Una pioggia di sale, ecco cosa mangiamo. Almeno il doppio della quantità consigliata dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che limita tra l’11 e il 12 grammi il consumo quotidiano di sale. E non è così facile controllarne la quantità, perché anche se riusciamo a limitarne l’uso quando cuciniamo, è impossibile eliminarlo del tutto.
Come lo assimiliamo
Il 54 per cento del sale che mandiamo giù si trova negli ingredienti già preparati o nei pasti fuori casa. E in testa nella classifica c’è il pane. Non per l’effettiva percentuale di sale contenuto, che è nettamente inferiore a quella delle conserve, ma perché è l’alimento principale degli italiani: ne mangiamo tantissimo.
L’altro 36 per cento del sale assimilato lo aggiungiamo in cucina, mentre il 10 per cento si trova in natura.
I danni per la salute sono noti: un filo rosso lega il consumo di sale alla pressione arteriosa e alle malattie cardiovascolari che ne derivano. Ma alcuni studi mettono in relazione il consumo di sale anche con l’insorgenza dei tumori gastrointestinali e dell’osteoporosi Conclusione: meno sale più salute. La pressione scende, migliora la funzionalità del cuore, dei vasi sanguigni, dei reni e migliora la resistenza ossea.
La ricerca di Altroconsumo
Sono 134 i prodotti da supermercato che Altroconsumo, associazione che tutela i diritti dei consumatori, ha portato in laboratorio, per controllare la quantità di sale presente e confrontarla con i risultati di un test analogo eseguito sei anni prima. Un’inchiesta per verificare se le industrie alimentari si siano adeguate alle indicazioni delle autorità sanitarie.
Il bilancio non è positivo: la situazione è migliorata, ma solo in minima parte. Poche aziende hanno limitato l’impiego di sale. A cominciare dai prodotti per “i più piccoli”. Come i formaggini “Mio” della Nestlé, che rispetto a sei anni fa utilizzano una maggior quantità di sale con percentuali oltre i limiti consigliati ogni 100 grammi di prodotto. Tanto da meritare una bocciatura da parte di Altroconsumo.
Le etichette sono davvero chiare?
Le etichette invece rimangono testi misteriosi, illeggibili per i più. Meno della metà dei prodotti presi in esame da Altroconsumo indica la quantità di sodio presente. Ma anche in questo caso non è facile avere un quadro chiaro, perché la conversione della percentuale di sodio in quella del sale non è immediata.
È indispensabile un calcolo che non sempre i consumatori fanno o sanno di dover fare. Nelle tabelle ricavate dagli esami di laboratorio, Altroconsumo ha indicato direttamente la quantità di sale, moltiplicando la percentuale di sodio riscontrata per 2.5.
E l’associazione offre anche un altro suggerimento per decifrare le etichette: “A basso contenuto di sodio” , spiegano, significa che il prodotto non contiene più di 0,12 grammi di sale per 100 grammi di prodotto. “A bassissimo contenuto di sale”, invece, riguarda prodotti in cui il sodio non superi lo 0.4 grammi per 100 grammi di prodotto. “ A tasso ridotto di sale”, invece, significa che nella confezione è contenuto il 30 per cento di sale in meno rispetto allo stesso prodotto nella versione tradizionale.
Isabella Quercia