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Autolesionismo: che cos’è, cause, sintomi e trattamenti

autolesionismo: cos'è, cause, sintomi, trattamenti

Parlare di autolesionismo (self-injury behavior) vuol dire indicare tutti quei comportamenti che volutamente procurano un dolore e un danno fisico (come tagliarsi, bruciarsi, ingerire oggetti, mordersi, ecc.), senza necessariamente tendere al suicidio o al desiderio di farlo.

È un fenomeno diffuso soprattutto tra gli adolescenti e i giovani adulti, con una prevalenza più alta nelle ragazze.

Non è semplice identificare una causa precisa, ma spesso il comportamento autolesivo, specie quando reiterato, si presenta come una strategia per gestire la sofferenza psicologica, talvolta nel quadro di una psicopatologia più complessa.

Ogni caso è diverso da un altro, ma la parola chiave nelle storie dei giovani che si auto-danneggiano è “dolore”. Il dolore fisico, procurato ad esempio dal taglio sulla pelle, può dare sollievo alla sofferenza mentale e diventare paradossalmente un antidolorifico capace di mettere a tacere per un po’ il malessere emotivo e psichico.

Per fronteggiare questo fenomeno sono necessari interventi di cura integrati per un approccio terapeutico complessivo.

Che cos’è l’autolesionismo?

La parola deriva dal greco αὐτός e dal latino laedo (danneggiare) e significa letteralmente “danneggiare sé stessi”.

L’autolesionismo, definito dagli addetti ai lavori “atto di farsi del male volontariamente senza intenzioni suicidarie”, è un comportamento ancora non ben conosciuto ma che negli ultimi anni riguarda sempre più gli adolescenti e i giovani.

Consiste nel procurarsi volontariamente una ferita che possa sanguinare o procurare lividi o dolore come tagli, bruciature, perfino accoltellamenti, senza arrivare al suicidio.

Chi lo fa, in qualche modo ritiene o spera di provare sollievo, di stare meglio dopo essersi ferito.

Non è un fenomeno così raro. Infatti, secondo le statistiche, ne soffrirebbero il 5% degli adulti, il 17% degli adolescenti e il 30% di giovani affetti da un disturbo di natura psichiatrica (disturbo di personalità borderline, disturbi di ansia o del comportamento alimentare, ad esempio). Spesso poi a questo comportamento si associa anche l’abuso di alcol, droghe o farmaci non prescritti.

Quali sono i motivi?

È difficile rispondere a questa domanda. Il più delle volte l’autolesionismo è la risposta a emozioni negative, un modo per alleggerire lo stress o per imitare gli altri. L’aspetto imitativo nei confronti dei coetanei, infatti, fa parte del processo di costruzione della propria identità durante l’adolescenza.

Il corpo, la pelle in particolare, diventa un foglio bianco attraverso il quale comunicare o vivere le proprie emozioni e cercare, soprattutto nell’adolescenza, di costruirsi una propria identità.

È un modo per gestire gli stati emotivi difficilmente tollerabili, una fuga da uno stato mentale insostenibile.

In psicologia sono dette strategie di coping, vale a dire comportamenti messi in atto per fronteggiare i problemi personali o interpersonali e per ridurre o tollerare lo stress (non sempre funzionali).

In base alla frequenza, l’autolesionismo si definisce episodico o reiterato ed è considerato tale in presenza di 5 o più episodi di autolesionismo.

I gesti più comuni di condotte autolesive sono:

Negli ultimi anni è aumentato l’interesse dei ricercatori verso questo fenomeno che diventa sempre più rilevante, sia in Italia che nel resto del mondo, anche se è difficile valutarne le reali dimensioni. Infatti, è spesso tenuto nascosto e il medico non sempre riesce subito a comprendere la natura delle lesioni.

Epidemiologia

Sebbene l’autolesionismo sia diffuso soprattutto nelle persone con disturbi psichiatrici, recentemente si è visto che caratterizza anche soggetti apparentemente sani o almeno senza una diagnosi di disturbo mentale. 

Nei Paesi anglosassoni, ad esempio, la diffusione dell’autolesionismo nei giovani studenti anche universitari si attesta tra il 12 e il 39%.

In una ricerca condotta dall’Università degli Studi Milano-Bicocca, attraverso questionari specifici, sono stati esaminati 578 studenti universitari di Milano (83% femmine e 17% maschi) e 219 delle scuole superiori di Parma (70% femmine e 30% maschi).

Dai risultati è emerso che uno studente su cinque ha riconosciuto di essersi almeno una volta auto-ferito. Tra i giovani, invece, che praticano l’autolesionismo (self- injurers), circa un terzo ha vissuto vari episodi di auto-ferimento, alcuni più di 100.

Il dato più rilevante è l’età media di esordio, tra i 12 e i 14 anni.

Tra i comportamenti più frequenti (e associati tra loro):

In un altro studio condotto in Australia e in sei Paesi europei sono stati intervistati circa 30.000 ragazzi di 14-17 anni. Si sono riscontrati alti livelli di autolesionismo: 4,3% dei maschi e 13,5% delle femmine. L’incidenza, quindi, rilevata anche in altre ricerche, risulta più elevata nelle femmine.

Tipi di autolesionismo

Nel DSM-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali, l’autolesionismo è stato indicato come vera e propria categoria diagnostica: autolesività non suicidaria, cioè “l’alterazione deliberata e auto-inflitta della superficie corporea, senza alcuna intenzione suicidaria”.

Tale inserimento è un aspetto molto importante, poiché in passato questo comportamento era associato a un generico disagio piscologico o ad altre malattie mentali. Adesso, invece, è possibile diagnosticare questo disturbo basato sull’auto-danneggiamento corporeo.

Sono state poi identificate 3 categorie principali di autolesività.

In base, invece, al danno auto-procurato al corpo sono state individuate tre tipologie di autolesionismo.

Autolesionismo e disagio psicologico: cause e fattori di rischio

Sono tanti e diversi i fattori implicati nei comportamenti autolesivi. Oltre agli aspetti sociali, come le mode che possono attirare i soggetti più vulnerabili, ci sono, infatti, anche fattori legati alla personalità, al carattere o a eventi traumatici come abusi o trascuratezza da parte dei genitori.

Chi mette in pratica questi comportamenti nasconde spesso anche un disagio psicologico importante. I motivi più frequenti sono:

Quindi, il comportamento autolesionistico tenta di spostare il focus dal dolore emotivo a quello fisico considerato più sopportabile e in grado di dare anche un certo sollievo.

Permette di “lasciar uscire il dolore”, di ridurre il senso d’impotenza e di comunicare la propria sofferenza interiore agli altri.

Tuttavia, ricorrere con una certa frequenza a queste strategie per affrontare la sofferenza, le può trasformare in pratiche abituali. Infatti, il sollievo è temporaneo e le emozioni dolorose si riaffacciano. Il rischio quindi è che si possa innescare un circolo vizioso che si ripete nel tempo.

Fattori di rischio

Indagare nella psiche umana non è mai facile, nemmeno per gli addetti ai lavori. Le variabili sono tante, le motivazioni si sovrappongono, creando stati d’animo e situazioni non sempre definibili.

La valutazione dei fattori di stress psicosociale, come conflitti familiari, bullismo e cyberbullismo, situazioni di maltrattamento e abuso o il modo in cui si affrontano le difficoltà della vita, è molto importante.

Tutti questi aspetti, infatti, aumentano sensibilmente i livelli di stress cui il giovane è sottoposto, compromettendo la capacità di regolare i propri stati emotivi e di organizzare le risposte più adeguate.

Quindi, sintetizzando si possono rilevare alcuni elementi ricorrenti nei casi di autolesionismo.

Vediamoli insieme.

Autolesionismo: segni e sintomi

L’autolesionismo si manifesta con segni fisici piuttosto evidenti e comportamenti inconsueti. Tra questi ci sono:

Ci sono poi dei segni “sentinella”, che possono comunque presentarsi all’interno dello stesso quadro di autolesionismo, tra cui:

Complicanze

Le conseguenze fisiche dell’autolesionismo riguardano le ferite autoinflitte, le zone del corpo lesionate e l’eventuale abuso di sostanze associato.

Quindi, le conseguenze possono essere:

Infatti, i tagli piuttosto profondi o i colpi alla testa possono comportare serie conseguenze per l’organismo, perfino la morte se il soccorso non è immediato.

Se poi si associano anche forti intossicazioni da alcol, droghe o farmaci, il quadro clinico è più pesante.

Inoltre, nei casi di disturbi psicopatologici, spesso si possono osservare, insieme all’autolesività, anche anoressia, bulimia o dipendenza da alcol e stupefacenti.

L’elemento comune resta sempre una fondamentale vulnerabilità di base che, a prescindere dalla presenza o meno di disturbi psicologici, espone comunque l’organismo a danni fisici che possono evolvere in vere e proprie patologie o in danni permanenti.

Diagnosi

La diagnosi di autolesionismo è soprattutto clinica e prevede un’accurata anamnesi, cioè la storia clinica del soggetto, l’osservazione del comportamento e il racconto dei genitori.

Criteri diagnostici

Il DSM-5 definisce questo disturbo come una serie di “atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno” e stabilisce anche alcuni criteri diagnostici tra i quali:

1) si danneggia intenzionalmente il proprio corpo o si cerca di indurre sanguinamento, lividi o dolore (ad esempio, tagliandosi, bruciandosi, incidendosi, colpendosi, sfregandosi la pelle eccessivamente). I danni fisici sono comunque di lieve o moderata entità e non c’è alcuna intenzione suicida.

Gli obiettivi da raggiungere sono:

La sensazione di sollievo si prova durante l’atto autolesionistico o subito dopo. Per questo motivo è alto il rischio di reiterare tale comportamento e di diventarne dipendente.

2) È presente almeno una delle seguenti condizioni:

3) Le conseguenze del disturbo interferiscono nella vita sociale, scolastica e interpersonale.

4) Il comportamento autolesionistico non si verifica soltanto durante episodi psicotici, di delirio, di intossicazione o astinenza da droghe e non rientra in altri disturbi mentali o in particolari condizioni mediche come ad esempio:

È dunque necessaria una valutazione psicologica complessiva per verificare la presenza di disturbi psicologici sottostanti, l’abuso di sostanze e i fattori di stress psicosociale (bullismo, maltrattamento e abuso, ad esempio) che possono alterare la capacità di reazione alle sfide della vita.

Come guarire dall’autolesionismo: cure e trattamenti

Esiste una cura? In realtà c’è la possibilità di adottare alcune strategie terapeutiche che hanno l’obiettivo di:

Gli interventi si focalizzano soprattutto sull’acquisizione di abilità per la regolazione delle emozioni e per affrontare la sofferenza, cercando di interrompere il circolo vizioso disfunzionale tipico del comportamento autolesionistico.

Sedute di psicoterapia

Di gruppo o individuale con diversi approcci (cognitivo-comportamentale, psicodinamica o sistemico-relazionale). Gli scopi da raggiungere sono:

Altri interventi psico-sociali che si sono dimostrati efficaci nel ridurre gli episodi di autolesionismo sono la terapia dialettico-comportamentale (DBT) e la terapia basata sulla mentalizzazione (MBT).

La prima è un tipo di terapia che prevede sedute di gruppo e individuali per l’acquisizione di abilità di regolazione emotiva, tolleranza alla sofferenza, mindfulness e abilità interpersonali.

Invece, la seconda è usata soprattutto nei disturbi borderline e di personalità, mira a sviluppare la mentalizzazione, cioè la capacità di riconoscere il proprio stato mentale e quello degli altri per comprenderne i comportamenti.

Cura farmacologica

Attualmente non sono disponibili terapie specifiche per la cura dell’autolesionismo. Ma solitamente sono prescritti farmaci antidepressivi, ansiolitici e tranquillanti per ridurre il desiderio di ferirsi o farsi del male, oppure per il trattamento dei disturbi psicopatologici associati all’autolesività.

Trattamento sanitario

Nei casi più gravi, il medico può consigliare un periodo di osservazione in ospedale o in centri specializzati, per garantire un ambiente protetto e prevenire i comportamenti autolesivi.

È comunque importante rivolgersi a un professionista (psicologo, psicoterapeuta o psichiatra) il prima possibile per evitare che il disturbo diventi cronico.

Autolesionismo negli adolescenti: come comportarsi

È importante non sottovalutare i comportamenti autolesionistici dei giovani, sia per il rischio che sfocino in condotte auto-aggressive (fino al suicidio), sia perché sono il segnale di un disagio. Un ruolo importante per captare i primi campanelli di allarme, oltre alla famiglia, lo giocano anche il personale scolastico e i coetanei.

Non è utile avere un atteggiamento giudicante o condannare il comportamento autolesivo; è meglio invece favorire la richiesta di aiuto e rivolgersi a specialisti per un’adeguata valutazione e terapia.

Si può, invece, ridurre il rischio togliendo dalla portata dei giovani oggetti potenzialmente dannosi e prevenire e contrastare l’abuso di alcol e droghe.

Autolesionismo e web

In Rete il numero di blog, siti e gruppi dedicati all’autolesionismo è impressionante.

Per questo motivo molti ricercatori hanno iniziato a riflettere sulla possibilità di monitorare il web per capire se queste pagine possano essere utili o di supporto o meno.  

Le attuali piattaforme online, come Tumblr, che condividono contenuti sull’autolesionismo possono essere suddivise in tre tipologie.

Sono soprattutto le ragazze le blogger più presenti nel web, con un’età che va dai 12 ai 20 anni. Nelle loro pagine raccontano le proprie storie di autolesionismo in cui il primo episodio di tagli (cutting) apre la porta al racconto, tra traumi infantili e grandi delusioni, descrivendo il rapporto con i genitori, gli amici e i fidanzati.

Le descrizioni dell’atto autolesivo, la voglia e la paura di essere scoperte, il bisogno di aiuto sono gli aspetti salienti. Sullo sfondo scorrono le immagini di parti del corpo auto-lese e descrizioni, anche drammatiche, di cosa vuol dire essere autolesionisti.

Cinema e autolesionismo: 10 film per raccontare il disagio

Eccezionalmente il cinema si è occupato del fenomeno in modo diretto, ma ci sono alcuni film che affrontano questo tema e le forme di disagio giovanile.

Tra questi:

Con la consulenza del Dott. Giuseppe Gagliardo, Psicologo e Psicoterapeuta c/o l’Associazione di Psicologia cognitiva APC di Roma.

Fonti

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