In Italia si mangia sempre meno pesce italiano: due pesci su tre, tra quelli che porti in tavola, non provengono dai nostri mari. E così ti ritrovi sempre più spesso a mangiare pesce di diversa provenienza: cozze dalla Spagna, orate dalla Grecia, salmone dai paesi scandinavi. Per non parlare di quello che fa viaggi addirittura intercontinentali.
Tante importazioni, insomma, che riguardano soprattutto il pesce trasformato: conserve di tonno, gamberetti congelati, prodotti affumicati. Da un po’ di anni i nostri mari sembrerebbero non essere in grado di stare al passo con i consumi di pesce del nostro Paese.
In realtà c’è un’altra questione da tenere in considerazione, e cioè che il mercato è dettato moltissimo anche dalle scelte del consumatore italiano, che tende a concentrarsi solo su poche specie: dai mitili, alle orate, passando per le alici e le spigole. In sostanza, circa 10 specie di pesce coprono da sole oltre il 50% del mercato, mentre tante altre (di cui i nostri mari sono ricchi) sono considerate di “serie b” e non vengono prese in considerazione e talvolta non vengono nemmeno pescate, perché non avrebbero mercato.
Ed è proprio per questo che il nostro Paese è costretto ad importare pesce: non perché nei nostri mari c’è carenza di pesce, ma perché c’è carenza di “certe” specie di pesce, quelle più richieste.
Ovviamente non puoi dire che il pesce estero sia sempre e comunque inferiore a quello italiano: il problema, piuttosto, è che il pesce proveniente da altri mari deve fare lunghi viaggi prima di arrivare nelle nostre pescherie e quindi è automaticamente un po’ meno fresco. Ci si interroga soprattutto sulla sua conservazione durante il viaggio per giungere fin qui: in che modo viene tenuto il pesce? E chi te ne assicura la qualità? Tutte domande senza risposte certe che dovrebbero indurti a informarti sempre bene sulla provenienza del pesce che acquisti.
Claudia Manari