Sommario
L’epatite A è una malattia acuta contagiosa del fegato che si trasmette per contatto con feci infette. Gli alimenti a rischio sono vegetali e molluschi crudi contaminati, ma la trasmissione può avvenire anche con lo scambio di posate, bicchieri, spazzolini e asciugamani con persone infette.
I sintomi dell’epatite A sono nausea, vomito, febbre, ittero e si manifestano a 15-50 giorni dal contagio: mentre negli adulti sono di solito piuttosto severi, nei bambini la malattia può essere asintomatica.
La diagnosi si basa sull’esame del sangue, con il dosaggio degli anticorpi IgM contro il virus.
La cura prevede farmaci solo al bisogno, dieta leggera e riposo: in genere la malattia guarisce da sola, anche in gravidanza, senza lasciare danni permanenti. Può dare sporadiche recidive e rari casi di forme fulminanti; non cronicizza mai: non esistono portatori sani di epatite A.
Il vaccino per l’epatite A protegge dal contagio per tutta la vita.
Epatite A: che cos’è
E’ un’infezione del fegato causata dal virus HAV.
Il termine epatite deriva dal fatto che la malattia comporta un’infiammazione del fegato. Attualmente sono 5 i tipi di epatite noti, denominati con le lettere dell’alfabeto che vanno dalla A alla E: epatite A, B, epatite C, D e la E.
La A è la stata la prima forma ad essere individuata.
Gli specialisti a cui competono la diagnosi e il trattamento di questa malattia sono l’epatologo e, in misura minore, l’infettivologo.
Dopo che una persona viene a contatto con il virus, inizia un periodo di incubazione, che dura alcune settimane e al termine del quale compaiono sintomi generali come affaticamento, febbre lieve e dolori muscolari.
A questi si associano nei giorni successivi manifestazioni più specifiche, come: riduzione dell’appetito, la nausea e il vomito, il dolore addominale e l’ittero.
L’ascolto del racconto del paziente e l’osservazione dei sintomi, specialmente l’ittero, durante la visita possono spingere il medico a ipotizzare l’epatite A e a verificare la diagnosi con gli esami del sangue.
I sintomi dell’epatite A: quando si manifestano e quanto durano
I sintomi compaiono a distanza di 15-50 giorni dal momento in cui il soggetto è entrato in contatto con il virus e si protraggono per un tempo variabile, che va dalle 2 alle 10 settimane.
Inizialmente si osserva affaticamento, stanchezza, febbre lieve e dolori muscolari, manifestazioni che possono essere confuse con quelle di un’influenza: questa fase è definita pre-itterica.
Poi subentrano:
- Dolore alla parte destra dell’addome (subito sotto le coste).
- Riduzione dell’appetito.
- Nausea e vomito.
Qualche volta può essere presente prurito generalizzato. Spesso i pazienti fumatori raccontano di avere repulsione per il sapore della sigaretta.
Dopo 3-10 giorni compare (a parte qualche eccezione) il sintomo più caratteristico, l’ittero. Siamo nella fase itterica: la pelle e la parte bianca dell’occhio si colorano di giallo e le urine diventano scure. Fegato e milza possono essere ingrossati.
L’ittero raggiunge il picco entro 1-2 settimane, poi regredisce (fase di recupero).
Mentre negli adulti la malattia tende ad essere più severa, nei bambini può essere asintomatica o causare solo diarrea.
Questi sintomi possono essere presenti anche in altre forme di epatite, sia virale sia dovuta a intossicazione o assunzione di determinati farmaci. L’esame del sangue permette di distinguere le cause.
L’età non è di per sé un fattore di rischio per l’acquisizione della malattia: i bambini sono più esposti al contagio solo nella misura in cui tendono a portare le mani alla bocca e ad essere poco attenti all’igiene.
Come si contrae e come si trasmette
Si tratta di una malattia acuta infettiva che si può contrarre mangiando frutti di mare (cozze, vongole) crudi e ortaggi irrigati con acque contaminate, bevendo acque in cui è presente il virus oppure non osservando adeguate misure igieniche durante la preparazione di cibi infetti.
Inoltre, il virus può essere trasmesso attraverso il contatto con persone infette: ad esempio condividendo spazzolini e asciugamani, così come posate e bicchieri o attraverso rapporti sessuali oro-anali.
Quando e per quanto tempo si è contagiosi? È importante precisare che il contagio non si verifica solo quando sono presenti i sintomi: al contrario, è proprio nei giorni che precedono la loro comparsa che le possibilità di trasmissione sono massime.
Una volta trascorso il periodo di incubazione (che dura da 15 a 50 giorni), fanno capolino le prime manifestazioni, simili a quelle di un’influenza (febbre lieve, dolori muscolari, malessere generale).
Dopo 3-10 giorni subentra l’ittero: la pelle e gli occhi si ingialliscono e le urine diventano scure. L’ittero ha il suo picco entro 1-2 settimane, trascorse le quali regredisce (fase di recupero).
L’epatite A non cronicizza mai, ma possono verificarsi delle riacutizzazioni nei 6 mesi successivi all’infezione.
Rare le complicanze: le forme fulminanti, in particolare, possono richiedere un trapianto di fegato o essere addirittura letali. Ma in generale la mortalità per epatite A è molto bassa (0,1% dei casi).
Cause dell’epatite A e soggetti a rischio
L’epatite A è una patologia infettiva contagiosa causata da un virus. La trasmissione avviene per via feco-orale, tramite il contatto con una quantità anche minima di feci infette. Il virus è presente in quantità significativamente inferiori nella saliva e nel sangue.
L’infezione si può contrarre ingerendo frutta o verdura cruda contaminata, bevendo acqua infetta o mangiando frutti di mare (cozze, vongole) crudi cresciuti in acque infette. Si sono verificati focolai di malattia dovuti all’ingestione di frutti di bosco surgelati: il virus HAV sopravvive alle basse temperature.
Il contagio può avvenire anche tramite lo scambio di spazzolini, asciugamani, bicchieri o posate con persone infette.
I rischi alimentari sono superiori nelle aree del mondo in cui il virus è endemico, come l’America Centrale e Latina, l’Africa, il Medio-Oriente, l’Asia e il Pacifico occidentale. Le persone che, per motivi di lavoro, si recano spesso in queste zone sono più esposte al rischio di infettarsi.
Nei Paesi industrializzati, gli elevati standard di igiene hanno contribuito in maniera determinante a ridurre la diffusione del virus, anche se gli esperti invitano a non abbassare la guardia. Da noi, i soggetti più a rischio sono i bambini, che non sempre lavano correttamente le mani dopo essere andati in bagno, stanno molto vicini fra loro nel gioco e portano spesso le mani alla bocca.
Diagnosi e esami strumentali
In genere, l’osservazione dell’ittero e l’ascolto del racconto del paziente (ad esempio di un suo viaggio nelle aree a rischio oppure della recente assunzione di molluschi crudi) spingono il medico a ipotizzare che possa trattarsi di epatite A.
La diagnosi può essere poi esclusa o confermata dall’esame del sangue, in particolare dal test sierologico. Vengono dosati gli anticorpi di tipo IgM diretti contro il virus, i cosiddetti marker della malattia, che sono prodotti nella prima fase dell’infezione. Se l’esame è positivo, la diagnosi è confermata.
Invece, per distinguere un’infezione recente da una pregressa viene effettuato il dosaggio delle IgG anti-epatite A. Se positivo, indica che è avvenuto un contatto con il virus, ma non nell’ultimo periodo, e che il soggetto è immunizzato contro di esso (quindi non può riammalarsi).
Possono essere eseguiti altri esami del sangue, in particolare i test di funzionalità epatica, che includono:
- Alanina aminotransferasi (ALT).
- Aspartato aminotransferasi (AST).
- Fosfatasi alcalina.
- Albumina.
- Bilirubina.
- Tempo di protrombina.
Non esistono esami strumentali per la diagnosi della malattia.
Cura e trattamenti dell’epatite A
Come per molte altre malattie virali, anche per l’epatite A non esistono farmaci risolutivi. Fortunatamente, il suo decorso è nella maggior parte dei casi benigno: i sintomi si risolvono spontaneamente senza causare danni permanenti al fegato.
I trattamenti previsti sono esclusivamente sintomatici. Per non peggiorare lo stato di affaticamento viene raccomandato un periodo di riposo. Il riposo è ancora più importante nelle persone che, a causa di nausea e vomito, hanno più difficoltà ad alimentarsi.
Fare pasti piccoli e leggeri (poveri di grassi) può essere una soluzione per facilitare la digestione e non sovraccaricare il fegato, già messo alla prova dall’infezione. Se nausea e vomito sono particolarmente intensi, il paziente può essere reidratato con flebo e trattato con farmaci antiemetici.
Se è presente prurito possono essere applicati localmente, sentito il parere del medico, farmaci antistaminici in grado di alleviarlo.
Deve essere evitata tassativamente l’assunzione di alcol per tutta la durata della malattia e, prima di assumere qualsiasi medicinale, è necessario consultare il medico.
È importante ricordare che questa patologia è soggetta a notifica obbligatoria.
Conseguenze e complicanze
Nella stragrande maggioranza dei casi, la malattia non ha conseguenze. Non cronicizza e guarisce completamente senza lasciare traccia nel fegato, che riprende la sua funzione fisiologica.
Uno dei rischi è rappresentato dalle recidive: l‘epatite A si riacutizza nel 10-15% dei casi e la ricaduta si verifica nei 6 mesi successivi alla prima infezione.
In alcuni casi, gli strascichi possono essere preoccupanti, a causa dell’insorgere di complicanze. Da questo punto di vista, i rischi riguardano quasi esclusivamente le persone che soffrono già di altre malattie epatiche o sono immunodepresse e aumentano nei soggetti al di sopra dei 50 anni.
In questi casi, la patologia ha più possibilità di dare forme fulminanti, che provocano insufficienza epatica acuta e possono portare alla morte il paziente (80% dei casi) o rendere necessario un trapianto di fegato.
In generale, la malattia è letale in una percentuale limitata di casi (0,1-0,3%), che sale fino all’1,8% nelle persone sopra i 50 anni.
Se contratta durante la gravidanza, l’epatite A può, in qualche raro caso, aumentare il rischio di parto anticipato.
La vaccinazione contro l’epatite A per prevenire
Per la prevenzione della malattia è disponibile una vaccinazione che viene somministrata in 2 dosi, a distanza di 6-12 mesi l’una dall’altra, con un’iniezione nel muscolo deltoide del braccio.
Quanto dura la protezione? Il vaccino è sicuro ed efficace, raccomandato anche in gravidanza e garantisce una protezione che dura tutta la vita. Sono possibili lievi reazioni locali di arrossamento, gonfiore e dolore, oppure generali come cefalea, malessere e febbre, che si risolvono in 1-3 giorni. Le reazioni avverse gravi sono possibili ma molto rare.
Quando fare il vaccino per l’epatite A
Quando farlo? È possibile farlo dal 12° mese di età.
Questa vaccinazione è raccomandata a:
- Tutte le persone a rischio.
- Chi viaggia spesso nei Paesi in cui il virus è endemico.
- Chi è già affetto da altre malattie del fegato o disturbi della coagulazione.
- Familiari di pazienti con epatite A.
Quanto costa? Per vaccinarsi bisogna prenotarsi presso un Centro Vaccinale della ASL di competenza. L’offerta varia da Regione a Regione, ma in generale la somministrazione è gratuita per i gruppi a rischio sopra citati.
Norme igieniche
Per proteggersi dall’infezione, al di là dell’immunizzazione, occorre mangiare frutti di mare solo se cotti, lavare e sbucciare frutta e verdura prima di consumarle, evitare di bere da fonti che potrebbero essere contaminate e lavarsi spesso le mani con acqua corrente e sapone.
È anche importante riporre il cibo negli appositi contenitori con coperchio per la conservazione.
Se si viaggia in aree a rischio, mangiare solo alimenti ben cotti (serve una bollitura di almeno 5-10 minuti), bere solo acqua in bottiglia (che deve essere dissigillata in prima persona) anche per lavarsi i denti e non consumare ghiaccio.
Le persone che hanno avuto la malattia sono protette per sempre da un nuovo contagio.
Fonti
- Epatiti in Italia: on line i dati provvisori del primo semestre 2021. SEIEVA – Istituto Superiore di Sanità.
- Aggiornamento delle raccomandazioni di prevenzione e immunoprofilassi in relazione alla epidemia di Epatite A. Ministero della Salute.
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