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La dieta vegana può limitare l’inquinamento? E fa bene al nostro organismo? Il quesito nasce da una campagna pubblicitaria chiamata “Million Dollar Vegan” che invita le star ad abbracciare la dieta vegana. L’ultimo in ordine di tempo ad essere “colpito” dal messaggio della campagna è stato Papa Francesco.
La campagna Million Dollar Vegan e i conflitti di interesse
La notizia è di qualche giorno fa: Genesis Butler, attivista animalista di 12 anni, ha inviato a Papa Francesco a diventare vegano con una lettera. Al progetto “Million dollar Vegan” hanno aderito diversi personaggi celebri come Paul McCartney, il poeta Benjamin Zephhaniah e l’attore Joaquin Phoenix. La proposta è semplice: se il papa accetterà la sfida, la Blue Horizon International Foundation donerà 1 milione di dollari ad associazioni benefiche scelte dal Papa.
L’appello è stato criticato da più parti. La fondazione, infatti, è il “braccio caritatevole” della Blue Horizon Corporation, multinazionale che investe in diverse società che producono alimenti di origine vegetale. Un conflitto di interessi non da poco, che ha sollevato critiche da più parti, comprese quelle del Consorzio Tutela Grana Padano.
Dieta vegana e salute, il parere del nutrizionista
Al di là della poca chiarezza etica dei legami fra campagna pubblicitaria, fondazione e multinazionale, quello che ci domandiamo è: la dieta vegana è davvero utile al nostro corpo? L’abbiamo chiesto al dottor Luca Piretta, nutrizionista della SISA. “La dieta vegana” ha spiegato il nutrizionista, “è una dieta estrema che non ha mostrato alcun vantaggio in termini di prevenzione di salute rispetto la dieta mediterranea o quella vegetariana. Ha mostrato vantaggi solo nei confronti delle ‘western diets’, cioè le diete ad alto consumo di carne”. Al contrario “sono tantissimi gli studi scientifici che hanno evidenziato importanti carenze nutrizionali per quanto riguarda la vitamina B12 (essenziale per la prevenzione della spina bifida in gravidanza, per abbassare il rischio cardiovascolare, per prevenire l’anima e le mutazioni cancerogene del DNA). Ma anche carenze del calcio, della vitamina D, del ferro, dello zinco del selenio”.
Inoltre, ha spiegato il medico, “la grande abbondanza di legumi e verdure promossa dalla dieta vegana per compensare le carenze proteiche non può essere mantenuta da pazienti che soffrono di disturbi gastrointestinale”. Infine la restrizione della gamma di alimenti che si otterrebbe seguendo la dieta vegana, determinerebbe una netta riduzione della biodiversità del microbiota intestinale, la cui salute è la chiave di volta per la salute umana.
Dieta mediterranea vs dieta vegana
Pertanto, secondo il dottor Piretta, “promuovere una dieta molto meno salutare della dieta mediterranea che ha alle sue spalle una montagna di dati scientifici che certificano il suo valore senza i difetti della dieta vegana, appare un controsenso”. Soprattutto considerando che è stato osservato che “la dieta mediterranea offre un bassissimo impatto sull’ecosistema senza mettere a rischio la salute”. Secondo Piretta, “la campagna educazionale basata sull’equilibrio e la plurivarietà dei nutrienti è l’unica campagna auspicabile”. Bisogna dunque “condannare il tentativo da parte di chi conosce poco o nulla di nutrizione e salute e si basa solo su motivazioni politiche o di interesse commerciale”.
La dieta mediterranea è modello alimentare riconosciuto talmente virtuoso da essere inserito nel patrimonio dell’umanità dall’Unesco. La caratteristica principale di questa eccellenza mondiale è la presenza di tutti gli alimenti, senza nessuna esclusione. Questo la rende la più varia tra le diete e soprattutto la più completa e bilanciata dal punto di vista nutrizionale.
Carne, pesce, uova e formaggi sono cibi da sempre presenti nella tradizione dei popoli del bacino del Mediterraneo. In passato, infatti, oltre al pesce venivano consumati la cacciagione, i tanti animali da cortile (polli, tacchini, conigli, oche, ecc.) e i suini, la cui alimentazione era basata sull’utilizzazione dei sottoprodotti agricoli e sugli scarti alimentari umani. In generale, quello che emerge dal modello mediterraneo (che gli italiani seguono tutt’oggi ritrovandosi non a caso tra i popoli più longevi e in salute del pianeta) è uno stile alimentare con un elevato consumo di verdura, legumi, frutta e frutta secca, olio d’oliva e cereali (di cui un 50% integrali), e un moderato consumo di pesce, prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt), carne e dolci.
Dieta vegana, fa davvero bene al pianeta?
Una delle principali cause dell’effetto serra, come è noto, è la presenza nell’atmosfera di sostanze gassose come l’anidride carbonica (CO2) ed il metano. La CO2 si ottiene dai processi di combustione delle benzine, del carbone, del legno, ma anche dai processi metabolici degli animali.
Nel corso dei millenni, l’aumento della produzione di metano non è dipeso in modo significativo dagli allevamenti. Ma oggi sono in molti ad accusare quasi prettamente questi ultimi per l’aumento del gas a effetto serra. Eppure ci sono degli aspetti importanti da considerare. In Italia, ad esempio, il loro numero è calato rispetto ai decenni passati.
Sono invece molto aumentate, sia in Italia che nel resto del mondo, le attività umane che comportano la produzione di questi gas e soprattutto il numero di persone che “contribuiscono” alla contaminazione con gas nocivi. Non solo usando auto, aerei, condizionatori ecc. a livelli impensabili fino a solo qualche anno fa, ma in generale con stili di vita e di consumo ben lungi dall’essere sostenibili sia per il clima che per l’ambiente. “Scaricare” la responsabilità dell’effetto serra sugli allevamenti e i ruminanti sembra quindi un comodo “paravento” dietro cui ci sono ben altre cause, prima fra tutte la combustione del petrolio e dei suoi derivati. Un solo volo a/r Roma-Bruxelles, ad esempio, genera più emissioni del consumo di carne di un italiano per un intero anno. Eppure c’è chi sembra dare per scontato che la prima causa dell’effetto serra siano gli allevamenti.
Osservare i “numeri” che legano produzione di gas serra e allevamenti riserva alcune sorprese. Chi “versa” più gas in atmosfera non sono gli allevamenti intensivi dell’Europa o del Nord America, bensì quelli estensivi delle pampas brasiliane, delle praterie argentine, dei pascoli del Sud Africa e dell’Asia.
Emissioni nocive e allevamenti: come ridurle?
In ogni caso, come ridurre le emissioni gassose degli allevamenti? Per quelle derivanti dalle deiezioni la soluzione è relativamente semplice. È sufficiente utilizzarle negli impianti che producono biogas, poi utilizzato a fini energetici. Per le fermentazioni ruminali bisogna intervenire alla “fonte”, ovvero nel luogo di produzione, cioè rumine e tratto digerente. Già lo si fa con l’alimentazione, ottenendo al contempo una migliore efficienza nutritiva degli alimenti. Risultato, meno gas serra in atmosfera e migliori prestazioni produttive degli animali.
E’ con una maggiore efficienza del “sistema allevamento” che si ottiene una decisa riduzione delle emissioni. Oggi, con la metà degli animali, si hanno le stesse quantità di latte e di carne che si producevano in Italia venti e più anni fa. Metà animali e metà emissioni rispetto ad allora. Scopriamo così che la riduzione delle emissioni si ottiene negli allevamenti confinati, generalmente definiti intensivi, come la maggior parte di quelli italiani. Ed ecco spiegato perché in Italia i valori dei gas serra di origine zootecnica sono inferiori a quelli evidenziati dalla Fao. Non facciamo confusione, quindi: allevamento intensivo significa rispetto del benessere animale, dell’ambiente e dell’allevatore. Non altro.
Ad ogni modo Melarossa sostiene da sempre una dieta equilibrata, che non escluda nessun alimento, pur preferendo cereali, verdure di stagione e frutta fresca.
Che tu abbia scelto una dieta vegetariana o una dieta onnivora l’importante è puntare ad un menù quotidiano che sia sano ed equilibrato nelle sue varie componenti, evitando le estremizzazioni, che non fanno bene né al fisico e, probabilmente, neanche all’ambiente.