Il glifosato, il più diffuso pesticida prodotto dalla Monsanto, è tornato a far parlare di sé.
Secondo un recente studio pubblicato su Nature e condotto dai ricercatori della Washington State University, gran parte del cibo che mangiamo causerebbe gravi problemi di salute alle generazioni successive di coloro che ne subiscono l’esposizione.
Lo studio sugli effetti del
glifosato
Lo studio ha analizzato gli effetti del glifosato a livello generazionale. I ricercatori hanno esposto le cavie in gravidanza ad una dose di glifosato pari alla metà del minimo considerato innocuo. Le cavie e la prole non hanno avuto alcun effetto collaterale, non si può dire lo stesso per le generazioni successive.
Già dalla terza generazione con un’incidenza maggiore nella quarta, c’è stato un drammatico aumento di patologie gravi:
“Le malattie andavano dai tumori alla prostata, alle ovaie e malformazioni gravi alla nascita”.
I ricercatori, inoltre, hanno evidenziato un aumento del 40% delle malattie renali nei ratti femmine e un incremento del 30% di patologie prostatiche nei maschi di terza generazione. Mentre più di un terzo delle mamme di seconda generazione ha avuto aborti spontanei e il 40% dei ratti di terza generazione era obeso.
Il glifosato altera il DNA fino alla quarta generazione
Secondo Michael Skinner, uno dei ricercatori dello studio, il glifosato, apporta modifiche epigenetiche nello sperma o nell’ovulo in grado di provocare danni seri alle generazioni successive. Un risultato allarmante che rientra nel fenomeno della ‘tossicologia generazionale” già ampiamente osservato in sostanze come: pesticidi, nel bisfenolo A, il repellente per insetti e l’atrazina.
L’Organizzazione Mondiale della Salute aveva già lanciato un allarme rispetto alla pericolosità del glifosato, giudicato dall’IARC, agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, come “cancerogeno”e poi declassato su pressioni dell’EFSA a “probabilmente cancerogeno”.
Il glifosato in Italia
In Italia, dove l’erbicida è ancora uno dei più usati, la campagna #StopGlifosato, ha raccolto l’adesione di importanti associazioni di slow food. I promotori si impegnano da anni a sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi di contaminazione e a svolgere pressione politica per sostituire l’uso di questo nocivo erbicida con altri più naturali.
Il Decreto ministeriale del 9 agosto 2016 del ministero della Salute non impone il divieto d’uso dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato. Malgrado le notizie circolate, l’atto ne modifica soltanto le condizioni d’impiego. È quindi vietato:
- L’uso non agricolo su suoli che presentano una percentuale di sabbia superiore all’80%. Ma anche nelle aree vulnerabili, nelle zone di rispetto e nelle aree frequentate dalla popolazione come parchi, giardini, campi sportivi e aree ricreative, cortili e aree verdi all’interno di plessi scolastici, aree gioco per bambini e aree adiacenti alle strutture sanitarie;
- L’uso in pre-raccolta, che di solito si fa per ottimizzare il raccolto o la trebbiatura;
Purtroppo, per tutti gli altri usi agricoli i prodotti contenenti glifosato continuano a essere autorizzati e ampiamente utilizzati.
Ma quali sono i cibi più interessati dalla contaminazione? Dal regolamento del ministero si possono verificare quali sono gli alimenti che contengano questo pesticida in maggiore quantità:
- Mais;
- Soia;
- Orzo, avena e sorgo;
- Lino, colza, cotone e senape;
- Frumento, segale e triticale;
- Piselli;
- Fagioli;
- Olive e olio;
- Altri cereali.