Costosa e (forse) igienica. E’ l’ insalata in busta, quelle prese in fretta dai banchi frigo dei supermercati nel tentativo di consumare così la “dose verde” quotidiana. Tagliate, lavate e asciugate, è la promessa dell’etichetta. Prodotti pronti all’uso, comodi e veloci. Ma che necessitano di controllo.
Una legge del 16 giugno 2011 è intervenuta per regolamentare il mercato dei cosiddetti “ortaggi di quarta gamma“, che produce un giro d’affari di 730 milioni di euro con una tendenza di crescita dell’otto per cento. La legge è diventata effettiva dopo il decreto attuativo approvato dal Governo il 20 giugno 2014 ed entrato in vigore il 13 Agosto 2015.
Ma anche se le insalate confezionate sono una garanzia per risparmiare tempo, ma possono ancora diventare un problema per la salute e per le tasche. Soprattutto se le informazioni non sono chiare.
Insalate in busta: scopri cosa mangi
Per sapere cosa mangiamo dobbiamo conoscere le fasi del processo produttivo: l’ortaggio viene prima di tutto raccolto e mandato in azienda. Poi viene lavato, asciugato e infine imballato.
A monte della filiera c’è già una nota stonata: la stagionalità del prodotto. Le insalate in busta sono disponibili al supermercato tutto l’anno, ma in natura è impossibile farle crescere in autunno e in inverno.
Così, per almeno sei mesi, la coltivazione è intensiva e, per permettere la crescita dell’ortaggio, si fa uso di fertilizzanti chimici. Non solo: le monocolture intensive favoriscono la concentrazione degli agenti patogeni e così, per ridurre la carica microbica, si ricorre spesso ai pesticidi. Conclusione: finiamo per mangiare anche una dose di fertilizzanti e pesticidi.
Ma prima che le confezioni arrivino al frigo c’è anche la fase del lavaggio, indispensabile per eliminare i residui di terra. Più o meno quello che facciamo con le verdure fresche quando dobbiamo portarle a tavola. C’è però una differenza: se dopo averla lavata la dimentichiamo in frigo per una settimana, l’insalata fresca cambierà aspetto.
La lattuga in busta
La lattuga in busta invece rimane intatta, anche qualche giorno dopo la data di scadenza. Una caratteristica che trova spiegazione nel trattamento con cloro e anidride solforosa al quale sono sottoposti gli ortaggi di quarta gamma e che permette di aumentare la conservabilità del prodotto.
È una ricerca condotta dall’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) a dimostrare che il trattamento con il cloro e l’atmosfera protettiva di conservazione riducono anche del 50% il contenuto di antiossidanti, vitamina C e beta-carotene dei prodotti: la dose di verde che ci serve.
Ma c’è di più: per risparmiare sull’acqua, spesso le aziende la riutilizzano per più lavaggi, o addirittura ricorrono ad acqua non potabile. E così finiamo per mangiare tutti i residui che l’ortaggio porta con sé. Dalla coltivazione i fertilizzanti e i pesticidi, dal confezionamento il cloro, l’acqua sporca e i residui dovuti al contatto con oggetti e materiale da imballaggio.
In particolare, sulle confezioni devono essere indicate alcune informazioni ben precise:
- Prodotto lavato e pronto per il consumo o Prodotto lavato e pronto da cuocere.
- Conservare in frigorifero a temperatura inferiore agli 8°.
- Consumare entro 2 giorni dall’apertura della confezione e non oltre la data di scadenza.
Il testo integrale è disponibile sul sito del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.