Sommario
L’autofagia (anche detta autofagocitosi) è un processo naturale che aiuta le cellule a rigenerarsi autonomamente. La parola stessa è composta da “auto” e “fagia”, cioè “mangiarsi da solo”, ovvero il processo con cui la cellula digerisce sé stessa al fine di rigenerarsi con nuovi componenti.
Questo meccanismo era stato per la prima volta teorizzato da Christian De Duve (premio Nobel nel 1974 per la Medicina) e successivamente confermato dal giapponese Yoshinori Ohsumi, Nobel per la Medicina e la Fisiologia a seguito degli studi condotti agli inizi degli anni 90.
Secondo gli scienziati esistono dunque dei fattori in grado di attivare l’autofagia nell’organismo, come: il digiuno intermittente, lo sport e una dieta povera di carboidrati.
Anche se qualsiasi tipo di regime alimentare andrebbe iniziato previo consulto con il proprio medico, tra gli effetti benefici dell’autofagocitosi ritroviamo sicuramente la rigenerazione cellulare. Essa comporta una riduzione dell’infiammazione nell’organismo, fondamentale sì per prevenire l’invecchiamento precoce dei tessuti ma soprattutto per aiutare a combattere malattie autoimmuni e tumori.
Cos’è l’autofagia: significato e caratteristiche
L’autofagia (chiamata a volte anche autofagocitosi) è un processo endogeno e vitale noto anche come “eliminazione dei rifiuti del corpo”. Il nome dice tutto: le cellule digeriscono parti di sé stesse per abbattere sostanze di scarto e vecchi componenti cellulari, nonché per ottenere nuovi materiali da costruzione (soprattutto amminoacidi) durante i periodi di carenza di cibo.
A lungo ignorata, l’autofagia sta ora guadagnando sempre più importanza nel mondo della scienza culminando prematuramente nel premio Nobel per la medicina 2016 del giapponese Yoshinori Ohsumi.
È noto che nel mondo moderno, con il cibo sempre a portata di mano, il corpo ha acquisito sempre meno la necessità di fare autofagia. A lungo termine, ciò porta alla “dispersione” delle cellule e del corpo, nonché all’aumento delle malattie infiammatorie croniche e delle ben note malattie autoimmuni.
La teoria di De “Duve”
A metà degli anni ’50, gli scienziati hanno identificato un organulo nella cellula che conteneva enzimi che digerivano proteine e lipidi.
Questo ha preso il nome di lisosoma e la sua funzione è stata assimilata a quella di uno sfasciacarrozze, che scompone un’auto nelle sue parti componenti, ferro e plastica, per poi smaltirle.
Christian de Duve, lo scopritore del lisosoma, chiamò questo processo “autofagia” e le vescicole che portano le particelle difettose alla confluenza con il lisosoma furono chiamate “autofagosomi”.
Per dimostrare la veridicità della teoria di “de Duve”, Yoshinori decise di interrompere la nascita dei lisosomi, aspettandosi di vedere un accumulo di contenuto nella cellula che sarebbe stato distrutto se i vacuoli avessero funzionato.
Questo successo è stato pubblicato nel 1992. A meno di un anno da questo obiettivo raggiunto, Yoshinori riuscì a scoprire anche i geni che attivano o inibiscono il processo di autofagocitosi cellulare.
Ci sono voluti ancora alcuni anni prima che la comunità scientifica si convincesse che tutto funzionasse esattamente secondo la teoria di Yoshinori e il processo è andato avanti fino all’assegnazione del Premio Nobel.
Autofagia e digiuno
L’autofagia, secondo alcuni, sembra funzionare eccezionalmente bene nei periodi di astinenza dal cibo (il cosiddetto digiuno intermittente). Questa forma di alimentazione prevede pasti concentrati in alcune ore del giorno, alternati a un prolungamento del digiuno notturno.
Tuttavia, non è esattamente noto dopo quante ore di riposo l’autofagia sia realmente attiva.
Si suppone che questa possa diventare effettiva dopo solo otto ore o anche dopo 12 ore. Chiunque pratichi il digiuno intermittente con periodi di riposo superiori alle 12 ore di solito va sul sicuro.
Dato che il digiuno intermittente vale anche come aiuto contro il cancro, il diabete e il colesterolo alto, allora vale la pena testare più volte questo tipo di dieta, anche se sempre sotto controllo medico.
A cosa serve l’autofagia: tutti i benefici
Grazie alle scoperte scientifiche è ormai noto che l’autofagia è importante per ogni cellula del corpo al fine di rigenerarsi.
Essa è anche fondamentale per l’attivazione del sistema immunitario durante i periodi di astinenza alimentare. Ma quali sono i vantaggi dell’autofagia nel corpo?
Allunga la vita
Studi su topi e vermi hanno dimostrato che l’aumento dell’autofagocitosi porta ad un allungamento della durata della vita. Questa scoperta può anche essere trasmessa all’uomo ed è molto frequente nelle persone molto anziane (ad esempio nei centenari che praticano lunghi periodi di digiuno).
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sul digiuno.
Previene la depressione
Studi scientifici dimostrano sempre più che il digiuno regolare (il più potente attivatore dell’autofagia) previene la depressione e può essere utilizzato come componente del trattamento di altre patologie psichiatriche.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sulla depressione.
Rafforza il sistema immunitario
Tutti coloro che si astengono dal cibo per periodi più o meno lunghi sembrano beneficiare di un sistema immunitario più forte. L’autofagocitosi infatti attiva maggiormente i fagociti del sistema immunitario per rilevare e distruggere cellule infette, morte o di scarto.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sul sistema immunitario.
Riduce l’infiammazione nel corpo
L’infiammazione è nota per essere una delle principali cause di malattie croniche. Il digiuno e i processi associati di autofagocitosi sono molto efficaci nel ridurre l’infiammazione nell’organismo e possono quindi essere visti come una componente del trattamento delle malattie infiammatorie croniche.
Come aumentare e stimolare l’autofagia
L’autofagia consente al nostro corpo di abbattere e riutilizzare gli scarti cellulari in modo da attivarne la rigenerazione.
Questo è infatti un processo di pulizia naturale che inizia paradossalmente in condizioni di stress o in mancanza di nutrimento (per un breve periodo).
I ricercatori stanno studiando il ruolo dell’autofagia nella potenziale prevenzione e lotta alle malattie croniche e finora alcuni fattori sembrano influenzare la prognosi di alcune patologie. Tra di essi ricordiamo:
Digiuno
L’autofagia, anche se non ci sono studi certi, sembra attivarsi dopo 12 ore di astinenza dal cibo e continua ad aumentare linearmente fino a raggiungere il suo picco assoluto dopo circa 2-3 giorni.
L’astinenza completa dall’alimentazione per più giorni è comunque sconsigliata.
Restrizione calorica
I giapponesi sono noti per consumare i pasti non a sazietà, ma abbastanza da riempirsi all’80%. L’autofagia svolge un ruolo importante nella vita di tutti i giorni.
Chi vuole dimagrire o, in generale, non mangia fino a saturazione assoluta, sta già facendo un grande e inconsapevole passo verso l’autofagocitosi e la prevenzione delle patologie croniche.
Sport
Ginnastica aerobica (sport di resistenza) o sport anaerobici (sport con la palla ad alta intensità, CrossFit, allenamento della forza) sembrano attivare il metabolismo insieme al meccanismo dell’autofagia.
Questo sembra essere uno dei motivi per cui l’esercizio più volte alla settimana è così fortemente raccomandato e mantiene il corpo giovane e in forma.
Dieta ricca di grassi e povera di carboidrati
Questo tipo di regime, comunemente indicato come “dieta cheto”, cambia il modo in cui il corpo brucia energia. In questo caso infatti, invece di usare carboidrati o zuccheri per produrre energia, arriva ad intaccare le proprie riserve di grasso liberando i lipidi nell’organismo.
Questo meccanismo è così in grado di attivare l’autofagia.
Se ti interessa l’argomento, scopri il nostro approfondimento sulla dieta chetogenica.
Alimenti e ingredienti per stimolare l’autofagia
Negli studi scientifici e nella pratica, sta diventando sempre più chiaro che la salute beneficia notevolmente quando all’autofagia viene dato più spazio nella vita di tutti i giorni.
Un valido incentivo arriva quando stiamo digiunando regolarmente (uno o più giorni a settimana).
Il digiuno intermittente è infatti un modo popolare per ottenere i benefici dell’autofagia quasi ogni giorno. Poiché questo processo si attiva intorno alle 12-16 ore, quando l’ormone della crescita umano (hGH) raggiunge il suo picco, a molte persone piace saltare la colazione e mangiare direttamente a pranzo. In questo caso ci sono abbastanza ore tra la cena e il pranzo per beneficiare dell’autofagocitosi di notte e al mattino.
Ad ogni modo, prima di iniziare una dieta intermittente è bene consultarsi con il proprio medico riguardo a eventuali rischi e benefici. Tra tutti gli alimenti, inoltre, ne esistono alcuni in grado di aumentare il metabolismo, potenziando gli effetti del digiuno intermittente.
- Caffè.
- Zenzero.
- Tè verde.
- Limone.
- Reishi (fungo medicinale dell’Estremo Oriente).
- Broccoli (contengono sulforafano).
- Vitamina D (essenziale per una buona ed efficiente autofagia; circa l’80% di tutta la popolazione sembra esserne è carente).
- Curcuma e suo estratto (curcumina).
- Resveratrolo (contenuto nell’uva rossa e vino rosso).
- Melatonina (ormone che regola il sonno).
Autofagia e malattia: ruolo e funzioni per l’organismo
E’ il processo del corpo di riutilizzare parti cellulari vecchie e danneggiate. Le cellule sono i mattoni di base di ogni tessuto e organo dell’organismo.
Ogni cellula contiene più parti che la mantengono funzionante. Nel tempo, queste parti possono diventare difettose o smettere di funzionare, diventando rifiuti, o spazzatura, all’interno di una molecola altrimenti sana.
Una cellula può scartare le parti di cui non ha bisogno. L’autofagia è il sistema di riciclaggio del corpo. Esso consente a una cellula di “smontare” i suoi componenti “spazzatura” e riutilizzare i frammenti recuperabili in nuovi elementi.
E’ anche un controllo della qualità delle cellule: troppi componenti vecchi occupano spazio e possono rallentare o impedire il corretto funzionamento della molecola. Quindi, trasforma il disordine nei componenti cellulari, ottimizzandone le prestazioni.
Le proteine correlate all’autofagia (in inglese ATGs) sono le molecole che la rendono possibile. Gli ATG provocano la formazione di strutture chiamate autofagosomi che trasportano i rifiuti in una zona della cellula chiamata lisosoma. Il compito di un lisosoma è quello di digerire o abbattere ulteriormente gli scarti.
La parola “autofagia” è una combinazione di due parole greche tradotte con il significato di “auto-distruttore”, poiché formata da “autos” e “phagomai”, che significa mangiare.
In sostanza, i lisosomi mangiano le parti di cellule spazzatura e quindi rilasciano i frammenti riutilizzabili. Le cellule usano queste materie prime per creare nuove parti.
Malattie autoimmuni
Il digiuno regolare sembra essere un rimedio naturale ed efficace anche per le malattie autoimmuni. Quest’ultime comprendono un meccanismo particolare, in cui l’organismo etichetta le sue stesse cellule come aggressori, e per difendersi le annienta, erroneamente.
Ogni malattia autoimmune ha cause individuali infatti, ma il digiuno sembra essere un piccolo denominatore comune che può essere utilizzato con successo per molte patologie tra cui l’artrite reumatoide o la sclerosi multipla.
È noto che alcune patologie compromettono l’autofagia, portando ad un aumento della morte cellulare e quindi alla formazione di anticorpi antinucleari.
Nelle malattie autoimmuni sistemiche come il lupus eritematoso, la sclerodermia e la sindrome di Sjogren, l’autofagia ostacolata sembra essere importante nella prognosi a lungo termine della patologia.
Esistono anche malattie autoimmuni in cui è noto che il digiuno regolare porta a forti effetti antinfiammatori e a un aumento del benessere e della qualità della vita.
Queste includono alcune come: morbo di Crohn e colite ulcerosa.
Autofagia e cancro
La perdita di peso è solo uno dei vantaggi del digiuno intermittente per un adulto normale sano (senza malattie). Recenti studi sugli animali e alcuni studi preliminari sull’uomo hanno mostrato una diminuzione del rischio di cancro o un rallentamento nell’avanzamento della malattia.
Questi studi indicano che ciò potrebbe essere dovuto ai seguenti effetti sull’organismo:
- diminuzione della produzione di glucosio nel sangue.
- Cellule staminali attivate per rigenerare il sistema immunitario.
- Apporto nutrizionale equilibrato.
- Aumento della produzione di cellule che uccidono il tumore (protettrici).
In uno studio sugli effetti del digiuno intermittente durante le fasi di 9-12 ore, è stato dimostrato che il regime può invertire la progressione dell’obesità e del diabete di tipo 2 nei topi (l’obesità rimane un importante fattore di rischio per il cancro).
Un secondo studio sui ratti ha poi mostrato che una dieta bimestrale che imita il digiuno riduce l’incidenza del cancro. I risultati sono stati simili in una sperimentazione pilota condotta dagli stessi scienziati con 19 esseri umani; l’esperimento ha mostrato una diminuzione dei biomarcatori e dei fattori di rischio per il cancro.
In uno studio del 2016 la ricerca ha spiegato come una combinazione di digiuno e chemioterapia abbia rallentato la progressione del cancro al seno e della pelle.
I metodi di trattamento combinati hanno indotto il corpo a produrre livelli più elevati di cellule progenitrici linfoidi comuni (CLP) e linfociti infiltranti il tumore. I CLP sono le cellule precursori dei linfociti, che sono globuli bianchi che migrano in un tumore con l’obiettivo di neutralizzarlo.
Lo stesso studio ha rilevato che il digiuno intermittente rende le cellule tumorali sensibili alla chemioterapia proteggendo le molecole sane e promuovendo anche la produzione di cellule staminali (riparatrici).
Dieta e autofagia
Il termine autofagia è stato appositamente coniato perché significa letteralmente “automangiarsi”.
Quindi, ha senso che il digiuno intermittente e le diete chetogeniche siano note per innescare l’autofagia. La dieta chetogenica infatti, ricca di grassi e povera di carboidrati porta gli stessi benefici del digiuno senza eliminare del tutto i cibi, come una scorciatoia per indurre gli stessi benefici nei cambiamenti metabolici.
Infatti essa, non sovraccaricando il corpo con un carico esterno, gli dà una pausa per concentrarsi sulla propria salute e riparazione. Nella dieta cheto si ottiene circa il 75 percento delle calorie giornaliere dai grassi e dal 5 al 10 percento delle calorie dai carboidrati (come frutta, verdura, pane, pasta e riso).
Questo cambiamento nelle fonti di energia fa sì che il corpo sposti i suoi percorsi metabolici, iniziando a utilizzare i grassi come carburante invece del glucosio derivato dai carboidrati.
In risposta a questa restrizione, il corpo inizia a produrre i cosiddetti “corpi chetonici” che hanno molti effetti protettivi. Alcuni tra i maggiori studi suggeriscono infatti che la chetosi può anche causare l’autofagia indotta dalla fame, che sembri avere funzioni neuroprotettive.
Bassi livelli di glucosio si verificano in entrambi i regimi, sia con il digiuno che entrando in chetosi, e sono collegati a bassi livelli di insulina e alti livelli di glucagone (dove quest’ultimo si ritiene responsabile dell’inizio dell’autofagia). Quando il corpo è a corto di zuccheri a causa del digiuno o della chetosi infatti, inizia lo stress positivo che risveglia la modalità di riparazione della “sopravvivenza”.
Un’altra attività non dietetica che può anche svolgere un ruolo nell’indurre l’autofagia è l’esercizio. Secondo uno studio sugli animali infatti, l’esercizio fisico può indurre l’autofagia negli organi che fanno parte dei processi di regolazione metabolica. Questo può includere muscoli, fegato, pancreas e tessuto adiposo.
Fonti
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