestione a livello della vena porta, la più grossa vena addominale, che trasporta il sangue ricco dei principi nutritivi assorbiti dal cibo dall’intestino fino al fegato.
L’accumulo di sangue che non riesce a defluire per la fibrosi dei vasi epatici aumenta la pressione in questa vena: questo fenomeno viene definito ipertensione portale. Quando la pressione supera un determinato limite, il sangue apre circoli collaterali normalmente quasi chiusi, dilatandoli.
Per questa ragione, l’ipertensione portale determina la comparsa di capillari visibili sull’addome (angiomi stellari), che assomigliano a ragni con le zampe sottili e lunghe e vengono pertanto chiamati spiders.
I fattori che favoriscono l’evoluzione della malattia verso la cirrosi sono: il consumo di alcol, l’obesità, il genere (i maschi hanno un rischio superiore) e la co-infezione con i virus HBV e HIV.
Il tumore del fegato
L’epatocarcinoma si sviluppa nell’1-4% dei soggetti con epatite C cronica, come evoluzione della cirrosi.
Sintomi dell’epatite C
Il virus dell’epatite C colpisce anche altri organi? Sì, perché è in grado di attaccare anche altre cellule oltre a quelle del fegato.
Le manifestazioni extra-epatiche dell’infezione interessano diversi organi e hanno in comune la genesi autoimmune. Il sistema immunitario viene confuso dal virus e commette una serie di errori attaccando cellule del corpo: quello che potremmo definire “fuoco amico”.
Le conseguenze possono avere diversa gravità: da disturbi lievi a veri e propri tumori linfatici. L’esistenza di questa condizione, che complessivamente viene definita “malattia da HCV”, modifica l’interpretazione dell’infezione. Infatti, non si tratta di un problema esclusivamente epatico, ma di una patologia sistemica, che riguarda tutto l’organismo e che deve essere trattata con un approccio multidisciplinare.
Possibili manifestazioni
Le manifestazioni della malattia da HCV possono riguardare:
Sangue
- Anemia aplastica (una patologia che porta alla morte delle cellule del midollo osseo che producono le cellule del sangue)
- trombocitopenia (quando l’aggressione al midollo osseo causa la carenza di piastrine)
- linfoma non-Hodgkin (un tumore che colpisce i linfociti, le cellule di difesa del sistema immunitario).
Pelle
- Porfiria (l’insufficienza epatica rallenta o blocca il metabolismo di sostanze tossiche, che possono così circolare e depositarsi nella pelle, rendendola molto sensibile all’azione die raggi solari).
- Lichen planus (una forma di irritazione cutanea dovuta ad una reazione autoimmunitaria)
Apparato circolatorio
L’autoimmunità scatenata dal virus può colpire i vasi sanguigni, infiammandoli ed esponendoli a rischio di trombosi (vasculiti). In alcuni casi, la vasculite è determinata dalla produzione di anticorpi anomali, che precipitano nei vasi sanguigni, irritandoli: questa condizione è nota come crioglobulinemia mista.
Reni
- Glomerulonefrite (quando gli auto anticorpi attaccano le strutture filtranti del rene)
- sindrome nefrotica (alterazione della filtrazione renale).
Sistema endocrino
Se viene colpita la tiroide, viene ridotta la secrezione di ormoni (ipotiroidismo). Invece, se è il pancreas ad essere aggredito, si può avere diabete.
Occhio
L’interessamento della sottile membrana posta fra la cornea e la sclera (uvea) causa uveite; possono anche verificarsi ulcere corneali.
Apparato locomotore
Si possono avere dolori muscolari o, se vengono coinvolte le articolazioni, artrite.
Sfera psichica
Fra le conseguenze dell’infezione da HCV anche alcune forme depressive.
Come diagnosticare l’epatite C?
L’epatite C viene diagnosticata mediante un test eseguito su un campione di sangue.
Malgrado la semplicità ed i costi relativamente bassi di questa valutazione, la diagnosi di epatite C giunge quasi sempre nella forma cronica avanzata, a causa del fatto che si tratta di una patologia prevalentemente asintomatica o associata a manifestazioni aspecifiche.
La diagnosi ritardata rappresenta un problema di salute per il singolo individuo, un costo ingente per il servizio nazionale (che dispensa farmaci onerosi per la cura della patologia e fornisce prestazioni diagnostiche) e un problema di salute pubblica (perché la persona infettata non sa di esserlo ed espone chi gli sta vicino al rischio di contagio).
L’esame del sangue eseguito per rilevare l’infezione da HCV è utile a diversi scopi. Oltre a certificare la diagnosi dell’epatite C, permette di valutare la carica virale ed il genotipo del virus. Questi due parametri sono indispensabili al medico per stabilire il piano terapeutico con cui trattare il paziente.
Mentre non esistono segni in grado di suggerire l’esame per la diagnosi della forma acuta (a parte l’ittero), quella della forma cronica deve essere sospettata (o comunque verificata) quando sussistono segni di insufficienza epatica o i livelli delle transaminasi ALT nel sangue sono persistentemente alti.
Tutti i casi di epatite C acuta che riescono ad essere diagnosticati devono successivamente essere monitorati per l’eventuale evoluzione.
Anticorpi anti-HCV e dosaggio dell’RNA virale
La diagnosi di epatite C viene confermata dalla rilevazione degli anticorpi anti-HCV (test sierologico, indiretto). La positività agli anticorpi indica che l’infezione è in atto.
Il dosaggio dell’RNA virale, che è un metodo diagnostico diretto (perché ricerca la presenza del virus) viene utilizzato per supportare la diagnosi e per valutare la risposta al trattamento.
Insieme a queste informazioni, viene identificato il genotipo virale (genotipizzazione), utile a stabilire la terapia più opportuna.
I pazienti devono eseguire i test per l’HIV e per l’epatite B.
Quali esami per la malattia da HCV
I pazienti devono anche sottoporsi ai controlli previsti per la diagnosi delle eventuali manifestazioni extra-epatiche dell’infezione.
Se compaiono i sintomi della crioglobulinemia, vengono dosati:
- crioglobuline (gli anticorpi difettosi che precipitano nei vasi sanguigni)
- fattore reumatoide (un indice di infiammazione), le piastrine (per valutare la presenza delle complicanze midollari della malattia)
- parametri della coagulazione (l’interessamento del midollo osseo può esporre al rischio di trombosi).
Esami per studiare la funzionalità epatica
Gli esami per la valutazione della funzionalità del fegato sono necessari per comprendere lo stadio della malattia, quanto è compromesso l’organo.
Vengono dosate:
- le transaminasi AST (aspartato aminotrasferasi) e ALT (alanina aminotrasferasi).
- Fosfatasi alcalina.
- Albumina: si tratta di una proteina plasmatica, che è carente quando la funzione del fegato è alterata; in questi casi, viene meno la capacità delle cellule di mantenere i fluidi al loro interno e questi si depositano all’esterno, producendo edemi, in particolare a livello addominale (ascite)
- Bilirubina: è un intermedio che si forma durante la degradazione dell’emoglobina del sangue; quando il fegato non funziona bene, non riesce a portare a termine la reazione e lascia come residuo la bilirubina, un pigmento di colore giallo che rimane in circolo e si deposita nella cute e nelle sclere degli occhi, causando l’ittero.
I pazienti che hanno un grado di cirrosi o fibrosi avanzato devono essere sottoposti ogni 6 mesi a screening per il tumore del fegato. Questo monitoraggio prevede l’esecuzione dell’ecografia e, talvolta, il dosaggio dell’alfa-fetoproteina.
Biopsia epatica
Nel caso sorga il sospetto di una lesione epatica seria, può essere eseguita la biopsia epatica, una procedura invasiva tramite la quale viene prelevato un frammento di organo.
La biopsia permette di capire qual è il livello dell’infiammazione in atto, definire il grado di fibrosi o di progressione della malattia ed escludere altre patologie del fegato. I primi due punti sono funzionali alla determinazione della terapia.
Oggi si tende a limitare il ricorso alla biopsia epatica e a preferire procedure quali l’elastografia ecografica e l’elastografia con risonanza magnetica. Si tratta di esami simili ad un’ecografia che servono a stabilire il grado di fibrosi del fegato.
Inoltre, vengono dosati nel sangue i marcatori di fibrosi, ovvero sostanze coinvolte nell’alterazione dell’organizzazione del tessuto dell’organo.
Epatite C: come si cura
Gli obiettivi del trattamento farmacologico dell’epatite C sono:
- negativizzazione persistente rispetto alla presenza del virus
- normalizzazione dei valori delle transaminasi
- miglioramento della situazione a livello cellulare e tissutale del fegato
- prevenzione della cirrosi e dell’epatocarcinoma.
Antivirali ad azione diretta
I farmaci che hanno cambiato la storia della malattia sono gli antivirali ad azione diretta, chiamati così perché colpiscono bersagli specifici (proteine) del virus dell’epatite C.
Gli antivirali ad azione diretta sono composti molto efficaci con buon profilo di sicurezza, che possono essere somministrati a tutti i pazienti con epatite C, eccetto quelli con malattia in fase molto avanzata o pazienti che assumono terapie a rischio di interazione con gli antivirali.
La scelta del farmaco o dei farmaci da prescrivere viene operata sulla base del genotipo virale e dello stadio della malattia.
Il farmaco più conosciuto di questa categoria è il sofosbuvir.
Si guarisce dell’epatite C con gli antivirali ad azione diretta?
Gli antivirali ad azione diretta hanno un costo molto elevato, oggi ridotto rispetto agli anni scorsi: vista la diffusione dell’epatite C, la sua cura rappresenta uno sforzo economico importante.
Ma la dispensazione a carico del servizio sanitario nazionale è giustificata dalla loro efficacia, vicina al 100% e al fatto che permettono la guarigione totale della malattia. Questo significa che lo Stato non dovrà più investire per erogare prestazioni sanitarie per i pazienti guariti, compreso il costosissimo trapianto di fegato.
Sono stati riportati casi di riattivazione dell’epatite B durante o dopo il trattamento con antivirali ad azione diretta in persone affette da epatite C. Per questa ragione, prima di iniziare la terapia con questi farmaci, tutti i pazienti con epatite C devono sottoporsi al test per la B.
La risposta al trattamento sembra dipendere dal grado di fibrosi e dal genotipo del virus.
Il trapianto di fegato
Il ricorso al trapianto di fegato è drasticamente diminuito da quando sono stati introdotti gli antivirali ad azione diretta. Questo significa che molte altre persone con gravi problemi al fegato hanno oggi più possibilità di trovare un organo.
Oggi possono essere trapiantati anche organi positivi all’epatite C in pazienti che verranno poi trattati per il virus. Questo ha consentito un’estensione del pubblico di pazienti che hanno avuto accesso alla procedura.
Stile di vita
La presenza della malattia, come tutte le cronicità, impatta sulla qualità di vita dei pazienti. Ma questo effetto è inferiore rispetto al passato, grazie alla disponibilità dei nuovi farmaci.
Occorre, però, in caso di positività al virus, evitare tutte le sostanze e le situazioni che possono mettere a rischio la salute già compromessa del fegato.
No all’alcol e alle droghe e attenzione ai farmaci (chiedere sempre consiglio al medico prima di assumere un medicinale o un integratore).
È anche fondamentale farsi seguire da un epatologo specializzato nella cura dell’epatite C e sottoporsi agli esami prescritti per il monitoraggio della malattia.
Mantenere uno stile di vita sano, mangiando in maniera equilibrata e compiendo regolare attività fisica, è un utile sistema per favorire la reazione alla malattia.
Esistono gruppi di supporto per pazienti con epatite C, che possono aiutare a convivere con la malattia, offrendo opportunità di condivisione e di accesso a servizi.
Inoltre, può essere utile sottoporsi alle vaccinazioni per epatite A e B: la co-infezione con questi virus è ad alto rischio.
Si può prevenire l’epatite C ?
Ad oggi non esistono vaccini per prevenire l’HCV: l’unica maniera per proteggersi è evitare i fattori di rischio.
Questo significa evitare l’uso promiscuo di aghi e siringhe, l’utilizzo di oggetti personali appartenenti a soggetti positivi al virus. Occorre evitare il contatto con sangue infetto e i rapporti sessuali a rischio.
Volendo sottoporsi all’applicazione di un piercing o all’esecuzione di un tatuaggio, rivolgersi a professionisti specializzati.
L’epatite C nella storia
Negli anni ’70 un team di ricercatori del National Institutes of Health (NIH, l’agenzia di ricerca nazionale statunitense) osservò che un certo numero di casi di epatite post-trasfusionale non erano causati né dal virus dell’epatite A (HAV) né dal B (HBV), gli unici allora conosciuti. In mancanza di elementi per caratterizzare più precisamente il microorganismo, la malattia fu definita “non A non B” (NANBH).
Nel 1987, un gruppo di ricerca dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC, l’agenzia statunitense per la protezione della salute pubblica) riuscì a identificare il virus, che venne chiamato HCV (Human Hepatitis type C). Questa scoperta, pubblicata nel 1989 sulla rivista Science, permise di sviluppare un test specifico che ha migliorato la diagnosi della malattia, limitando la diffusione del microorganismo attraverso le trasfusioni di sangue.
I tre ricercatori che hanno identificato il virus dell’epatite C (Harvey J. Alter, Charles M. Rice e Michael Houghton) sono stati insigniti del Premio Nobel per la Medicina nel 2020.
Farmaci usati per trattare la malattia: l’interferone
Il primo farmaco utilizzato per la terapia dell’epatite C è stato l’interferone, una molecola presente anche nel nostro organismo, dove viene prodotta dal sistema immunitario con compiti di difesa dai microorganismi.
A fronte di un’efficacia inferiore al 10%, però, l’interferone produceva un gran numero di reazioni avverse anche pesanti, come la febbre alta, i dolori articolari, l’anemia e la piastrinopenia (carenza di piastrine), che spesso costringevano i pazienti ad abbandonare l’assunzione.
Ribavirina
Alla fine degli anni ’90 vennero introdotti nel trattamento dell’epatite C i primi antivirali, fra cui la ribavirina.
La combo ribavirina-interferone, pur conservando molti effetti collaterali, migliorò significativamente i risultati della terapia, portando alla guarigione il 35-40% dei pazienti trattati.
Inibitori delle proteasi
Nel 2011, vennero sviluppati e prodotti gli inibitori delle proteasi, molecole attive contro alcuni enzimi indispensabili al virus per la replicazione.
Sebbene caratterizzati dal solito carico di reazioni avverse, boceprevir e telaprevir hanno permesso la guarigione di quasi il 75% dei pazienti trattati.
Fonti
- Sofosbuvir, Velpatasvir, and Voxilaprevir for Previously Treated HCV Infection – M. Bourliére et al – NEJM, 2017.
- Hepatitis C Guidance 2018 Update: AASLD-IDSA Recommendations for Testing, Managing, and Treating Hepatitis C Virus Infection – IDS Features, 2018.
- Prevalence and burden of HCV-coinfection in people living with HIV: a global systematic review and meta-analysis – L. Platt et al – NEJM, 2016– Pubmed.
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