La Corte europea dei diritti umani, con sede a Strasburgo, ha condannato l’Italia per gravi pregiudizi sulle donne.
In particolare, per aver violato i diritti di una ragazza, presunta vittima di uno stupro, risalente al 2008.
Nel documento si usa un linguaggio lesivo della dignità della presunta vittima con commenti inopportuni sulla sua vita privata.
La sentenza di stupro alla Fortezza da Basso
Commenti sulla sua vita privata che nascondevano in realtà gravi pregiudizi sulle donne.
Questo il giudizio della corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha condannato l’Italia per una sentenza di stupro lesiva della dignità della presunta vittima.
Il caso si riferisce ad uno stupro di gruppo, consumato nel 2008 alla Fortezza da Basso. I sette imputati sono stati assolti, ma la ragazza è ricorsa alla corte europea per i toni della sentenza.
Si fa riferimento al suo passato, rivelando particolari anche intimi che niente avevano a che vedere con il presunto stupro.
Un linguaggio allusivo e discriminatorio nei confronti della ragazza a cui il giudice europeo ha dato ragione.
Infatti, si legge nella documentazione diffusa dalla Corte:
La Corte ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una presunta vittima di stupro con una sentenza che contiene dei passaggi che non hanno rispettato la sua vita privata e intima, dei commenti ingiustificati e un linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana.
Le ragioni della presunta vittima
La presunta vittima della violenza è ricorsa in appello non per l’assoluzione degli imputati, ma per il contenuto della sentenza, che secondo lei ha violato la sua vita privata e l’ha discriminata.
Infatti, nel documento si parla delle sue relazioni passate, come se fossero rivelanti ai fini della sentenza, di come era vestita quella sera e dei rapporti di amicizia e stima che comunque aveva con i presunti stupratori.
Adesso, la Corte di Strasburgo le ha dato ragione accordandole un risarcimento per danni morali di 12mila euro.
“Sono soddisfatta che la Corte europea dei diritti umani abbia riconosciuto che la dignità della ricorrente è stata calpestata dall’autorità giudiziaria. La sentenza della Corte d’appello di Firenze ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando cosi la violenza, e ha rivittimizzato la ricorrente, usando anche un linguaggio colpevolizzante. Purtroppo, questo non è l’unico caso in cui la non credibilità della donna si basa sulla vivisezione della sua vita personale, sessuale. Questo succede spesso nei tribunali civili e penali italiani”, ha detto all’Ansa l’avvocato Titti Carrano, che ha rappresentato la ragazza nel processo.
La sentenza della Corte di Strasburgo deve far riflettere sulla strada ancora da fare per cancellare gli stereotipi sessisti imperanti. Cominciando anche con una formazione ad hoc per i professionisti della giustizia.
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