Dal 1 gennaio 2018 niente più sacchetti trasparenti per frutta e verdura, nei negozi e supermercati. Le rigorose politiche ambientali comunitarie, impongono da questa data, l’utilizzo di buste biodegradabili a pagamento.
Dieci centesimi potrebbe essere il costo per busta, con la proibizione di venderle gratuitamente. Una scelta dovuta per l’utilizzo spesso non congruo di questi sacchetti. Ma anche per la promozione di una scelta consapevole del consumatore, verso il minor uso di plastica e contenitori in generale. Una questione molto sentita dalle mamme più ecologiste.
Nuove norme per sacchetti di plastica
Norme precise anche per il tipo di sacchetto che dovrà essere biodegradabile, con un contenuto di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%.
Percentuale che dal 2020 salirà sino al 60% con un aumento dei costi di produzione che ricadranno direttamente sui consumatori. Secondo le statistiche e le indagini di mercato, i consumatori sembrano disposti a un piccolo contributo, per migliorare la qualità ambientale. Resta il fatto che gli shopper di plastica rappresentano quasi il 20% del “marine litter” ovvero del rifiuto ingestibile nel mare e negli oceani, con gravi conseguenze anche sul patrimonio ittico. Per questo anche l’Europa ha da tempo deciso di dare battaglia.
I sacchetti di plastica per frutta e verdura, fanno parte di quei prodotti moderni che hanno un’impronta ambientale a largo raggio. Dalla produzione, alla scelta dei materiali di fabbricazione, dall’utilizzo allo spreco, dal riciclo al rifiuto, questi prodotti hanno un impatto forte, diretto e rapido sull’ambiente, in particolare quello marino. Senza dimenticare, il costo indiretto sullo smaltimento di rifiuti, che ricade comunque sul consumatore. Non va dimenticato che con gli scarti di casa, possiamo realizzare da noi concimi organici.
Una scelta ecologica
Il prezzo dei dieci centesimi viene però smentita seccamente dal presidente di Assobioplastiche Marco Versari in una dichiarazione all’Adnkronos: “L’ipotesi di dieci centesimi è un’informazione priva di qualsiasi fondamento. Uno shopper per il trasporto merci costa dieci centesimi, un sacchetto frutta e verdura è cinque volte più piccolo. Allora se costa dieci centesimi non è una questione di prezzo ma un fatto di speculazione“.
Guardando ai vicini europei, si scopre che l’ultima nazione in ordine di tempo a porre lo stop agli shopper è stata l’Estonia, che li metterà al bando da gennaio 2019, dopo anni di primato, con oltre 500 sacchetti pro capite, quasi due il giorno. Attualmente è il Paese con il consumo maggiore assieme a Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Slovenia e Portogallo.
La più ecologica è l’Irlanda, direttamente interessata alla salvaguardia delle sue straordinarie coste e fondali. Appena venti sacchetti annui pro capite, nell’isola verde, grazie a una tassa di 15 centesimi di euro introdotta nel 2002 e alzata a ventidue centesimi nel 2010. Scelta che ha abbattuto gli utilizzi del 90%.
I sacchetti per gli alimenti sfusi che dal primo gennaio dovranno essere biodegradabili e compostabili e a pagamento, non riguardano però soltanto frutta e verdura ma anche gastronomia, panetteria, pescheria e macelleria.
Una rivoluzione che dovrebbe favorire anche una migliore resa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti umidi, spesso conferiti in buste non idonee e che vanno a compromettere il ciclo di trasformazione degli scarti vegetali.