Sommario
Il Parkinson è una patologia degenerativa cronica e progressiva del Sistema Nervoso Centrale. Infatti, è caratterizzata da rallentamento motorio (acinesia, bradicinesia, ipocinesia), rigidità muscolare e tremore. Ma, spesso è anche associata a disturbi cognitivi di grado variabile (fino a un quadro clinico di demenza) e ad altri sintomi non motori quali depressione, disturbi della minzione, stipsi e altri.
Gli uomini sono colpiti dalla malattia con una maggiore, se pur minima, frequenza rispetto alle donne (rapporto 3:2). Inoltre, con l’introduzione (fine anni Sessanta) della L-Dopa (levodopa) come trattamento terapeutico, la sopravvivenza delle persone colpite è aumentata, anche se il tasso di mortalità rimane ancora di circa 1,6–2,9 volte più alto rispetto alla popolazione generale.
Comunque, la più frequente causa di morte è la broncopolmonite, conseguenza della ridotta mobilità, e la disfagia che caratterizzano le fasi molto avanzate della malattia.
La malattia di Parkinson è stata descritta per la prima volta nel 1817 da James Parkinson nel trattato An Essay on the Shaking Palsy.
Malattia di Parkinson: che cos’è
Il Parkinson è una malattia causata dalla degenerazione progressiva di alcune zone del cervello, soprattutto quelle deputate alle funzioni motorie e al coordinamento dei movimenti. Infatti, si osserva un’alterazione delle cellule localizzate nella substantia nigra o sostanza nera e compromissione anatomo/funzionale dei gangli della base. I gangli della base sono aggregati di cellule nervose situati in profondità nel cervello e deputati a:
- iniziare e regolare i movimenti volontari
- inibire i movimenti involontari
- coordinare le variazioni della postura.
L’impulso inviato dal cervello per qualsiasi movimento (ad esempio per sollevare un braccio) passa proprio attraverso i gangli della base. Ma, come tutte le cellule nervose, quelle nei gangli della base rilasciano messaggeri chimici (neurotrasmettitori) che attivano la cellula successiva nel percorso tracciato per inviare un impulso. Uno dei neurotrasmettitori più importanti nei gangli della base è la dopamina.
Ma, quando le cellule nervose della sostanza nera subiscono una degenerazione, producono un livello più basso di dopamina e il numero di connessioni tra le cellule nervose diminuisce. Infatti, la diretta conseguenza è che i gangli della base non riescono a controllare i movimenti, come farebbero normalmente.
Quindi, ciò comporta la comparsa di tremore, rallentamento nei movimenti (bradicinesia), riduzione dell’ampiezza del movimento (ipocinesia), problemi di postura e deambulazione e una parziale perdita della coordinazione.
Chi colpisce
Il Parkinson è la seconda malattia degenerativa più comune del sistema nervoso dopo la malattia di Alzheimer e colpisce:
- circa 1 persona su 250 di età superiore a 40 anni
- circa 1 persona su 100 di età superiore a 65 anni
- circa 1 persona su 10 di età superiore a 80 anni.
Solitamente si manifesta tra i 50 e i 79 anni, raramente nei bambini o negli adolescenti.
Morbo di Parkinson: cenni storici
Diverse fonti antiche descrivono sintomi simili a quelli della malattia di Parkinson, come tremori, rigidità, limitazione dei movimenti e disturbi della postura, tra cui:
- papiro egiziano
- trattato di medicina Ayurveda
- Bibbia
- trattato della medicina tradizionale cinese del 425 a.C.
- scritti di Galeno (129-216)
Successivamente, nel 1912, Frederic Lewy descrisse per la prima volta i “corpi di Lewy”, aggregati proteici anomali che si depositano nelle cellule nervose, tipica alterazione patologica della malattia di Parkinson. Nel 1919, Konstantin Tretiakoff scoprì che la substantia nigra è la principale struttura cerebrale colpita. Quest’area è ricca di cellule nervose che utilizzano come neurotrasmettitore la dopamina.
James Parkinson
Ma, la malattia di Parkinson fu descritta per la prima volta come sindrome neurologica nel 1817 da James Parkinson, un medico inglese, nel suo trattato “Essay on Shaking Palsy”. Infatti, descrisse pazienti affetti da tremore a riposo che mostravano una diminuzione della forza muscolare e un particolare modo di camminare, a piccoli passi e con tendenza a inclinare il busto in avanti, segnalando anche la progressione della malattia nel tempo.
Tuttavia, Parkinson attribuì la causa della malattia all’inquinamento atmosferico, dovuto alla rivoluzione industriale in Inghilterra. Ma, molti scienziati dopo di lui cercarono, senza successo, la causa della malattia. Di fatto, questa non è ancora nota, mentre è stato chiarito il meccanismo responsabile dei sintomi della malattia.
Successivamente, sarà Jean-Martin Charcot a descrivere, circa 50 anni dopo, più accuratamente il quadro clinico di tale sindrome, riconoscendo l’indipendenza dei tre sintomi principali (bradicinesia, rigidità e tremore) e dandole il nome di malattia di Parkinson.
Malattia dei grandi uomini
La malattia di Parkinson è anche nota come “la malattia dei grandi uomini”. Infatti, molti famosi personaggi ne hanno sofferto o ne soffrono:
- Francisco Franco
- Franklin Delano
- Roosevelt
- Arafat
- Mao
- Bresniev
- Giovanni Paolo II
- Cassius Clay.
La levodopa
Sintetizzata per la prima volta nel 1911 dal chimico polacco Kazimierz Funk, non suscitò particolare attenzione da parte del mondo scientifico.
Ma, l’intuizione di somministrare levodopa, per sopperire alla mancanza di dopamina, si deve invece allo scienziato svedese Arvid Carlsson, negli anni Sessanta. Infatti, fu il primo a somministrare la levodopa ai roditori con sintomi paragonabili in parte a quelli presenti nei pazienti parkinsoniani, ottenendo risultati sorprendenti.
Quindi, il ricercatore svedese gettò così le basi di quella che presto divenne la più importante cura della malattia di Parkinson, scoperta che gli valse il premio Nobel nel 2000.
Parkinson: epidemiologia
Il Parkinson colpisce circa lo 0,3% dell’intera popolazione. Piuttosto raro prima dei 50 anni, la prevalenza aumenta fino all’1% nei soggetti sopra i 60 anni e al 4% nei soggetti sopra gli 80. Anche l’incidenza è bassa prima dei 50 anni e raggiunge i valori più elevati nelle classi di età comprese tra i 70 e i 79 anni.
In Italia si stima attualmente la presenza di circa 250.000-300.000 persone affette da Parkinson.
Ma, la malattia, in circa il 90% dei casi, è considerata sporadica, ma nel restante 10%, soprattutto nelle forme ad esordio giovanile, è geneticamente determinata.
Parkinson: cause e fattori di rischio
Quali sono le cause del Parkinson? Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato come l’accumulo di forme alterate di alfa-sinucleina (una proteina cerebrale che in condizioni fisiologiche aiuta le cellule nervose a comunicare tra di loro) forma degli ammassi detti “corpi di Lewy” in diverse regioni dell’encefalo, in particolare nel tronco dell’encefalo e nella corteccia cerebrale, interferendo con la funzione cerebrale.
Quindi, l’accumulo di corpi di Lewy nella corteccia cerebrale è correlata allo sviluppo di demenza, che si manifesta in almeno un terzo delle persone affette da Parkinson.
Ma, nel 90% dei casi si tratta di una malattia sporadica, con origini multifattoriali e legate ad una interazione tra cause ambientali e genetiche.
Fattori genetici
Circa il 10-15% delle persone con Parkinson ha o ha avuto uno o più familiari affetti dalla malattia. Alcune mutazioni genetiche possono quindi svolgere un ruolo importante, soprattutto nelle forme ad esordio giovanile.
Fattori ambientali
Si è notata una correlazione tra insorgenza della malattia e alcuni fattori ambientali.
Tra questi sono compresi:
- esposizione a sostanze tossiche o interazione tra predisposizione genetica e tossine esogene come pesticidi, metalli, prodotti chimici industriali e usati in agricoltura;
- stile di vita (dieta sbilanciata e fumo). Quest’ultimo sembrerebbe avere un effetto protettivo sullo sviluppo della malattia. Tuttavia le tante patologie correlate al fumo possono peggiorare lo stato di salute generale;
- attività professionale (lavoro agricolo).
Inoltre, negli anni Ottanta, è stato dimostrato come una neurotossina (MPTP), sintetizzata per errore nella produzione “domestica” di eroina e auto-iniettata da soggetti tossicodipendenti, induceva un parkinsonismo irreversibile e distruzione selettiva delle cellule neuronali.
Parkinson: sintomi e caratteristiche cliniche
Quali sono i sintomi nel Parkinson? La malattia ha un andamento lentamente evolutivo. I sintomi iniziali possono essere di modesta entità e, talvolta, non immediatamente riconosciuti, poiché “aspecifici” o attribuiti alle normali alterazioni tipiche dell’invecchiamento.
Sintomi motori
La bradicinesia (lentezza nei movimenti), la rigidità e il tremore rappresentano i principali sintomi motori della malattia.
Quindi, all’esordio, i sintomi e i segni motori si manifestano, nella maggior parte dei casi, in un solo lato del corpo, per poi diffondersi, nel corso degli anni, anche all’altro lato. Tuttavia un certo grado di asimmetria tra i due lati perdura nel corso della malattia.
Compromissione del movimento
La compromissione del movimento nel Parkinson comporta:
Bradicinesia
Per bradicinesia, si intende la lentezza nell’esecuzione dei movimenti volontari (comprende ipocinesia, ovvero la ridotta ampiezza dei movimenti e acinesia, ovvero la difficoltà a iniziare il movimento desiderato).
È particolarmente evidente nell’esecuzione delle normali attività della vita quotidiana, ad esempio:
- rallentamento dell’andatura;
- riduzione dei movimenti degli arti;
- esecuzione dei movimenti complessi dell’arto superiore;
- modificazione della scrittura che diventa progressivamente, sempre più piccola (micrografia).
Gli elementi che la caratterizzano sono:
- progressiva riduzione dell’ampiezza dei movimenti volontari;
- riduzione della mimica facciale (ipomimia) e della frequenza di ammiccamento;
- limitazione dei movimenti oculari;
- modificazione del tono della voce;
- eccesso di salivazione (scialorrea), conseguenza della ridotta frequenza degli atti spontanei della deglutizione;
- aumento del tempo richiesto per iniziare un movimento volontario (la persona esita qualche secondo prima di iniziare a camminare);
- blocco motorio detto comunemente freezing (incapacità a muoversi che coinvolge soprattutto gli arti inferiori, i quali rimangono come “incollati” al terreno, all’inizio del passo e nel cambio di direzione o nel passaggio attraverso piccoli spazi – ad esempio il passaggio di una porta).
Malattia di Parkinson e rigidità muscolare
Per rigidità muscolare, si intende l’aumento del tono muscolare degli arti e del capo. Ma, può essere associata, nelle fasi avanzate della malattia, a deformità posturali, che coinvolgono prevalentemente il collo e il tronco, spesso con una marcata latero-deviazione del tronco.
Tremore e malattia di Parkinson
Il tremore si manifesta nelle fasi di riposo ed è spesso uno dei primi sintomi avvertiti, in particolare quando interessa la mano, ed è accentuato dalle emozioni; si attenua o scompare con il movimento volontario e durante il sonno.
Inoltre, può coinvolgere anche le labbra, il mento e gli arti inferiori. È caratterizzato da movimenti ripetuti di supinazione-pronazione della mano (“far pillole” o “contar monete”).
Instabilità posturale
L’instabilità posturale caratterizza le fasi più avanzate della malattia. Infatti, è la causa principale delle cadute, poiché diventa molto difficile mantenere l’equilibrio con la tendenza a cadere in avanti o indietro.
Sintomi non motori
Tra i sintomi non motori nel Parkinson si segnalano:
- depressione. Può interessare fino al 40% dei soggetti ed è caratterizzata da apatia, disinteresse e riduzione delle attività e dei rapporti sociali e anedonia (cioè la perdita di piacere e di interesse nello svolgimento delle comuni attività);
- disturbi cognitivi. Sono presenti generalmente in forma lieve e possono progredire in almeno il 30-40% dei casi, sino ad evolvere in demenza (che si manifesta nel 70% dei soggetti con più di 80 anni);
- disturbi della minzione. Aumento della frequenza minzionale, talvolta incontinenza;
- ipotensione ortostatica e impotenza nell’uomo;
- disturbi del sonno (eccessiva sonnolenza diurna, insonnia, parasonnie e disturbi del sonno REM;
- ansia;
- disturbi gastrointestinali (disfagia, stipsi);
- iposmia o disturbi dell’olfatto (iposmia). Si manifestano frequentemente, anche prima della comparsa dei sintomi motori;
- demenza o compromissione del pensiero;
- allucinazioni, manie e paranoia, in particolare se si sviluppa demenza.
Evoluzione della malattia di Parkinson: scala di Hoehn & Yahr
Il quadro clinico nel Parkinson è classificato in 5 stadi progressivi di disabilità secondo la scala di Hoehn e Yahr. Ma, altre scale sono utilizzate per valutare:
- gravità dei sintomi (Movement Disorder Society Unified Parkinson Disease Rating Scale: MDS UPDRS)
- qualità della vita (PDQ-39)
- sintomi non motori (Non Motor symptoms Rating Scale).
I 5 stadi della malattia
Malattia di Parkinson: diagnosi e prognosi
Come si riconoscono i primi sintomi del Parkinson? La diagnosi è basata esclusivamente sulla valutazione clinica. Ma, le neuroimmagini (in particolare la Risonanza Magnetica) non mostrano aspetti specifici della malattia. Tuttavia sono utili per escludere la presenza di alterazioni strutturali dovute a sofferenze:
- vascolari
- idrocefalo
- normoteso
- tumori cerebrali, ecc.
In alcune situazioni cliniche dubbie, ad esempio nel caso di un tremore atipico, può essere utile eseguire altre indagini, come ad esempio la scintigrafia cerebrale (SPECT) per valutare l’integrità o l’alterazione del sistema dopaminergico nigro-striatale.
Può non essere facile per il medico diagnosticare la malattia nello stadio iniziale, poiché solitamente si manifesta in modo impercettibile.
Ma, nelle persone anziane è ancora più difficile perché l’invecchiamento provoca sintomi come perdita di equilibrio, rallentamento dei movimenti, rigidità muscolare e blocco della postura. Quindi, a volte il tremore essenziale viene confuso con il Parkinson.
Un completo inquadramento clinico può richiedere indagini diagnostiche utili per valutare le funzioni cognitive, cardiovascolari, urologiche e psichiatriche. Nella diagnosi differenziale andranno considerati, in particolare, il tremore essenziale, le altre forme di parkinsonismo degenerativo e i parkinsonismi secondari.
Infine, studi recenti hanno dimostrato come sia possibile verificare la presenza di alfa-sinucleina e di modificazioni strutturali della proteina nel liquor cefalorachidiano, nella saliva e nella cute.
Esame obiettivo
Durante l’esame obiettivo, si chiede al soggetto di eseguire alcuni movimenti che possono aiutare a confermare la diagnosi.
Ad esempio, nelle persone affette da Parkinson, il tremore scompare o diminuisce quando il medico chiede alla persona di toccarsi il naso con un dito. Inoltre, si manifesta la difficoltà a eseguire rapidi movimenti alternati, come mettere le mani sulle cosce, poi ruotarle rapidamente diverse volte.
Infatti, una prova molto sensibile per evidenziare la bradicinesia è il cosiddetto finger tapping, ossia battere ripetutamente l’indice sul pollice per 10-15 secondi e valutare la frequenza e l’ampiezza del movimento.
Diagnosi differenziale
Una corretta diagnosi differenziale fra Parkinson e altre forme secondarie di parkinsonismo è fondamentale per individuare il trattamento adeguato. Quindi, è necessario, oltre ad un’accurata anamnesi, eseguire tutti gli esami diagnostici necessari per escludere altre patologie correlate.
Principali forme di parkinsonismo
Per parkinsonismo secondario, si intende una serie di disturbi che presentano caratteristiche simili a quelle del Parkinson, ma che hanno una diversa eziologia.
Parkinsonismo da farmaci
Tutti i farmaci in grado di bloccare i recettori dopaminergici o di determinare una diminuzione della dopamina presinaptica possono causare una sintomatologica tipica del Parkinson, tra i quali:
- neurolettici
- sali di litio
- alcuni antiemetici, antipertensivi e antiepilettici.
Parkinsonismo da cause vascolari
Il quadro clinico vede coinvolti gli arti inferiori, con alterazioni della marcia e rigidità e assenza di tremore. Quindi, spesso si associa anche il decadimento cognitivo come manifestazione del danno vascolare. Tale parkinsonismo si osserva prevalentemente negli anziani, con fattori di rischio vascolare.
Parkinsonismo da cause infettive
Diverse patologie infettive possono essere responsabili dell’insorgenza di un parkinsonismo secondario come, ad esempio, alcune forme di encefaliti di origine virale.
Ma, attualmente, la causa infettiva più comune di parkinsonismo è l’AIDS per azione diretta del virus o per le infezioni del Sistema Nervoso Centrale associate a questa malattia.
Parkinsonismo da idrocefalo (accumulo di liquor nel cervello)
Nell’idrocefalo normoteso possono essere presenti alterazioni precoci dell’andatura e della postura con decadimento cognitivo.
Parkinsonismo da lesioni occupanti spazio
Diversi tipi di lesioni (emorragie, tumori benigni e maligni, ascessi) possono causare una sindrome parkinsoniana. Ma, più frequentemente, si tratta di tumori cerebrali.
Parkinsonismo da traumi cranici
Un parkinsonismo può essere secondario a traumi cranici ripetuti e protratti, ad esempio nei pugili professionisti. In questo caso, la conseguenza neurologica più frequente è la demenza, ma possono associarsi anche sintomi simili al Parkinson.
Parkinsonismo da sostanze tossiche
L’esposizione a sostanze tossiche ambientali e l’assunzione di droghe possono causare forme di parkinsonismo. Ma, la più frequente è quella che può colpire minatori e operai per esposizione al manganese.
In questa forma, alla bradicinesia e rigidità, si associano faticabilità e disturbi cognitivi e comportamentali (aggressività e irritabilità). Tuttavia, altre cause tossiche sono rappresentate dall’intossicazione con metanolo e monossido di carbonio.
Malattia di Parkinson: prognosi
Quanti anni si può vivere con il Parkinson? La malattia non è mortale, ma con il tempo tende a peggiorare e non c’è attualmente una cura che possa bloccare il processo degenerativo. Ma, generalmente l’aspettativa di vita nel Parkinson è di poco inferiore a quella di una persona senza la malattia.
Tuttavia, negli ultimi stadi, possono manifestarsi complicazioni, come ad esempio alterazioni respiratorie, cadute e disfagia, e condurre a un esito fatale.
Ma, la progressione dei sintomi può svilupparsi in un arco temporale di circa 20 anni, anche se in alcune persone la malattia progredisce più rapidamente.
Tuttavia, con un trattamento farmacologico appropriato, la maggior parte delle persone affette da Parkinson può vivere una vita produttiva per diversi anni dopo la diagnosi.
Nondimeno, anche se ben controllata dai farmaci, il Parkinson rimane ancora una patologia da cui non si guarisce e la cui progressione, specie nelle fasi avanzate, può compromettere in modo serio la qualità della vita di chi ne è colpito.
Malattia di Parkinson: cura e terapia
Come si cura la malattia di Parkinson? La terapia è ancora essenzialmente sintomatica, poiché non esiste al momento la possibilità di interferire con i meccanismi del danno neuronale. Quindi, i trattamenti sono per lo più di tipo farmacologico e riabilitativo. Inoltre, dei benefici si ottengono anche con la Stimolazione Cerebrale Profonda.
L’esercizio fisico e una corretta alimentazione svolgono sicuramente un ruolo importante nel mantenimento funzionale.
Terapia farmacologica
Il trattamento fondamentale consiste nell’aumentare la concentrazione di dopamina nei gangli della base, utilizzando alcuni farmaci. I principali sono:
Levodopa
La riduzione della concentrazione della dopamina nel cervello è correlata alla gravità clinica dei sintomi motori della malattia. Infatti, è necessario che vi sia una riduzione di almeno il 60-80% della concentrazione di dopamina affinché la malattia si manifesti clinicamente.
Ma, poiché la dopamina non è in grado di attraversare, se non in minima parte, la barriera ematoencefalica, la terapia si basa sull’uso della levodopa (o L-Dopa), un aminoacido capace di oltrepassare tale barriera per poi essere trasformato dall’organismo in dopamina. Ma, l’assorbimento intestinale della L-Dopa può essere limitato dalla presenza nell’intestino di alte concentrazioni di altri aminoacidi, come accade, ad esempio, dopo un pasto a elevato contenuto proteico. Per questo l’alimentazione nel Parkinson assume un ruolo importante.
Gli effetti collaterali più frequenti della levodopa sono:
- gastro-intestinali: nausea, vomito;
- vegetativi: ipotensione posturale;
- motori: movimenti involontari;
- neuropsichiatrici: allucinazioni e fenomeni psicotici o stati confusionali.
Inoltre, la levodopa riduce la rigidità muscolare, migliora il movimento e diminuisce sostanzialmente il tremore. Il farmaco consente a molti individui con patologia lieve di tornare a un livello di attività quasi normale.
Dopamino-agonisti
Sono farmaci che agiscono direttamente sui recettori dopaminergici. Quelli maggiormente utilizzati sono:
- pramipexolo e ropinirolo, somministrati per via orale
- rotigotina, somministrata con cerotto cutaneo
- apomorfina somministrata per via sottocutanea.
Questi farmaci pur essendo meno efficaci della L-Dopa, possono essere adoperati da soli nelle fasi iniziali della malattia o in combinazione alla L-dopa nelle fasi più avanzate.
Tuttavia, gli effetti collaterali più frequenti sono:
- nausea
- vomito
- ipotensione ortostatica
- eccessiva sonnolenza diurna
- attacchi di sonno improvvisi
- allucinazioni
- psicosi e disturbo del controllo degli impulsi (gioco d’azzardo patologico)
- ipersessualità
- iperfagia
- shopping compulsivo.
MAO-B inibitori
Sono sostanze che inibiscono il metabolismo della dopamina aumentandone il tempo di permanenza a livello dello spazio intersinaptico. Infatti, sono adoperati sia nella fase iniziale del trattamento che nella fase avanzata, in associazione alla L-Dopa. Tra questi:
- rasagilina
- selegilina
- safinamide.
COMT-inibitori
Queste sostanze rallentano il metabolismo della levodopa e ne aumentano la emivita (ossia il tempo di permanenza del farmaco nel sangue).
I principali sono:
- entacapone
- opicapone
- tolcapone.
Questo ultimo attraversa anche la barriera ematoencefalica e funziona anche a livello centrale. Ma, questi farmaci devono essere somministrati sempre in associazione alla L-Dopa e possono provocare un significativo incremento delle discinesie (movimenti involontari). Inoltre, il tolcapone può provocare tossicità epatica.
Anticolinergici
Sono i meno utilizzati a causa degli effetti collaterali. In pochi casi possono aiutare a controllare il tremore. Inoltre, sono da evitare negli anziani perché, se assunti per lungo tempo, aumentano il rischio di declino mentale e per gli effetti collaterali:
- stato confusionale
- sonnolenza
- secchezza delle fauci
- visione offuscata
- capogiri
- stipsi
- difficoltà di minzione e perdita di controllo della vescica.
Altri farmaci
L’amantadina, un farmaco a volte usato per trattare l’influenza, è impiegato nel Parkinson soprattutto per il controllo dei movimenti involontari indotti dalla levodopa.
Malattia di Parkinson: terapia riabilitativa
Serve la fisioterapia nel Parkinson? La malattia causa importanti disturbi del movimento, pertanto un costante esercizio fisico consente di contrastare la lentezza, la scarsa fluidità e la mancanza di coordinazione del movimento.
La rigidità e il rallentamento motorio comportano modificazioni della postura, della deambulazione e dell’equilibrio in generale, con ripercussioni anche a livello della colonna vertebrale e delle singole articolazioni che si “fissano” in posizioni viziate.
Quindi, l’esercizio, sotto la supervisione di un fisioterapista o di un terapista occupazionale, mira a correggere questi atteggiamenti e a prevenire l’insorgere di patologie dolorose a carico delle strutture osteo-articolari.
Invece, non si può fare molto per contrastare il tremore, anche se acquisire maggior sicurezza nel movimento può migliorare il tono dell’umore e ridurre l’ansia.
Inoltre, i soggetti che eseguono con costanza i programmi riabilitativi, spesso riportano di aver ottenuto un aumento del grado di autonomia nelle attività della vita quotidiana.
Trattamenti medico-chirurgici
La stimolazione cerebrale profonda. Tale tecnica consiste nell’impiantare chirurgicamente dei piccoli elettrodi in alcune strutture dei gangli della base (soprattutto globo pallido e nucleo subtalamico).
Infatti, gli elettrodi inviano piccole quantità di elettricità ad aree specifiche che sono coinvolte nei sintomi della malattia. L’area di impianto degli elettrodi è individuata mediante specifiche tecniche di Risonanza Magnetica per Immagini (RMI) e registrazioni elettrofisiologiche delle cellule. Quindi, tale terapia è al momento indicata nelle persone con malattia avanzata, cognitivamente intatte, relativamente giovani e con difficoltà di controllo dei sintomi motori.
Ultrasuoni focalizzati
Inoltre, recentemente è stata introdotta anche la tecnica degli ultrasuoni focalizzati (FUS). Attraverso la Risonanza Magnetica per Immagini (RMI), è identificata l’area che sarà poi colpita con gli ultrasuoni focalizzati i quali, attraverso la generazione di calore, provocano una lesione dell’area che si intende disattivare.
Questa procedura non prevede un intervento chirurgico invasivo e può alleviare soprattutto il tremore.
Parkinson: importanza dell’alimentazione
Un’alimentazione sana ed equilibrata è importante per il benessere di tutti, in particolar modo per le persone affette da Parkinson, soprattutto se in trattamento farmacologico con levodopa.
Infatti, la levodopa è un aminoacido che per essere assorbito, cioè passare dall’intestino al sangue e da questo al cervello, utilizza un trasporto attivo con consumo d’energia.
Quindi tutto ciò che può rallentare l’assorbimento intestinale, come i cibi ricchi di proteine, può ridurre la quantità di farmaco disponibile per il trasporto al cervello, riducendo di conseguenza l’effetto della terapia farmacologica.
Inoltre, se i farmaci rimangono a lungo nello stomaco, non riescono ad agire nei tempi previsti. È importante pertanto limitare i cibi che inibiscono lo svuotamento gastrico, come:
- grassi
- proteine
- fibre.
Limitare le proteine
Quindi, limitare l’uso di proteine alimentari nella prima parte della giornata è utile per migliorare l’efficacia della terapia.
La quantità totale di proteine da assumere con la dieta deve però essere adeguata (circa 0,8 g per kg di peso corporeo ideale) per evitare carenze e malnutrizione.
Infatti, è importante un regime alimentare equilibrato e una corretta distribuzione degli alimenti nel corso della giornata. Ma, è fondamentale anche non ridurre drasticamente alcuni alimenti, come le fibre, ad esempio, che pur rallentando lo svuotamento gastrico, allo stesso modo sono indispensabili per migliorare la stitichezza.
Parkinson e stipsi
Per la stipsi, può essere d’aiuto:
- dieta ricca di fibre, inclusi alimenti come prugne e succhi di frutta;
- attività fisica;
- bere molti liquidi;
- emollienti fecali, lassativi o clisteri per stimolare la regolarità intestinale.
Alterazione dello stato nutrizionale
Secondo alcuni studi, il 65% delle persone con Parkinson presenta un’alterazione dello stato nutrizionale. Infatti, nelle prime fasi della malattia, anche per una riduzione dell’attività fisica e motoria, si assiste generalmente a un aumento del peso, anche grazie ai farmaci dopaminergici che a volte comportano un aumento dell’appetito. Quindi, ciò implica un peggioramento delle attività motorie, già compromesse nella malattia.
Invece, nelle fasi finali della malattia, si assiste al fenomeno contrario, cioè alla perdita di peso e a stati di malnutrizione, anche a causa delle difficoltà di deglutizione (disfagia) e di altri sintomi come:
- perdita di olfatto
- gusto
- difficoltà digestive
- depressione
- nausea.
Ma, tra questi, il sintomo più difficile da gestire è la disfagia, che può avere come conseguenza l’aspirazione del cibo nelle vie aeree con rischio di infezioni polmonari.
Pazienti disfagici: cibi da evitare
Nei pazienti disfagici è quindi consigliabile:
- evitare cibi troppo duri che necessitano di masticazione (esempio crakers, riso, biscotti, ecc.)
- privilegiare cibi morbidi o ben tritati, omogenei e ben amalgamati (dalla consistenza simile alle puree e ai budini).
Malattia di Parkinson: programma dietetico da seguire
In linea generale il programma dietetico è il seguente. Tuttavia è fondamentale la consulenza di un nutrizionista nella gestione della malattia.
- Aumentare le calorie in presenza di discinesie, per prevenire una eccessiva perdita di peso (poiché c’è un incremento del dispendio energetico), incrementando la quantità di carboidrati (pane, pasta, cereali) e di grassi insaturi come l’olio di oliva.
- Combattere la stitichezza con il consumo di cereali integrali e 4-5 porzioni al giorno fra frutta e verdura. Bere molta acqua.
- Ridurre i grassi saturi (burro, lardo, salumi, carni grasse, ecc.)
- La quantità di proteine assunte dovrebbe essere pari a 0.8 grammi per chilogrammo di peso corporeo ideale. (Ad esempio una persona con un peso di 70 Kg dovrebbe introdurre nella giornata circa 56 grammi di proteine).
- In caso di modeste fluttuazioni motorie le proteine possono essere equamente distribuite durante il giorno. Per fluttuazioni più severe, la totalità di proteine, in particolare quelle animali (carne, pesce, uova), vanno assunte preferibilmente la sera, introducendo a colazione e pranzo prevalentemente pane e pasta o biscotti non proteici.
- In caso di ridotta assunzione di calcio o di ferro si possono utilizzare degli integratori. Poiché è stato osservato che il ferro può interferire nell’efficacia della levodopa, è consigliabile assumere l’integratore il più lontano possibile dall’assunzione del farmaco.
- Nella preparazione dei cibi, in caso di difficoltà di masticazione e deglutizione, è necessario tritare, frullare e dare la giusta densità agli alimenti. In caso di disfagia si possono usare degli addensanti e per l’idratazione dell’acqua gel, che si può acquistare in farmacia.
Parkinson e caffè: un ottimo alleato
Ricercatori americani hanno recentemente evidenziato che la caffeina, combinata a un altro composto presente nei grani di caffè, può rallentare la degenerazione cerebrale nei malati di Parkinson e di demenza a corpi di Lewy.
Infatti, la funzione protettiva del caffè è già da tempo oggetto di ricerca nel Parkinson. In uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i ricercatori hanno analizzato la funzione dell’EHT, un derivato dell’acido grasso del neurotrasmettitore serotonina, che si trova nella cera di caffè che riveste il seme.
Tuttavia, il caffè è una miscela complessa e molto dipende anche dalla raccolta e dalla tostatura e se è filtrato oppure no.
Infatti, I livelli di EHT sono apprezzabili nel caffè non filtrato, molto meno in altri tipi di preparazione. I ricercatori hanno poi voluto verificare se l’EHT e la caffeina potessero avere un ruolo combinato nella neuroprotezione delle cellule cerebrali.
Attraverso topi di laboratorio, hanno visto che i due composti utilizzati singolarmente non erano efficaci, mentre insieme potenziavano l’attività di un enzima (PP2A) che aiuta a prevenire l’accumulo di aggregati di proteina alfa-sinucleina nel cervello.
Quindi, tali scoperte suggeriscono che EHT e caffeina, combinati in specifiche quantità, potrebbero rallentare la progressione di alcune malattie neurodegenerative come il Parkinson. Tuttavia, saranno necessarie altre ricerche per confermare questa ipotesi.
Malattia di Parkinson e esercizio fisico
L’esercizio fisico nelle persone affette da Parkinson può essere ostacolato da sintomi come:
- debolezza
- affaticamento
- lunghi tempi di reazione
- instabilità posturale
- alterazione delle funzioni motorie.
Inoltre, è dimostrato che i soggetti parkinsoniani che svolgono regolare attività fisica presentano una migliore qualità della vita, una maggiore autonomia e una maggiore aspettativa di vita.
Parkinson: teatro e danza
Oltre alle attività di fisioterapia e allenamento fisico, un moderno approccio alla malattia prevede anche terapie che utilizzano esercizi motori e cognitivi, abbinandoli a discipline come la danza, il teatro e la musica. Infatti, queste attività aumentano le funzioni neuronali, stimolando le esperienze sensoriali e il piacere associato.
Quindi, l’obiettivo è insegnare ad apprendere strategie utili per gestire quei sintomi non attenuati dalle terapie farmacologiche. Inoltre, sono attività molto utili per sostenere psicologicamente ed emotivamente il soggetto nel rapporto con la malattia, aiutandolo a riacquistare familiarità con le proprie capacità e facilitando i rapporti sociali.
Laboratorio teatrale
Ad esempio, i laboratori teatrali stimolano la conoscenza del proprio corpo, il movimento e la capacità di comunicazione. Attori professionisti insegnano:
- controllo e la modulazione della mimica
- respirazione
- coordinazione manuale
- postura
- deambulazione
- comunicazione verbale e non verbale.
Si mettono in scena poi episodi di vita reale, sia singolarmente che in gruppo.
Questi esercizi stimolano attività mentali che incidono sul benessere non solo dell’umore ma del cervello stesso.
Danza e malattia di Parkinson
Anche la danza svolge un ruolo importante per la stimolazione delle funzioni motorie e dell’immagine corporea, parzialmente compromesse nelle persone affette da Parkinson.
In particolare la danza nel Parkinson aiuta a esercitare:
- equilibrio e coordinazione
- allungamento e forza muscolare
- orientamento nello spazio e nel tempo
- attenzione, memoria e apprendimento
- immaginazione e creatività.
Sia nel teatro che nella danza, la partecipazione in gruppo alle varie attività facilita la condivisione e l’integrazione sociale. I risultati finora sono molto promettenti, ma sono necessari studi di validazione scientifica.
Parkinson e yoga
La pratica dello yoga nel Parkinson è particolarmente utile per gli stati depressivi, uno dei sintomi tipici della malattia.
Una ricerca pubblicata su Journal of Parkinsonism and Restless Leg Syndrome ha evidenziato i benefici dello yoga, soprattutto per:
- miglioramento dell’equilibrio
- flessibilità
- mobilità degli arti inferiori.
Inoltre, si sono registrati anche benefici sulla qualità del sonno e nelle interazioni sociali.
Ma, a livello generale, la maggior parte delle ricerche è concorde nell’affermare che lo yoga migliora i parametri motori e la postura, aumenta la forza e la capacità di movimento, diminuendo la paura di cadere. A questi benefici fisici si vanno ad aggiungere quelli connessi alla disciplina, ovvero una certa serenità interiore e una maggiore disponibilità ad accettare la convivenza con la malattia.
Inoltre, l’attenzione al respiro è in grado di sbloccare resistenze e rigidità emotive.
Come prevenire la malattia di Parkinson
Si può prevenire il Parkinson? Non conoscendo, allo stato attuale, le cause che scatenano la malattia, non è possibile dare una risposta certa. Anche la lenta progressione nel tempo non aiuta, tuttavia è confermato che l’attività fisica può avere un effetto neuro-protettivo nel Parkinson, abbassando il rischio di sviluppare la malattia.
Dieta mediterranea
Numerose ricerche stanno esplorando la relazione tra alimentazione e basso indice di probabilità di sviluppare il Parkinson. Infatti, il mondo scientifico concorda nel ritenere che la dieta mediterranea riduca la mortalità e protegga dal decadimento cognitivo nella popolazione anziana.
Inoltre, uno studio statunitense ha visto coinvolti circa 132.000 partecipanti, il cui regime alimentare è stato oggetto di studio per ben 16 anni. Il risultato ha indicato che la dieta mediterranea, ricca di verdure, frutta e pesce, è associata a una ridotta incidenza della malattia di Parkinson.
Anche l’assunzione di noci, soia, cereali, carni bianche e grassi polinsaturi ha evidenziato notevoli benefici in termini di salute complessiva.
Ma, in particolare un team di ricercatori svedesi ha scoperto che una proteina presente in abbondanza nella maggior parte dei pesci, la parvalbumina, è in grado di attrarre la proteina alfa-sinucleina impedendo la formazione dei tipici aggregati di alfa-sinucleina, i corpi di Lewy, che si depositano nelle cellule nervose nei soggetti affetti da Parkinson.
La stessa equipe ha avviato altri studi per verificare come la parvalbumina si distribuisce nel corpo umano, per valutare se arriva dove veramente occorre.
I pesci più ricchi di parvalbumina sono:
- merluzzo
- carpa
- aringhe
- salmone.
Antiossidanti
Anche un certo numero di sostanze antiossidanti sono oggetto di studio come fattori protettivi del Parkinson. Tra queste:
- coenzina Q10
- polifenoli
- tè verde
- acido folico
- glutatione
- vitamina E
- vitamina C
- acido alfa lipoico.
Tuttavia, non è stato ancora dimostrato che integratori multivitaminici e antiossidanti hanno un effetto diretto e specifico sulla malattia di Parkinson.
Quando la tecnologia è al servizio delle persone con Parkinson
Ai tempi del coronavirus o covid-19, la tecnologia è sempre più presente nella nostra vita. Anche la medicina si sta adeguando per andare incontro alle esigenze di chi ha bisogno di assistenza medica, anche durante il lockdown.
Il Centro per lo studio e la cura della malattia di Parkinson, presso l’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia), e l’Associazione ParkinZone stanno portando avanti un’iniziativa molto importante: un progetto innovativo di medicina partecipativa chiamato Question Time.
Come funziona Question Time
Tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dalle 19.00 alle 20.00, è possibile collegarsi on line con clinici ed esperti per seguire delle sessioni audio-video su temi specifici inerenti alla malattia di Parkinson. Si possono fare domande e ottenere risposte dai professionisti su vari argomenti: dai sintomi alle terapie, dai disturbi cognitivi all’alimentazione.
L’iniziativa vuole favorire l’incontro tra le persone affette da Parkinson, compresi familiari e caregivers, per affrontare il lungo periodo di isolamento domestico, all’interno di un contesto informale e partecipativo in cui si può discutere di argomenti di comune interesse.
Dall’avvio dell’iniziativa, in pochi giorni si sono unite al gruppo iniziale diverse decine di persone, caregivers, medici e operatori di altre realtà associative italiane attive nella cura e nella ricerca sul morbo di Parkinson. Attualmente gli incontri, ospitati sulla piattaforma Zoom, raccolgono ogni giorno circa 70-80 persone.
Temi proposti
I temi trattati sono molti e spaziano tra:
- creatività e Parkinson
- ruolo della fisioterapia
- mindfulness e stress
- problemi intestinali
- disturbi della vista
- Parkinson avanzato e terapie correlate
- chirurgia del Parkinson
- disturbi del controllo degli impulsi
- genetica del Parkinson
- teatro
- danza
- alimentazione.
Questo spazio online, che cerca di ovviare alla mancanza di occasioni di socializzazione, ha acquisito in breve tempo un ruolo di tutto rispetto tra gli strumenti terapeutici di supporto alla terapia farmacologica. Infatti, le persone affette da Parkinson trovano qui un sostegno alle difficoltà quotidiane acuite dall’isolamento, potendo incontrare altre persone che affrontano ogni giorno la malattia e condividere il proprio stato d’animo e le proprie paure.
Ma anche per i medici e per gli operatori sanitari è un’occasione unica per ascoltare e offrire una risposta alle tante domande, affrontate in modo pratico e approfondito.
Inoltre, alle sessioni giornaliere, si aggiungono delle classi virtuali di attività teatrale e di attività fisica, legate a diversi progetti e metodologie: DanceWell, metodo Feldenkrais, attività fisica con un personal trainer e Pilates, tutte in diretta internet.
Spazio all’avanguardia
Grazie al mondo digitale, Question Time sta diventando in poco tempo uno spazio terapeutico all’avanguardia, nella direzione sempre più necessaria della Telemedicina. L’iniziativa si basa sulla partecipazione diretta delle persone e dei professionisti sanitari che ogni giorno lottano contro il Parkinson, ricreando, seppur virtualmente, il senso di una vera comunità.
Se vuoi approfondire, scopri tutto su Question Time.
Con la consulenza del Prof. Giovanni Fabbrini, professore ordinario di Neurologia c/o l’Università La Sapienza di Roma, Dipartimento di Neuroscienze Umane e dirigente medico c/o il Policlinico Umberto I di Roma.
Si ringrazia il Prof. Alfredo Berardelli per la gentile concessione del materiale bibliografico: La Neurologia della Sapienza, edizione 2019, Esculapio Editore.
Link esterni
- www.msdmanuals.com;
- www.fondazionelimpe.it/osservatorio-nazionale-parkinson-alimentazione;
- La dietoterapia nella Malattia di Parkinson, Giulio Marchesini, SSD Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica “Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
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