Sommario
L’infezione da Coronavirus può presentarsi senza sintomi o con sintomi molto variegati. Come riconoscerli? Come distinguerli da quelli di una semplice allergia? Dopo la guarigione si diventa immuni o no? A queste e ad altre domande dei lettori di Melarossa abbiamo cercato di dare risposta nel corso di una video intervista con il dottor Luigi Temperilli, specialista in ematologia e pneumologia. Che ci ha indicato anche un esercizio molto semplice da fare a casa per capire, senza saturimetro, se il nostro respiro è regolare o abbiamo l’affanno. I problemi respiratori, infatti, insieme alla febbre, sono uno dei campanelli d’allarme di un possibile contagio da Covid-19.
Come distinguere i sintomi del Coronavirus da una semplice allergia?
La malattia da Coronavirus ha una manifestazione clinica estremamente varia. Abbiamo pazienti infetti che non manifestano alcun sintomo, pazienti con febbre, anche molto alta, con tosse, con dolori osteoarticolari, dolori muscolari, sintomi da raffreddamento, affanno. Distinguere questi sintomi, così vari, da quelli di un’allergia potrebbe non essere facilissimo. In genere, comunque, il paziente allergico sa come si presenta la sua allergia, che spesso è associata a rinite e prurito, ma mai alla febbre. La febbre è quindi un elemento discriminante estremamente importante per distinguere il Coronavirus da una semplice allergia.
Quali sintomi, associati alla febbre, rappresentano un campanello d’allarme?
Tra i sintomi dell’infezione da Coronavirus può esserci la diarrea, che in Cina è stata riscontrata solo nel 3% dei casi, mentre in lavori successivi è stata descritta come presente nel 20-22% dei casi. Ma questo sintomo non si presenta mai da solo, bensì associato a tosse e febbre alta. Anche la congiuntivite può manifestarsi ma è abbastanza rara: finora è stata osservata nell’1-2% dei pazienti.
Anche la febbre, all’inizio della sintomatologia, è presente solo nel 50% dei casi, ma nei giorni successi si manifesta nel 90% dei casi: questo è un elemento da tenere presente.
Quali parametri è importante tenere sotto controllo e come farlo da casa?
Le persone contagiate possono avere pochi sintomi e lievi, soprattutto nella prima settimana. Quello che deve preoccupare è una febbre sempre più elevata dopo i primi 5-6 giorni dall’inizio della sintomatologia, una tosse secca insistente, a volte anche con catarro, e soprattutto un respiro affannoso. E’ importante controllare la frequenza del proprio respiro, oltre alla temperatura corporea e alla frequenza cardiaca (contando i battiti dal polso). C’è un esercizio molto facile che possiamo fare per verificare, da casa, se abbiamo l’affanno: basta munirsi di un cronometro, appoggiare la mano sulla pancia o sul torace e vedere quante volte si sollevano in un minuto. Una frequenza del respiro normale va dai 16 ai 20 atti respiratori al minuto.
Anche il saturimetro è uno strumento importante, perché permette di misurare la saturazione dell’ossigeno, che non deve mai scendere sotto 94, e quindi di captare eventuali problematiche respiratorie prima che compaia la dispnea, cioè l’affanno. Questa condizione, infatti, spesso passa inosservata se si sta a riposo, fino a quando la saturazione non scende a 88-90: il saturimetro, invece, misurando la saturazione dà un segnale precoce che ci dà la possibilità di metterci in allarme appena il valore scende sotto 94.
Una volta guariti dal Coronavirus, sviluppiamo anticorpi che ci rendono immuni?
E’ bene chiarire cosa significa “sviluppare anticorpi”. Quando facciamo una vaccinazione o ci ammaliamo di una malattia virale sviluppiamo anticorpi. Ma questi anticorpi possono avere effetti diversi. Pensiamo all’HIV. Chi si infetta sviluppa anticorpi antivirali, ma questi anticorpi non hanno un effetto protettivo nei confronti del virus, svelano solo l’infezione: sono anticorpi ad azione diagnostica ma non di difesa. Ecco perché ad oggi, contro l’HIV ci sono farmaci antivirali che bloccano la replicazione del virus, ma non esiste ancora la vaccinazione.
Ci sono invece delle malattie virali, come il morbillo, la rosolia, la mononucleosi infettiva, che dopo l’infezione portano allo sviluppo di anticorpi ad alta avidità nei confronti del virus: questi anticorpi hanno cioè un effetto protettivo rispetto a una reinfezione.
Come si comporta il Coronavirus? Sappiamo per certo che dopo il contagio sviluppiamo anticorpi IgM e IgG, che crediamo siano abbastanza protettivi: all’Università di Padova, per esempio, c’è un protocollo di trattamento che preleva il siero di pazienti guariti, che quindi hanno sviluppato anticorpi, e lo trasfonde in pazienti malati in condizioni gravi, con risultati positivi. Sembra quindi che gli anticorpi che si sviluppano dopo il contagio siano protettivi, ma non sappiamo ancora quanto a lungo duri il loro effetto.
Ci sono rischi per il bambino se la mamma è infetta in gravidanza o durante l’allattamento?
Il Coronavirus durante la gestazione non si trasmette da mamma a bambino perché non attraversa la barriera ematoplacentare: si comporta come un virus influenzale, che non passa al feto. Allo stesso modo, non ci sono rischi di trasmissione del virus attraverso il latte se la mamma infetta allatta il suo bambino. E’ importante però che, quando lo fa, indossi la mascherina e che si lavi bene le mani prima di allattare, altrimenti il rischio è che possa contagiare il bambino con le goccioline di saliva emesse parlando o con il contatto diretto, soprattutto attraverso gli occhi, causandogli per esempio una congiuntivite virale. In Cina sono state segnalate delle complicanze per il neonato durante l’allattamento se la madre è malata sia di pertosse che di Coronavirus, ma in Italia tutte le donne vengono vaccinate contro la pertosse durante il terzo trimestre di gravidanza, quindi non sembrano esserci pericoli in questo senso.
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