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Se ti capita di sentire dolore al pube o nella zona inguinale, che può estendersi fino all’addome inferiore, ai testicoli o alle cosce, potresti avere la pubalgia.
Si tratta, infatti, di una condizione caratterizzata da dolori localizzati di diversa intensità che possono influire negativamente sulle attività quotidiane.
Ma quali sono i sintomi della pubalgia, nell’uomo o nella donna? E cos’è la pubalgia in gravidanza. E ancora, per quanto tempo può durare una pubalgia?
Pubalgia: che cos’è
Come si fa a capire se si ha la pubalgia? La pubalgia è un dolore causato soprattutto dalla ripetizione di microtraumi dovuti a movimenti frequenti e intensi durante attività sportive come, ad esempio, calcio, tennis o danza, i cui movimenti provocano un sovraccarico dei muscoli adduttori e addominali. Questi movimenti, come i cambi di direzione o i calci, non causano un dolore immediato ma possono comportare nel tempo un sovraccarico funzionale dei muscoli e dei tendini, specialmente nella zona del pube e dell’inguine.
È dunque una condizione che non si manifesta immediatamente ma si sviluppa gradualmente come conseguenza dell’accumulo di piccoli traumi.
Il termine “pubalgia”, in realtà, è una generalizzazione che include diverse condizioni mediche caratterizzate da dolore nella regione pubica. Alcune di queste possono essere causate dall’artrosi dell’anca, dolori addominali, ernie inguinali o lesioni muscolari dirette. Queste ultime, di solito, si devono a un movimento brusco e violento che provoca un dolore immediato. Invece, la pubalgia si manifesta lentamente, poiché causata da piccoli danni prolungati nel tempo, senza sintomi evidenti all’inizio.
È importante quindi fare attenzione alle prime avvisaglie di dolore durante l’attività fisica per prevenire che il disturbo si cronicizzi.
Quanto tempo può durare una pubalgia? Occorre evitare che l’infiammazione diventi cronica (con una durata superiore alle 12 settimane) e trattarla il prima possibile.
Per la pubalgia non esistono farmaci specifici ed è un disturbo che richiede tassativamente il riposo anche per 2-3 settimane o perfino un mese o più.
Quali sono i sintomi della pubalgia?
Dove fa male con la pubalgia? Il sintomo principale è un dolore all’inguine, associato a uno stato infiammatorio della muscolatura che si inserisce nella zona pubica. Si può irradiare verso la parte bassa dell’addome, la coscia o i testicoli. Normalmente è più presente al mattino o all’inizio dell’attività motoria, con la tendenza al miglioramento con il riposo o riprendendo lentamente il movimento. Tuttavia, nei casi più seri, può peggiorare muovendosi, soprattutto eseguendo movimenti bruschi.
Nei casi più acuti il dolore è talmente grave che può impedire non solo lo svolgimento di attività fisica specifica ma anche la sola camminata.
Un altro sintomo è la sensazione di debolezza nell’area dell’inguine. Si può avvertire una mancanza di forza o di stabilità nel distretto inguinale durante l’esecuzione di determinati movimenti, come alzarsi da una sedia o sollevare oggetti pesanti.
La tensione della muscolatura pubica può determinare anche sintomi a livello della vescica, con cui il pube è in stretta relazione anatomica. Infatti, la vescica si trova dietro al pube ed è messa in relazione con questo da una serie di legamenti (tra cui i legamenti vescicali).
I sintomi più frequenti a livello vescicale sono il tenesmo, ovvero una sensazione di contrazione simile ai crampi, spesso dolorosa, e la pollachiuria, cioè la necessità di urinare più volte durante la giornata, entrambe associate a urgenza minzionale e sensazione di incompleto svuotamento vescicale.
Questi sintomi possono essere indicativi di problemi infiammatori o infettivi vescicali.
Il dolore al pube si può associare nell’uomo anche a un dolore testicolare. Anche in questo caso è bene confrontarsi con il medico per escludere la presenza di disturbi come, ad esempio il varicocele, che possano essere all’origine di questa manifestazione.
In sintesi, i sintomi della pubalgia sono:
- Dolore al pube o all’inguine.
- Dolore che regredisce a riposo e aumenta in movimento.
- Mancanza di forza e stabilità.
- Tenesmo vescicale.
- Dolore testicolare.
Come capire se è ernia o pubalgia?
Talvolta, soprattutto tra gli atleti, il dolore nella regione inguinale, alla base della parete addominale vicino all’inguine, può essere indicativo di due condizioni: l’ernia inguinale o la pubalgia.
Per distinguerle è essenziale valutare le loro peculiarità. La pubalgia o sindrome del dolore pubico, è causata dall’infiammazione dei muscoli che convergono sulla sinfisi pubica, inclusi gli adduttori della coscia e il muscolo retto addominale. È una condizione dovuta spesso a sforzi eccessivi e microtraumi ripetuti, come quelli causati da cambi di direzione rapidi, torsioni e movimenti bruschi, tipici negli sport come il calcio.
L’ernia inguinale, invece, consiste nella protrusione di tessuti attraverso un punto debole della parete addominale nell’area inguinale. È dunque una condizione strutturale e più comune negli uomini, ma può verificarsi anche negli anziani e nelle donne in gravidanza.
Se manca una tumefazione visibile, che solitamente caratterizza l’ernia inguinale, la diagnosi può essere incerta. Ma con l’ecografia, eseguita anche sotto sforzo, è possibile differenziare un’ernia dalla pubalgia.
La pubalgia colpisce più l’uomo o la donna?
La pubalgia può manifestarsi in persone di qualsiasi età e livello di attività fisica, ma è più comune tra gli atleti e in chi pratica sport ad alto impatto.
Benché sia uomini che donne possano essere colpiti da questa condizione, c’è una prevalenza maggiore nei maschi.
Questo fenomeno si può spiegare considerando che gli uomini tendono ad avere una maggiore debolezza strutturale nell’area solitamente affetta da pubalgia.
Al contrario, nelle donne, l’inserzione del muscolo retto addominale sulla sinfisi pubica è generalmente più forte e copre una superficie maggiore, conferendo una maggiore resistenza in questa zona.
Pubalgia in gravidanza
Durante la gravidanza, la donna va incontro ad una serie di cambiamenti fisici e posturali. In alcuni casi possono provocare l’insorgenza di una pubalgia.
Il dolore è provocato da una instabilità a livello della sinfisi pubica, l’articolazione che costituisce il punto di incontro delle due parti che compongono il bacino, causata da cambiamenti posturali ma anche ormonali.
Infatti, per creare spazio al feto, il bacino va incontro a un aumento della retroversione con conseguente aumento della lordosi (la fisiologica curvatura della schiena).
Quindi, il baricentro si sposta in avanti e il peso progressivamente aumenta, creando uno stress sulle strutture del bacino. Questo è particolarmente vero dal sesto mese in avanti, periodo in cui sarà più facile per la futura mamma incorrere in problemi di lombalgia, sciatalgia e pubalgia.
I cambiamenti ormonali sono necessari per aiutare il corpo ad adattarsi meglio ad ospitare il feto. In particolare la relaxina, l’ormone che favorisce il rilassamento dei legamenti pelvici, contribuisce ad aumentare la lassità delle articolazioni e dei legamenti per adattarli al passaggio del feto nel canale del parto.
Tuttavia, il rilassamento di queste strutture può portare all’insorgenza di dolori localizzati a livello del pube con irradiazione alla coscia e talvolta alla schiena. Anche in questo caso si crea uno stato infiammatorio e di sovraccarico delle strutture muscolari e legamentose che si inseriscono sul pube.
Il dolore è quindi più frequente nelle donne che hanno delle alterazioni posturali di base.
Fare sport durante la gravidanza è uno dei più importanti accorgimenti per la prevenzione della pubalgia. Infatti, rinforzare la muscolatura addominale, lombare e degli arti inferiori aiuta a sostenere il peso che progressivamente aumenterà nei mesi.
Alcune pratiche come lo yoga o la ginnastica preparto si concentrano sulla respirazione e sulla preparazione del pavimento pelvico. Insegnano accorgimenti che possono essere utili non solo nella gestione di questi dolori ma anche durante il parto stesso.
È consigliabile alternare le posture in piedi e seduta e sdraiarsi sul fianco, con un cuscino posizionato tra le gambe e uno dietro la schiena.
Inoltre, è consigliato evitare di sedersi accavallando le gambe e utilizzare calzature comode ed evitare sforzi eccessivi che possano sovraccaricare la schiena.
Tra gli approcci possibili, c’è anche la terapia manuale che include esercizi specifici, manipolazioni e mobilizzazioni per aiutare a gestire la situazione posturale del bacino. Crea una condizione più favorevole ai cambiamenti fisiologici che il corpo della donna subirà durante questo periodo, riuscendo a prevenire l’insorgenza di disturbi.
Cause della pubalgia
La presenza di alterazioni posturali e dismorfismi (cioè una diversa struttura corporea rispetto alla norma) a carico degli arti inferiori possono generare dei disequilibri muscolari tali da provocare uno stress eccessivo di queste strutture, causandone la degenerazione. Anche un atteggiamento di iperlordosi (un aumento della curvatura naturale della colonna che proietta indietro il bacino) può essere considerato un fattore predisponente.
Quando il dolore al pube è associato a problemi articolari viene classificato come sindrome sinfisaria. Questa problematica colpisce tipicamente le donne in gravidanza, specie nel terzo trimestre, quando la sinfisi pubica subisce intense tensioni dovute all’aumento di peso e alle modificazioni a carico del bacino.
L’aumento di peso eccessivo e gli episodi precedenti alla gravidanza possono essere fattori predisponenti.
Viene invece definita sindrome della guaina del retto addominale o del nervo perforante quando la pubalgia è associata ad una tensione dei muscoli addominali talmente forte da coinvolgere la fascia superficiale che avvolge il muscolo, provocando una compressione e lo stiramento del nervo perforante stesso.
Questa condizione è associata a dolore che si acuisce di solito durante il movimento della calciata.
Infine, il sovrappeso può essere associato all’insorgenza di pubalgia a causa del sovraccarico esercitato sul bacino, così come tutte quelle condizioni che creano disequilibri a livello del bacino, come le patologie dell’anca o a carico dell’articolazione sacro-iliaca.
Escludere altre malattie
Durante la visita è importante escludere altre possibili cause associabili a questo dolore tra cui ad esempio:
- Ernia inguinale.
- Distrazioni muscolari o strappi a carico dei muscoli adduttori o retti dell’addome.
- Lombalgie.
- Artrosi e patologie a carico dell’anca.
- Malattie dell’apparato urinario, ginecologico e gastrointestinale o testicolari.
Come si cura la pubalgia?
La fase acuta della pubalgia può durare dalle due alle tre settimane durante le quali è fondamentale una diagnosi precoce.
Pertanto, in presenza di una sintomatologia dolorosa nella zona pubica e inguinale, associata a senso di incompleto svuotamento vescicale, la prima cosa da fare è certamente la sospensione dall’attività scatenante, che sia sportiva o meno.
Quindi, il consiglio è di rivolgersi al medico per avere il prima possibile una corretta diagnosi differenziale con problematiche non muscolo scheletriche o valutare la necessità di una visita specialistica ortopedica o fisiatrica per un inquadramento della pubalgia.
Il medico specialista può indicare, oltre al riposo, una terapia farmacologica, scelta a seconda della gravità dei sintomi, a base di antinfiammatori e corticosteroidi con l’obiettivo di ridurre il processo infiammatorio a carico della zona interessata.
Farmaci
I farmaci possono essere utilizzati sia a livello sistemico che locale, con l’utilizzo di pomate oppure, nei casi più persistenti, con infiltrazioni.
In questo caso, sono usati farmaci corticosteroidei o anestetici locali. Talvolta può essere utilizzato anche l’acido ialuronico associato a cortisone per la riduzione della flogosi e dell’infiammazione.
Associare degli impacchi di ghiaccio locali, fatti più volte al giorno, può aiutare notevolmente nella gestione del dolore.
Onde d’urto o tecar
Sono onde di pressione che si propagano nei tessuti e determinano l’effetto di un micromassaggio. In questo modo viene stimolata la neoangiogenesi (sviluppo di nuovi vasi sanguigni a partire da quelli già esistenti).
Quindi si favorisce il microcircolo e si aiuta lo smaltimento delle sostanze infiammatorie, nonché la micro frammentazione delle calcificazioni. Tutto questo agevola la riparazione dei tessuti. In fase acuta, normalmente è proposta una seduta a settimana e la durata è mediamente tra i 3 e i 10 minuti.
Spesso alle onde d’urto sono associate altre terapie strumentali come per esempio la tecarterapia.
In questo caso le cariche applicate al tessuto producono un effetto termico endogeno. Questa stimolazione termica attiva i processi riparativi e antinfiammatori naturali.
Si tratta di una terapia molto popolare ma non è ancora sostenuta da solidi studi scientifici.
Laserterapia
La laserterapia sfrutta allo stesso modo l’effetto termico, ma si tratta di un calore esogeno. Quindi è applicato alla zona trattata dal macchinario e non è generato dal tessuto stesso, come accade invece nella tecar, e per questo motivo il rischio è che abbia un’azione meno profonda.
In generale, la somministrazione di calore dovrebbe avere come effetto quello di aumentare la circolazione della zona interessata, stimolando il drenaggio linfatico e incrementando l’attività metabolica della parte con apporto di ossigeno e sostanze nutritive. Inoltre, favorisce l’eliminazione delle sostanze di scarto prodotte dallo stato infiammatorio.
Stretching
Appena la sintomatologia lo consente, è possibile eseguire esercizi di stretching e allungamento di tutta la muscolatura coinvolta, quindi addominali, muscoli adduttori e dell’anca.
Il lavoro è di tipo propriocettivo e posturale. In un secondo momento, cioè nella fase subacuta del problema, l’approccio riabilitativo sarà orientato al potenziamento della muscolatura con esercizi di contrazione concentrica.
In questa fase, nel caso degli sportivi, avviene anche un iniziale ricondizionamento cardio-respiratorio.
Esercizi per migliorare la pubalgia
Gli esercizi scelti dal terapista nel protocollo terapeutico di gestione della pubalgia sono legati all’entità del sintomo, alla durata e alla presunta causa scatenante.
Per questo motivo è bene rivolgersi a degli specialisti che possano impostare il piano di lavoro più adatto alla singola persona.
Gli esercizi che vi verranno proposti hanno come obiettivo quello di allungare e/o rinforzare i muscoli addominali, in particolare il retto dell’addome che si inserisce sul pube e il muscolo trasverso che ha un’azione di stabilizzatore del bacino.
Sempre con l’obiettivo di agire sulla corretta fisiologia del bacino saranno proposti esercizi che coinvolgono la muscolatura posteriore della coscia, i muscoli dell’anca, lo psoas, gli adduttori.
1 – Rinforzo dei muscoli adduttori: la farfalla da seduto
Posizione iniziale: seduti su un tappetino con la schiena dritta. Piegare le ginocchia in modo che le piante dei piedi si uniscano davanti al pube.
Appoggiarsi con i gomiti sulle ginocchia e unire i palmi delle mani, quindi spingere le ginocchia contro i gomiti per produrre una contrazione dei muscoli adduttori.
Mantenere la spinta tra i 5 e i 10 secondi e rilassare. Ripetere almeno 5 volte.
2 – Rinforzo dei muscoli adduttori con palla
Nella posizione sdraiata appoggiare i piedi al tappetino avendo le ginocchia flesse. Posizionare tra le ginocchia una palla morbida (per esempio di tessuto o quelle da pilates) e spingere con entrambe le ginocchia verso la palla stessa, mantenere la contrazione muscolare per 10-15 secondi e poi rilasciare.
Ripetere la spinta per almeno 10 volte.
3 – Rinforzo del muscolo trasverso dell’addome
Dalla posizione sdraiata supina inspira profondamente con la pancia e butta fuori l’aria portando l’ombelico verso la colonna vertebrale, trattieni il fiato per almeno 5 secondi e rilassa.
Ripetere per 5 volte.
4 – Rinforzo dei muscoli del retto dell’addome
Può essere eseguito con il classico esercizio del crunch, avendo come focus quello di avvicinare lo sterno verso il pube per una completa attivazione muscolare.
Si può usare anche la variante con le gambe flesse a 90° che crea già un avvicinamento di queste due strutture.
Fare 4-5 serie da 10-15 ripetizioni ciascuna.
5 – Allungamento dei muscoli addominali con la posizione della sfinge
Nella posizione prona i palmi delle mani sono appoggiati al tappeto all’altezza delle spalle. Appoggiandosi sulle mani sollevare il tronco fino a sentire un allungamento della parete addominale.
Mantenere la posizione per circa 15-20 secondi e ripetere almeno 3 volte. Nell’eseguire questo allungamento rispettare la flessibilità della colonna vertebrale, se si avvertono dolori alla schiena ridurre l’estensione del busto.
6 – Allungamento della catena posteriore
Nella posizione supina mettersi vicino a un muro e portare le gambe a squadra rispetto al bacino, cercando di avere il più possibile il gluteo vicino al muro.
Questa posizione genera un allungamento globale della catena muscolare posteriore. Mantenerla per un tempo minimo di 10 minuti.
7 – Allungamento dei rotatori esterni di anca e dei glutei
Dalla posizione supina piegare passivamente l’arto usando le mani per tirare la coscia verso il petto. Per allungare il gluteo portare il ginocchio verso la spalla omolaterale evitando di ruotare la coscia.
8 – Rotatori esterni dell’anca
Per allungare invece i rotatori esterni dell’anca e i muscoli abduttori, partire dalla stessa posizione ma flettere il ginocchio verso il petto portandolo in adduzione, ovvero nella direzione della spalla opposta.
Eseguire gli esercizi da entrambi i lati per almeno 10-20 ripetizioni ciascuno.
Fonti