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Parto naturale : il momento tanto aspettato sta per arrivare. Quando ci si avvicina al termine della 40 esima settimana di gravidanza, alla felicità di essere a pochi istanti dal conoscere il nostro bambino si sovrappone la paura legata al parto imminente. Quando andare in ospedale? In che cosa consiste il travaglio e quanto dura? Quanto dovrò aspettare, e quanto dovrò “soffrire”, prima di avere tra le braccia mio figlio?
Cos’è il parto naturale
E’ importante fare chiarezza sul significato reale dell’espressione “parto naturale“.
Per essere tale, questa modalità per dare alla luce il proprio figlio non deve essere provocata o accelerata perché si basa sul concetto che si devono seguire tempi e ritmi dettati naturalmente da mamma e bambino.
Quindi, il parto non viene considerato come “materia medica” ma un evento fisiologico, psicologico e sociale che le donne, adeguatamente supportate, sono in grado di affrontare con le proprie forze.
Parto naturale è dunque sinonimo di parto vaginale, fisiologico e spontaneo.
Infatti, è una modalità che una donna sceglie consapevolmente di sperimentare, durante la quale può accedere anche a metodi naturali per stimolare le contrazioni e controllare il dolore, che non condizionano il travaglio e sono privi di rischi.
Parto naturale: chi lo può scegliere?
In realtà la stragrande maggioranza delle donne potrebbe scegliere di avere un parto naturale.
Le condizioni essenziali richieste sono un buono stato di salute e una gravidanza con un decorso regolare: situazioni, entrambe, che riducono al minimo i rischi legati all’evento della nascita.
Al contrario, il parto naturale viene sconsigliato alle donne che hanno avuto in precedenza un parto cesareo e a quelle che hanno una presentazione del bambino trasversa o podalica.
Il dolore durante il parto naturale e la sua gestione
Le donne che decidono di affrontare il parto in modo totalmente naturale conservano un unico dubbio: sarò in grado di gestire il dolore senza ricorrere alla farmacologia?
La verità è che anche durante il parto naturale il dolore può essere “trattato” grazie alla presenza e all’attività di personale attento ed adeguato, che sa come gestire una mamma durante il travaglio. Solitamente, la donna:
- viene aiutata a muoversi
- viene incoraggiata ad assumere le posizioni che riducono le sensazioni dolorose
- le vengono offerti piccoli pasti leggeri e bevande
- si mantiene l’ambiente protetto da influenze stressanti esterne
- viene favorita la presenza del partner o di un’altra persona di fiducia,
Molte donne trovano assolutamente efficace l’immersione in acqua: non è un caso che oggi si trovino, in strutture di eccellenza, vasche dedicate in cui è possibile immergersi per alleviare i momenti più dolorosi e impegnativi della dilatazione.
Preparazione al parto naturale
Generalmente le donne che hanno scelto di far nascere il proprio figlio con un parto naturale sono molto contente e soddisfatte dell’opzione adottata.
Con questa modalità sono infatti inferiori le probabilità di essere sottoposte ad episiotomia o di subire una lacerazione. Il fatto, poi, di non avere il dolore causato dai punti favorisce il ripristino delle normali attività e aiuta i muscoli del perineo e dell’addome a riprendere il loro normale tono.
Le donne che decidono di far nascere il proprio figlio con un parto naturale devono soltanto seguire alcune accortezze:
- frequentare un corso di accompagnamento alla nascita;
- se non è prevista l’induzione del travaglio con metodi strumentali o farmacologici, esistono tecniche che le ostetriche conoscono molto bene e rimedi naturali per stimolarne l’inizio, come l’utilizzo di blandi lassativi e tisane, manovre sul collo dell’utero e stimolazioni dei capezzoli;
- il ruolo del partner in questo percorso è cruciale: perché con lui si divide la fatica, lui sostiene e dà coraggio durante i momenti di sconforto;
- l’attività sessuale, se gradita, è efficace e raccomandata;
- fare una vita attiva fino all’ultimo momento.
Il parto naturale e le sue fasi
Alcune donne raccontano che il loro parto è durato 8 ore, altre il doppio e altre ancora pochissime ore.
E’ tutto vero: non ci sono leggi, né regole e ogni donna ha la sua esclusivissima storia. Ciò che invece accomuna questi eventi apparentemente così diversi è il fatto che ogni parto inevitabilmente attraversa quattro fasi ben delineate.
Il parto si suddivide infatti in 3 “fasi”: prima dell’ inizio di queste abbiamo la fase prodromica (è il momento della preparazione), poi quella dilatante, quella espulsiva e infine quella di secondamento, cioè di espulsione della placenta.
Parto atto 1: la fase prodromica
È una fase di preparazione al parto: i tessuti si preparano, cioè, al passaggio e all’uscita del bambino.
Il collo dell’utero si accorcia e si assottiglia per consentire la dilatazione. Si tratta di una fase che può durare poche ore ma anche diversi giorni o settimane. Alcune donne vivono questo momento senza neanche accorgersene, altre avvertono contrazioni irregolari, talvolta intense ma comunque sopportabili.
I sintomi (anche se ogni donna e ogni parto sono diversi) che accompagnano questa fase iniziale sono:
- dolori alla schiena e ai reni
- dolori al basso ventre (fastidi del tutto simili ai dolori mestruali)
- contrazioni irregolari, ovvero che diminuiscono invece di aumentare ed essere sempre più ravvicinate nel tempo, fino a cessare del tutto.
Quando compaiono questi primi sintomi è consigliabile non recarsi subito in ospedale ma aspettare che le contrazioni siano più regolari . Per essere tranquille e serene ascoltiamo i consigli del ginecologo e dell’ostetrica che ci seguiranno step by step, fino al momento in cui è davvero necessario recarsi presso la struttura dove abbiamo deciso che verrà al mondo il nostro bambino.
Sarà invece importante recarsi presso l’ospedale se si avverte una perdita di liquido, la famosa “ rottura delle acque”.
I segnali dell’inizio del travaglio
Ci sono dei segnali inconfutabili che ci fanno capire che effettivamente il travaglio è iniziato e la fase prodromica terminata. Non è detto che debbano presentarsi tutti: è sufficiente che si verifichi uno dei seguenti eventi per giustificare l’avvio verso l’ospedale:
- rottura del sacco ammniotico: la sacca che contiene il bimbo e il liquido amniotico si rompe. Improvvisamente sentiamo scendere del liquido caldo, o semplicemente perdiamo delle goccioline di liquido trasparente e inodore: il liquido amniotico. E’ fondamentale recarsi immediatamente in ospedale per scongiurare il rischio di infezioni e per evitare che il travaglio inizi in luoghi non opportuni.
- Perdita del tappo mucoso: è il “tappo” che tiene chiuso il collo dell’utero ed è composto da una sostanza gelatinosa e da una mucosa biancastra, spesso con striature rosate. Anche questo potrebbe essere un segnale che il travaglio è iniziato, anche se potrebbero volerci giorni per arrivare alla fase del parto, se alla perdita del tappo mucoso non si accompagna anche la rottura del sacco amniotico.
- Prime contrazioni: quando, trascorsi 30 minuti, le contrazioni invece di attenuarsi si avvicinano diventando più intense, significa che il travaglio è iniziato. Se le abbiamo ogni 10 minuti è il momento giusto per andare in ospedale.
Parto fase 1: la fase dilatante (fase attiva)e le contrazioni
Le contrazioni diventano regolari e dolorose: si parla di travaglio vero e proprio quando si verificano ogni cinque minuti, durano circa 40-60 secondi e sono molto dolorose.
Grazie alle contrazioni il collo dell’utero si centralizza, si raccorcia e si dilata progressivamente fino a raggiungere la dilatazione completa, pari a 10 cm.
In questa fase la testa del bambino comincia a scendere lungo il canale del parto.
Come vivere questo momento del parto
Se il travaglio è fisiologico e non indotto, la futura mamma può tranquillamente vivere questa fase evitando la sala parto. Può fare liberamente tutto quello che vuole per assecondare la dilatazione:
- camminare
- cambiare posizione se sdraiata
- fare un bagno
- ascoltare musica.
Durata della fase dilatante
Non ci sono regole né certezze: ogni donna è un universo a sé. I tempi della dilatazione sono anche legati a :
- struttura fisica della mamma
- forma del canale del parto
- caratteristiche del feto, ad esempio alle sue dimensioni
- dimensione psicologica, perché anche il modo in cui viene vissuto il travaglio può influire sulla sua durata.
Però, in generale si può dire che al primo parto la durata del travaglio (dall’inizio fino alla fase espulsiva) non dovrebbe superare le 18 ore, che scendono a 12 nel caso di figli successivi.
Parto fase 2: la fase espulsiva
È la fase della nascita: la più bella, la più difficile e la più dolorosa.
La sua durata è dettata dal tempo che il bambino impiega a percorrere il canale del parto e a venire così al mondo.
Per compiere questa decisiva e difficile operazione il bimbo riduce naturalmente le sue dimensioni flettendo il mento verso il torace e compiendo delle rotazioni parziali per adattare le sue dimensioni a quelle del bacino della mamma.
Appena la testolina è fuori, l’ultima contrazione della mamma permette al feto di compiere l’ultima rotazione per liberare le spalle e venire al mondo.
Fase di transizione
Prima della fase espulsiva c’è una fase di transizione, o latenza. Infatti, la natura, “bloccando” momentaneamente la fase espulsiva, permette alla mamma, già stanca, di recuperare tutte le forze per il rush finale.
Le contrazioni cessano anche se la progressione del bambino continua. E’ una vera e propria pausa fisiologica della durata di circa 30 minuti, che va rispettata, senza forzare i tempi.
I premiti
Al termine di questo naturale intervallo arrivano i premiti. Si tratta di quella sensazione impellente di spingere, che va assecondata.
E’ dovuta alla pressione che il bimbo esercita mentre scende verso il basso. La sensazione non è gradevole: assomiglia ad una sensazione di pressione sulle pelvi e sul retto.
In questa fase la dilatazione probabilmente è completa ed il collo sarà completamente appianato e centralizzato. Le contrazioni ormai durano 60/90 secondi, sono ravvicinate e possono provocare:
- nausea
- vomito
- voglia di defecare (per via della pressione del bimbo)
- tremori
- stanchezza
- brividi o calore.
E’ tutto assolutamente normale!
Parto fase 3: la fase del secondamento
Appena il bambino viene al mondo si attua il clampaggio, cioè si recide il cordone ombelicale.
Siamo all’ultima fase del parto, quella del secondamento, che prevede l’espulsione della placenta. Generalmente dopo 20 minuti le ultime contrazioni favoriranno la fuoriuscita dell’organo. Ma, se dopo un’ora non si verificano le contrazioni, diventa necessaria l’estrazione manuale della placenta.
Appena nato arriva il momento in cui alla mamma viene poggiato sul petto il suo bambino. E’ il momento del primo incontro! E anche durante questo momento la natura mette in atto i suoi stratagemmi:
le prime suzioni al seno favoriscono le contrazioni dell’utero che aiutano a ridimensionarlo, a ridurlo di volume e ad evitare emorragie.
Le posizioni durante il parto naturale
Quali posizioni è possibile assumere per affrontare il travaglio nel migliore dei modi? La risposta è una sola: la posizione giusta è quella che ti fa sentire meglio!
Non sempre negli ospedali è possibile, ma la futura mamma dovrebbe essere libera di fare, in questa fase, quello che sente utile per alleviare il dolore: camminare, accovacciarsi, fare la doccia o ascoltare musica.
Solo la mamma sente cosa è giusto fare per agevolare la discesa del bambino lungo il canale vaginale.
Vediamo i vantaggi e gli svantaggi delle posizioni in cui è possibile affrontare il momento della nascita.
1 – La posizione supina
Vantaggi
- Questa posizione è quella scelta da ostetriche e ginecologi, in quanto consente di monitorare costantemente la situazione ed intervenire in caso di necessità con eventuali manovre.
- E’ vantaggiosa perché permette di riposarsi comodamente tra una contrazione e l’altra.
Svantaggi
- Stando sdraiate, il peso della pancia potrebbe comprimere la vena cava provocando un calo di pressione e un senso di svenimento.
- La posizione supina immobilizza il bacino, che invece durante il travaglio dovrebbe potersi muovere liberamente per assecondare la discesa del feto.
2 – La posizione accovacciata
Vantaggi
- È una posizione che favorisce il rilassamento della muscolatura pelvica, l’apertura del canale vaginale e la discesa del piccolo grazie alla forza di gravità.
Svantaggi
- Se i muscoli delle gambe non sono allenati, è una posizione stancante che, dopo un po’, potrebbe provocare indolenzimento. Si può, eventualmente, alternare con altre posizioni.
3 – La posizione “carponi”
Vantaggi
- Le ginocchia sono appoggiate a terra e le braccia si sostengono al letto o ad una sedia: a differenza della posizione accovacciata, questa è più comoda.
- In questa posizione la schiena si rilassa e si avverte meno il peso del pancione.
- Il bacino si muove liberamente e questo permette alla futura mamma di trovare la posizione più giusta per assecondare le contrazioni e alleviarne il dolore
Svantaggi
- In caso di necessità, non permette di effettuare imminenti manovre risolutive come nella posizione supina.
4 – Parto naturale in piedi
Vantaggi
- In piedi, con le braccia al collo del partner oppure sorretta per le ascelle, la donna piega le ginocchia e asseconda i premiti: sfruttando al meglio la forza di gravità, questa posizione agevola decisamente la discesa del feto.
- Tra una contrazione e l’altra, la donna ha la possibilità, se ne ha voglia, di fare qualche passo.
Svantaggi
- In caso di necessità, non permette di effettuare imminenti manovre risolutive come nella posizione supina.
5 – La posizione laterale
Vantaggi
- E’ una posizione abbastanza comoda, che permette di rilassarsi tra una contrazione e l’altra.
- La pancia non comprime le vene e non c’è sovraccarico sulla schiena, specie se tra le ginocchia si mette un cuscino.
Svantaggi
- Il bacino non ha la stessa libertà di movimento delle altre posizioni.
Dolori del travaglio e del parto: come affrontarli
E’ possibile riuscire a diminuire il dolore durante il travaglio? Sono davvero così forti i dolori indotti dalle contrazioni? Quali tecniche è possibile attuare per ridurre al minimo il dolore e, talvolta, l’ansia?
Oggi la terapia del dolore si programma molto prima del travaglio. Le opzioni possibili sono:
- tecniche di rilassamento e di respirazione per gestire il dolore;
- analgesici (somministrati per via endovenosa);
- anestesia regionale (epidurale).
Tecniche di rilassamento
Una corretta respirazione e adeguate tecniche di rilassamento sono l’arma migliore per affrontare (ed alleviare) il dolore. Le diverse tecniche di respirazione per affrontare le contrazioni, spingere in modo efficace, vengono generalmente insegnate da ostetriche competenti durante i corsi preparto.
Le tecniche di rilassamento prevedono la contrazione cosciente di una parte del corpo, il suo successivo rilassamento e una gestione particolare della respirazione. Durante il primo stadio del travaglio, prima delle spinte, vengono eseguite le seguenti routine respiratorie:
- respiro profondo con espirazione lenta per aiutare la donna a rilassarsi all’inizio e alla fine della contrazione;
- respiro rapido e superficiale (affanno) durante il picco della contrazione;
- alternanza di affanno e respiro profondo per aiutare la donna a trattenersi dalle spinte, nonostante ne avverta il bisogno, prima che la cervice si dilati completamente e si ritiri (obliterazione).
Epidurale, una libera scelta
Epidurale: cos’è
Se molte donne riescono ad affrontare l’ansia, la paura e il dolore connessi al momento del parto, per altre questi aspetti rappresentano invece una fase poco serena, difficoltosa e “spaventosa”.
Oggi, finalmente, è possibile partorire senza dolore: è sufficiente usufruire dell’anestesia epidurale durante il travaglio, che permette di controllare il dolore ma anche di partorire in modo naturale e spontaneo.
L’anestesia epidurale consiste nell’introduzione di un ago all’altezza della regione lombare, nello spazio compreso tra il rachide e il tessuto esterno di rivestimento del midollo spinale, in cui viene inserito un sottile tubicino attraverso il quale vengono somministrate dosi di farmaci analgesici.
Il piccolo catetere non impedisce alla futura mamma di muoversi. Ovviamente l’anestesia epidurale può essere praticata solo ed esclusivamente da un anestesista esperto. Effettuata l’epidurale, i dolori spariscono in pochissimi minuti lasciando inalterata la sensibilità alle contrazioni, che continuano ad essere percepite in modo non doloroso.
Il momento giusto per chiedere l’epidurale
Normalmente la futura mamma decide di ricorrere all’analgesia epidurale all’inizio o durante il travaglio. A richiederla può essere lo stesso ginecologo, se la partoriente è affetta da alcune patologie, quali:
- ipertensione
- diabete
- miopia con precedente distacco della retina.
Epidurale: controindicazioni
Ci sono patologie e condizioni che non permettono di ricorrere all’anestesia epidurale. Queste sono:
- uso di anticoagulanti
- allergie agli anestetici locali
- anomalie della coagulazione del sangue o scarsità delle piastrine
- emorragie
- presenza di infezioni alla schiena
- artrite grave della colonna vertebrale
- infezione del sangue
- affezioni neurologiche
- dilatazione inferiore a 4 cm
- difficoltà da parte del medico a individuare lo spazio epidurale
- parto troppo veloce che non garantisce un tempo sufficiente per somministrare il farmaco.
In collaborazione con la Dott.ssa Flavia Costanzi, medico chirurgo in formazione specialistica in Ginecologia ed Ostetricia.
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