Sommario
Il parto nella specie umana, come in tutti i mammiferi, può essere definito come “l’espulsione del feto dagli organi genitali materni al termine della gravidanza” (Treccani, Dizionario di Medicina). Può avvenire per un insieme di processi naturali o tramite operazioni ostetriche e, a seconda del momento della gravidanza in cui si verifica, si considera a termine, pretermine (prematuro o precoce) o post-termine (tardivo).
Calcolare la data del parto all’inizio della gravidanza è quindi importantissimo perché, quando il momento tanto atteso arriva, è possibile capire subito se il piccolo è puntuale, in anticipo o in ritardo e intervenire nel modo più opportuno.
Ma come si calcola la data presunta del parto? E come si procede in caso di parto a termine, prematuro o tardivo perché mamma e bambino non corrano rischi?
Gravidanza e gestazione: che differenza c’è?
La datazione della gravidanza, quindi il calcolo della data presunta del parto, si basa su un parametro preciso, ovvero il primo giorno dell’ultima mestruazione: sarebbe infatti complesso basarsi sul momento del concepimento (gli spermatozoi possono sopravvivere all’interno dell’utero fino a cinque giorni), troppo incerto da definire.
Gestazione e gravidanza, comunemente usati come sinonimi, si riferiscono quindi a due concetti diversi:
- la gestazione è il periodo che va dal concepimento alla nascita del bambino;
- la gravidanza è il periodo che va dal primo giorno delle ultime mestruazioni fino al parto.
Lo scarto sta nelle due settimane che vanno dal 1° giorno dell’ultimo ciclo mestruale, che coincide con l’inizio della gravidanza, al 14° giorno circa (fase ovulatoria in cui avviene il concepimento), momento da cui si fa partire il calcolo delle settimane di gestazione.
Data presunta del parto: come si calcola?
Il calcolo delle settimane di gravidanza si basa quindi sull’età gestazionale (calcolata sulla base dell’ultima mestruazione), non sull’età concezionale (calcolata sulla base del momento del concepimento, che si presume successivo di due settimane). E’ un elemento importante per monitorare lo sviluppo dell’embrione e capire se i parametri di crescita sono nella norma. Permette, inoltre, di calcolare la data presunta del parto.
Per farlo bisogna contare 280 giorni (40 settimane) dal primo giorno dell’ultima mestruazione, con un margine in più o in meno di 15 giorni. Una gravidanza è “normale” se si conclude 3 settimane prima o due settimane dopo la quarantesima. In questo caso, si parla di parto a termine.
Se, invece, la gravidanza dura di meno, o si protrae molto oltre il termine, il parto sarà pretermine o post-termine. Dobbiamo inoltre specificare, che soprattutto quando la donna ha dei cicli normalmente irregolari, è importante effettuare una datazione con l’ecografia ad inizio gravidanza: misurare la lunghezza dell’embrione è, infatti, il mezzo più affidabile per datare la gravidanza.
La gestione dei diversi tipi di parto è spesso multidiscilplinare e specifica per ogni donna, con azioni e interventi da valutare in relazione allo stato di salute della mamma e del feto. Vediamo quali.
Parto a termine
Definizione
Il parto a termine è quello che avviene nei tempi “regolari”, ovvero tra le 37 e le 41 settimane di gravidanza, per la precisione tra l’inizio della 37^ e la fine della 41^ settimana (41 + 6 giorni), cioè tra 259 e 294 giorni dall’ultima mestruazione. Si tratta della situazione che, a meno che non insorgano complicanze, comunque più rare che nel parto pretermine e post-termine, comporta meno preoccupazioni per la donna perché è quella considerata più naturale e nella norma.
Parto a termine: i fattori che lo favoriscono
Un attento controllo e monitoraggio dei sintomi da parte del ginecologo, per tutta la durata della gravidanza, permette una gestione ottimale delle diverse problematiche, con l’obiettivo di cercare di favorire il parto a termine. Inoltre un corretto stile di vita, caratterizzato da un’alimentazione equilibrata e dall’eliminazione del fumo, contribuisce a un migliore controllo della gravidanza.
Parto a termine: cesareo o naturale?
Quando la gravidanza ha un decorso regolare e la donna è in buono stato di salute, è possibile procedere con un parto naturale. In questo caso, ai primi segnali di inizio del travaglio (rottura del sacco amniotico, perdita del tappo mucoso o contrazioni che si fanno più intense, in genere ogni 10 minuti), la futura mamma dovrà recarsi in ospedale per dare alla luce il suo bambino.
Il parto naturale è invece sconsigliato se la donna ha già avuto un cesareo in passato o se il bambino è in posizione trasversa o podalica. In quel caso, si procederà con un parto cesareo. In genere, in caso di precedente cesareo o di bimbo in posizione anomala, il cesareo viene programmato, di solito tra la 38^ e la 39^ settimana. Il cesareo può anche essere effettuato d’urgenza, ovvero deciso durante il travaglio, per esempio quando si riscontrano anomalie del battito cardiaco del feto.
Rispetto a un parto naturale, il cesareo comporta una sofferenza post-partum maggiore e una degenza e un recupero più lunghi.
La gestione del dolore
Nel caso del parto naturale, per gestire il dolore è possibile fare ricorso a tecniche di respirazione o ad analgesici somministrati per via venosa, oppure richiedere l’anestesia epidurale. Nel caso del parto cesareo, in genere si ricorre ad un’anestesia loco-regionale, di tipo spinale o epidurale: nelle emergenze, può essere utilizzata un’anestesia generale.
Complicanze per mamma e bambino
Anche se il parto è a termine e i rischi di complicazioni sono nettamente minori rispetto a quello pretermine e post-termine, possono comunque verificarsi delle complicanze che devono essere gestite tempestivamente e in modo opportuno per evitare rischi per mamma e bambino.
La maggior parte delle complicanze possono essere previste prima che abbia inizio la fase del travaglio. Tra queste, le principali sono:
- distocia fetale (posizione o dimensione anomala);
- preeclampsia (ipertensione arteriosa associata a proteine nelle urine);
- placenta previa (cioè posizionata nella parte inferiore dell’utero a livello dell’orifizio uterino interno);
- diabete gestazionale.
Ci sono poi delle complicanze non prevedibili che possono verificarsi prima del travaglio. Tra queste, la rottura pretermine delle membrane, che può aumentare il rischio di infezioni per mamma e bambino. Per questa ragione, in genere si procede con l’induzione del parto. Tra le altre complicanze non prevedibili, ci sono il distacco o le anomalie della placenta.
Alcune complicanze possono anche verificarsi improvvisamente durante il travaglio (tra queste, l’embolia da liquido amniotico e la distocia della spalla o il prolasso del cordone ombelicale), oppure durante il parto: per esempio, in caso di travaglio prolungato e soprattutto di mancato secondamento (mancata espulsione della placenta dopo la nascita del bimbo) dobbiamo pensare alla placenta accreta, ovvero attaccata saldamente all’utero. Alcuni problemi possono verificarsi anche subito dopo la nascita del bambino, al momento dell’espulsione della placenta. Quello più comune è l’emorragia post-partum.
Se vuoi avere informazioni dettagliate, leggi il nostro articolo sulle possibili complicanze del parto e sulla loro gestione.
Parto pretermine
Definizione
Per parto pretermine si intende un parto che avviene prima della 37^ settimana di gestazione.
Più in dettaglio, il parto pretermine si distingue in:
- Tardivo (Late Preterm): 32-36+6 settimane
- Precoce (Low Preterm): 24-31+6 settimane
- Pretermine estremamente precoce: prima di 23+6 settimane
In circa il 50% dei casi il travaglio insorge spontaneamente con contrazioni e modificazioni della cervice a membrane integre, nel 30% dopo una rottura prematura delle membrane (PROM). Nel 20% dei casi, il parto viene indotto quando la prosecuzione della gravidanza comporta un rischio per la mamma e/o per il bambino, o per una patologia materna (pre-eclampsia) e/o fetale (difetto/arresto di crescita) oppure per una condizione ostetrica (distacco di placenta, placenta previa, morte endouterina del feto).
Incidenza
L’OMS ha segnalato un aumento dei tassi di parto pretermine negli ultimi due decenni.
In Italia, i dati CEDAP (Certificato di Assistenza al Parto) 2010 riportano una percentuale dei parti pretermine pari al 6,6%: tra questi, i parti avvenuti prima della 32^ settimana rappresentano lo 0,9%. Tra le ragioni di questo aumento, ci sono il maggior numero di gravidanze gemellari associate alle terapie per l’infertilità e all’avanzamento dell’età materna nella ricerca della gravidanza.
Parto pretermine: fattori di rischio
Di seguito, i principali fattori di rischio riportati in letteratura per le gravidanze singole:
- età materna: le donne di età inferiore ai 18 anni e superiore ai 40 hanno un maggiore rischio di parto pretermine;
- etnia: le popolazione nera ha un rischio consistentemente più alto di quella bianca;
- stato civile: la gravidanza nelle donne non sposate è associata con un aumentato rischio di parto pretermine;
- indice di massa corporea: un IMC inferiore a 18 è associato ad un aumentato rischio di parto pretermine, mentre non c’è accordo sul fatto che l’obesità rappresenti un fattore di rischio;
- anamnesi ostetrica pregressa: un precedente parto pretermine spontaneo tra la 24^ e la 36^ settimana è il fattore di rischio più importante;
- tecniche di riproduzione assistita: le gravidanze da riproduzione medicalmente assistita, specie ad alto livello di tecnologia utilizzata, hanno un rischio maggiore di parto pretermine, indipendentemente dalla gemellarità;
- intervallo tra le gravidanze: un intervallo inferiore a 6 mesi tra due gravidanze comporta un rischio di parto pretermine;
- le infezioni delle vie urinarie aumentano il rischio di pielonefrite che aumentano il rischio di parto pretermine.
Pericoli per il bambino e per la mamma
Nei paesi ad alto reddito, il 6-11% dei bambini nati vivi prima di 37 settimane non sopravvivono (fonte: EURO-PERISTAT 2008). I bambini nati prima della 32^ settimana di gestazione sono a rischio particolarmente elevato di esiti avversi, con tassi di mortalità infantile intorno al 10-15% e di paralisi cerebrale al 5-10%. Anche i neonati nati tra la 32^ e la 36^ settimana di gestazione hanno peggiori esiti alla nascita e nell’infanzia dei neonati a termine.
La nascita pretermine predispone inoltre i neonati ad un maggiore rischio di mortalità prematura a distanza e di sviluppo di malattie croniche.
La sopravvivenza dei neonati altamente prematuri è comunque migliorata notevolmente negli ultimi decenni grazie ai progressi della medicina perinatale, ad esempio per l’uso dei corticosteroidi e del surfactante.
Sintomi
I segnali che fanno capire che la donna è a rischio di parto pretermine sono diversi. I più caratteristici sono le contrazioni uterine (la donna sente la pancia indurirsi), che si evidenziano anche nel monitoraggio cardiotocografico, l’accorciamento del collo uterino, la perdita del liquido amniotico prima del termine.
Diagnosi
Un ragionevole algoritmo (modificato SLOG – Società Lombarda Ostetricia e Ginecologia, 2014) per la diagnosi di parto pretermine prevede in sequenza:
- anamnesi della paziente e accurata identificazione dei possibili fattori di rischio
- valutazione clinica dei segni e sintomi di parto pretermine
- valutazione con lo speculum, per escludere PROM
- cervicometria
- se la cervicometria è < 30 mm, misurazione nelle secrezioni cervico-vaginali della fFN (fibronectina fetale), del phIGFBP-1 (fattore di crescita insulino simile) o del PAMG-1 (alfa microglobulina-1 placentare)
- valutazione digitale della dilatazione cervicale e delle caratteristiche della cervice.
Cervicometria
La cervicometria è un esame ecografico che permette di misurare la lunghezza del canale cervicale. Consente di riconoscere molti dei casi che possono evolvere in un parto pretermine. Il rischio di parto pretermine spontaneo aumenta, infatti, con il ridursi della lunghezza della cervice uterina.
In genere, una lunghezza inferiore a 25 mm comporta un elevato rischio di parto prematuro prima della 34^ settimana e indica la necessità di attivare un adeguato trattamento profilattico e terapeutico, come descritto nella linea guida (NICE – National Institute for Health and Clinical Excellence). Come vedremo più avanti, queste linee guida raccomandano, in caso di cervicometria minore di 25 mm e di una storia di gravidanza precedente con rottura delle membrane, o parto prematuro, l’utilizzo di progesterone o il cerchiaggio.
L’esame ecografico della cervice può essere eseguito per via transaddominale (ETA), transvaginale (ETV) o transperineale (ETP). L’ETV è la tecnica più affidabile e più diffusa per la misurazione del canale cervicale, non comporta rischi per la mamma e per il feto ed è di semplice esecuzione.
La misura ecografica della lunghezza del canale cervicale rappresenta un buon predittore di PPT spontaneo sia in donne gravide asintomatiche che in donne con minaccia di parto pretermine, anche se non deve essere preso come indicatore isolato perché la prematurità ha un’origine multifattoriale.
Test biochimici
Nel caso in cui la cervicometria abbia riscontrato una lunghezza del canale cervicale inferiore a 30 mm, è opportuno procedere con la misurazione nelle secrezioni cervico-vaginali della fFN (fibronectina), una glicoproteina prodotta dal corion (la membrana più esterna dell’uovo fecondato) che normalmente si ritrova nelle secrezioni cervico-vaginali fino a 16 settimane di gestazione e ricompare a termine di gravidanza quando iniziano i prodromi del travaglio. Questo test è normalmente utilizzato per escludere il rischio di parto pretermine. Tra gli altri test biochimici utilizzati nella diagnosi ci sono phIGF-BP1 e PAMG-1.
L’integrazione dei dati clinici, cervicometrici, biochimici indica l’azione terapeutica da adottare, che può essere così schematizzata.
Gestione del parto pretermine
Tocolisi
La tocolisi (dal greco tokos atto di partorire e lysis dissoluzione, scissione) consiste nella somministrazione preventiva di farmaci per arrestare o diminuire le contrazioni uterine.
Questa procedura può consentire di ritardare il parto pretermine di poche ore/giorni per permettere di somministrare i corticosteroidi e/o effettuare un trasferimento in utero in un centro più appropriato per la cura del neonato. L’uso del tocolitico, infatti, è associato ad un ritardo del parto di 24-48 ore fino ad un massimo di 7 giorni, ma non riduce l’incidenza del parto pretermine.
I tocolitici non riducono morbilità (incidenza di malattie) e mortalità perinatali correlate alla prematurità.
Il ricorso alla tocolisi è consigliato in presenza di una diagnosi consolidata di minaccia di parto pretermine entro 34.6 settimane, ma è controindicato quando è dannoso o impossibile prolungare la gravidanza, per esempio in casi di travaglio inarrestabile, preeclampsia severa, distacco di placenta.
Tra i principali agenti tocolitici da usare ci sono:
- inibitori della sintesi di prostaglandine (indometacina)
- antagonisti del calcio (nifedipina)
- beta-simpaticomimetici (ritodrina, terbutalina)
- antagonisti dell’ossitocina (atosiban)
- solfato di magnesio: la somministrazione profilattica alla madre in prossimità del parto prima di 30-32 settimane riduce il rischio di paralisi cerebrale infantile.
La scelta degli agenti da usare si deve basare sull’epoca gestazionale, ma anche sui possibili effetti collaterali per mamma e bambino, che possono essere anche molto severi, come riassunto nella tabella qui sotto.
Progesterone
Anche il progesterone svolge un ruolo essenziale nel mantenimento della gravidanza, quindi il suo utilizzo è consigliato nella profilassi e nel trattamento del parto prematuro nelle donne a rischio. E’ infatti deputato all’inibizione della maturazione del collo dell’utero che svolge un ruolo fondamentale ”chiudendo” l’utero. Inoltre agisce sulle fibre muscolari inibendo le modifiche fondamentali per il travaglio di parto, dunque una diminuzione del progesterone potrebbe determinare un parto prematuro
Cerchiaggio cervicale
Questo trattamento chirurgico può essere utilizzato per correggere o prevenire una “insufficienza cervicale” che può comportare aborto tardivo o parto pretermine nelle donne considerate a rischio. In pratica, questa prassi viene adottata quando la cervice non è in grado di contenere in modo adeguato il feto e si accorcia e si dilata con molte settimane di anticipo rispetto alla data presunta del parto. L’intervento, di pochi minuti in anestesia generale, consiste nel posizionare sul collo dell’utero una piccola fettuccia che lo terrà chiuso e che sarà rimossa senza anestesia in prossimità del termine della gravidanza o appena compaiono le contrazioni del travaglio. Di solito si procede per via vaginale, tranne in caso di ipoplasia cervicale, pregresse terapie chirurgiche o traumi ostetrici, quando è preferibile effettuare il cerchiaggio per via transaddominale o in laparoscopia.
Questa pratica ginecologica è controindicata in presenza di attività contrattile pretermine, sanguinamento vaginale continuo, PROM (rottura prematura delle membrane), compromissione fetale.
Pessario
Il pessario è un dispositivo intravaginale non invasivo che può essere utilizzato nelle donne con cervice raccorciata precocemente (18-22 settimane). Il suo utilizzo nella profilassi del parto pretermine sembra essere promettente, ma c’è bisogno di ulteriori evidenze che ne dimostrino l’efficacia.
Parto pretermine e pPROM (rottura prematura delle membrane)
La rottura prematura delle membrane (pPROM) si associa al 30% dei parti pretermine.
Per pPROM (pre-termine premature rupture of membranes) si intende la rottura spontanea delle membrane prima della 37^ settimana di gestazione, con conseguente fuoriuscita di liquido amniotico che circonda il feto (mentre la PROM, o premature rupture of membranes, è la rottura delle membrane amniocoriali prima dell’inizio del travaglio di parto).
La pPROM può dipendere da diversi fattori, ma in prevalenza è legata alla presenza di infezioni o infiammazioni.
Nel 50% dei casi, il parto avviene entro una settimana dalla rottura, nell’altra metà dei casi il timing del parto è legato all’epoca gestazionale in cui è avvenuta la rottura.
Tra i principali rischi per il neonato associati a pPROM ci sono prematurità, sepsi e ipoplasia polmonare.
Esistono una serie di test che permettono di valutare che si è effettivamente in presenza di pPROM:
Tra questi:
- test alla nitrazina, per la valutazione del pH vaginale (in genere il pH vaginale è compreso tra 4.5 e 6. in presenza di liquido amniotico diventa superiore a 7).
- Ferning test, che valuta la capacità di cristallizzazione del liquido amniotico per elevato contenuto di sali (sodio cloride) e proteine.
- Test biochimici come l’alfa-microglobulina-1, una glicoproteina placentare abbondantemente presente nel liquido amniotico e riscontrabile, in concentrazioni molto minori, nel sangue materno e nelle secrezioni cervico-vaginali in assenza di rottura delle membrane.
In tutte le pazienti con quadro di pPROM è opportuno valutare la probabilità di parto, il benessere fetale, la presenza di un’infezione materna/fetale.
In assenza di complicanze che impongono di procedere subito con il parto (per esempio un distacco di placenta), la scelta di far partorire la donna o di attendere dipende dall’epoca gestazionale in cui è avvenuta la rottura.
Trasporto in utero (STAM) in caso di grave prematurità
Il Servizio di Trasporto Assistito Materno (STAM) prevede il trasferimento della paziente in gravidanza ad un ospedale di livello appropriato. Si fa ricorso a questa procedura in caso di grave prematurità, per garantire un’assistenza adeguata alla donna e/o al neonato. Lo STAM, infatti, ha una dimostrata efficacia nel ridurre la mortalità perinatale nei neonati altamente pretermine. Al contrario, i nati al di fuori di strutture dotate di postazioni dedicate per le cure intensive neonatali hanno un rischio aumentato di sviluppare complicanze neonatali maggiori, fra cui difetti di neurosviluppo. Inoltre, le cure intensive risultano più efficaci se effettuate in utero piuttosto che in epoca neonatale, specie per i nati prima della 30^ settimana.
Lo STAM è tuttavia controindicato in caso di instabilità delle condizioni materne, instabilità o possibilità di rapido peggioramento delle condizioni fetali, parto imminente.
L’assistenza garantita in questo tipo di servizio permette di avere a disposizione per la mamma e per il neonato personale altamente specializzato nella gestione di gravidanze premature e a rischio. In particolare al neonato è garantita una terapia intensiva neonatale e personale in grado di gestire le complicate problematiche respiratore e sistemiche associate ad un parto prematuro.
Profilassi corticosteroidea antenatale
La somministrazione antenatale di steroidi è, insieme allo STAM, uno degli unici due interventi in grado di ridurre la mortalità e la morbilità perinatale nelle donne a rischio di parto pretermine tra le 24 e le 34 settimane gestazionali. La profilassi con corticosteroidi stimola la regolazione dell’espressione genica e favorisce la maturazione dei polmoni e di altri tessuti. Il loro utilizzo non aumenta le complicanze materne severe, infettive o ipertensive.
Antibiotici
L’infiammazione e l’infezione del liquido amniotico sono fattori di rischio del parto pretermine. L’ utilizzo di antibiotici ad ampio spettro è raccomandato quando si verifica la rottura prematura delle membrane prima dell’inizio del travaglio (pPROM), non è invece indicato in una minaccia di parto pretermine senza rottura delle membrane (membrane integre).
Prevenzione del parto pretermine
E’ possibile mettere in campo interventi di prevenzione primaria e secondaria.
Prevenzione primaria
La prevenzione primaria consiste nell’attuazione di strategie che mirano a ridurre, prima della gravidanza, i fattori di rischio noti di parto prematuro. Tra queste:
- promozione/facilitazione dell’accesso alle cure pubbliche prenatali per adolescenti, donne povere, immigrate, socialmente disagiate;
- counselling alle donne con precedente parto pretermine per cercare di individuare le cause, quantificare il rischio, suggerire possibili cambiamenti di abitudini;
- promozione di corretti stili di vita (alimentazione sana, riduzione del fumo).
Non ci sono, comunque, studi epidemiologici internazionali o nella popolazione italiana che abbiano valutato l’impatto preventivo di queste misure.
Prevenzione secondaria
Tra gli interventi finalizzati a eliminare o ridurre fattori di rischio esistenti, che si sono dimostrati efficaci, ci sono:
- controllo terapeutico adeguato delle donne in gravidanza con patologie croniche che le mettono a rischio di parto pretermine (diabete pre-gestazionale, ipertensione cronica complicata con preeclampsia, colite ulcerosa);
- screening precoce nel 2^ trimestre e trattamento tempestivo della vaginosi batterica;
- cervicometria in donne con parto pretermine precedente e opportuno trattamento (progesterone, cerchiaggio).
Parto post-termine
Definizione
La gravidanza post-termine è una gestazione che ha una durata maggiore o uguale a 42 settimane.
Incidenza
L’incidenza della gravidanza post-termine è generalmente tra il 4 e il 10% dei casi.
Cause e fattori di rischio
Le cause della gravidanza protratta sono poco conosciute. Condizioni fetali (come l’anencefalia) o della placenta possono essere associate a questo evento. Il sesso fetale maschile e fattori genetici sembrano essere correlati a condizioni materne come l’obesità, il non aver avuto parti precedenti e l’età avanzata.
Sintomi
Il sintomo è il mancato inizio del travaglio dopo le 42 settimane.
Diagnosi
La diagnosi migliore è basata non sull’amenorrea (data dell’ultima mestruazione) ma sulla valutazione ecografica (biometria fetale) eseguita precocemente in gravidanza al fine di permettere una più corretta datazione della gravidanza.
Gestione del parto post-termine
Sostanzialmente i trattamenti raccomandati sono due. Il primo consiste nell’evitare il protrarsi della gravidanza inducendo il parto prima della 42^ settimana. Il secondo è rappresentato dall’attesa, sotto stretta sorveglianza, applicando un trattamento attivo (induzione o cesareo) su indicazione specifica.
La sorveglianza è caratterizzata dalla cardiotocografia o CTG o monitoraggio fetale, utile a valutare l’attività contrattile dell’utero e l’attività cardiaca del feto, e da un controllo ecografico in cui è fondamentale valutare il liquido amniotico, la biometria fetale, escludendo il rischio di feto con crescita ridotta, e la valutazione dei flussi (cioè del sangue che nutre il feto).
In entrambi i casi una corretta datazione della età gestazionale è prerequisito fondamentale.
Rischi per mamma e bambino e possibili complicazioni
Studi epidemiologici hanno mostrato come dopo la 41^ settimana di gestazione la frequenza di complicazioni fetali, materne e neonatali aumenta. Di conseguenza il monitoraggio e il trattamento del parto post-termine sono molto importanti.
Si può verificare un aumentato rischio di feti macrosomici con elevato peso alla nascita e di morte perinatale. I rischi post-natali sono diversi. Tra questi, basso Indice di Apgar (valutazione dell’efficienza delle funzioni più importanti per l’organismo e quindi dello stato generale di salute del neonato), acidemia, ricovero in terapia intensiva neonatale (TIN), liquido meconiale, sindrome da aspirazione di meconio, fratture della clavicola e paralisi brachiale. Tra le complicanze materne ci sono un travaglio disfunzionale, la distocia di spalla, traumi ostetrici ed emorragie post-partum.
Prevenzione del parto post-termine
Non è possibile prevenire il parto post–termine se non tramite un’induzione del parto. Fondamentale è effettuare un corretto monitoraggio della gravidanza per individuare il prima possibile eventuali alterazioni della crescita e dei flussi.
Aborto e morte intrauterina
Può accadere, purtroppo, che la gravidanza non venga portata a termine per la morte del feto in utero. Questo evento, drammatico per una donna, si verifica spesso nelle prime settimane, ma a volte può avvenire a gravidanza piuttosto avanzata, oltre il primo trimestre. A seconda del periodo in cui avviene, si parla di aborto o di morte intrauterina fetale.
Definizione
L’aborto e la morte intrauterina fetale sono due condizioni caratterizzate dall’interruzione della gravidanza. Si parla di “aborto” se si verifica entro la 22^ settimana di gestazione e di “morte intrauterina fetale” (anche chiamata “morte endouterina fetale” o “MEF“) nella o dopo la 22^ settimana di età gestazionale.
Incidenza
Circa il 10-25% delle gravidanze termina con un aborto spontaneo. La maggior parte degli aborti spontanei si verifica durante le prime settimane di gravidanza. A seconda degli studi, la percentuale di morte fetale intrauterina oscilla tra il 4 ed il 12 per mille.
Cause e fattori di rischio
Gli aborti spontanei possono essere causati da alterazioni cromosomiche, virus, anomalie immunologiche, traumi importanti e anomalie dell’utero come la presenza di aderenze. In genere, la causa è sconosciuta. I fattori di rischio associati all’aborto spontaneo sono un’età superiore ai 35 anni, l’aver già avuto un aborto spontaneo, il fumo, l’uso di alcuni farmaci (tra i farmaci teratogeni ci sono i chemioterapici, alcuni anticoagulanti, antiepilettici o antidepressivi) o una malattia cronica scarsamente controllata come il diabete o disturbi della tiroide nella madre.
Le cause della morte intrauterina sono diverse e sono spesso di difficile interpretazione. Alcuni tra i principali fattori di rischio identificati sono: età materna avanzata, consanguineità, pregresso parto pretermine, isoimmunizzazione, distacco di placenta, ipertensione, preeclampsia, patologie del cordone ombelicale. I dati tuttavia dimostrano che oltre il 50% delle morti fetali rimangono inspiegate.
Sintomi
I sintomi dell’aborto spontaneo sono il dolore pelvico di tipo crampiforme, la perdita di sangue ed infine l’espulsione di materiale. L’aborto tardivo spontaneo può iniziare con una perdita abbondante di liquido quando si rompono le membrane. L’aborto spontaneo può essere “completo” (espulsione spontanea totale dell’embrione o feto senza vita) oppure “incompleto” o “ritenuto”: in questo caso, l’unico segno sarà l’assenza di un embrione o la mancanza di attività cardiaca.
La morte endouterina del feto può essere sospettata quando si ha la scomparsa dei segni e dei sintomi associati alla gravidanza o, più spesso, si nota l’assenza dei movimenti fetali precedentemente percepiti.
Diagnosi
L’ecografia rappresenta il metodo più rapido ed efficace per confermare la diagnosi.
Se l’evento si è verificato da diverso tempo, è inoltre possibile riscontrare dimensioni fetali inferiori rispetto all’epoca della gravidanza, oltre ad altri segni ecografici caratteristici.
Come intervenire in caso di parto abortivo
La terapia degli aborti, incompleti o interni, è l’intervento chirurgico chiamato revisione della cavità uterina o l’attesa dell’espulsione spontanea. L’intervento generalmente comporta un curettage con aspirazione.
Una volta che si è verificata una morte endouterina del feto, il travaglio del parto insorge spontaneamente entro 2 o 3 settimane. Tuttavia, la condotta ad oggi usata è l’induzione farmacologica del parto per non portare la donna ad una lunga attesa, difficilmente sostenibile emotivamente.
Rischi per la donna e possibili complicazioni
Nell’aborto spontaneo i rischi sono relativi alla mancata espulsione, a un’eccessiva perdita di sangue e all’intervento chirurgico che ha una durata di circa 15 minuti.
Condizione molto improbabile è l’eventualità che si possa innescare una coagulazione intravasale disseminata entro 4 settimane dalla morte endouterina. Questa patologia è una condizione molto grave in cui si verifica una alterazione del sistema della coagulazione, con trombi ed emorragie di difficile controllo. Le cause scatenanti possono essere varie, tra cui la sepsi, grandi ustioni, neoplasie ematologiche o, come già detto, complicanze ostetriche.
Prevenzione del parto abortivo
Un attento monitoraggio della gravidanza ed una precoce individuazione dei fattori di rischio sono fondamentali per una corretta prevenzione.
In collaborazione con la Dott.ssa Flavia Costanzi, medico chirurgo in formazione specialistica in Ginecologia ed Ostetricia.
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