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Ictus: cos’è, chi è a rischio, tipi, cause, sintomi, fattori di rischio, cure e prevenzione

ictus: cos'è, cause, sintomi, cure e prevenzione

L’ictus è la più frequente malattia neurologica: rappresenta il danno che si verifica nel cervello quando, improvvisamente, un vaso sanguigno si chiude oppure si rompe.

Quindi, risulta di fondamentale importanza la tempestività dei soccorsi. Come viene ribadito dagli esperti, in presenza di alterazioni anche lievi della coscienza o formicolii improvvisi, difficoltà nel muovere un arto, è bene rivolgersi al Pronto Soccorso di un ospedale che abbia una Stroke Unit.

Nell’immediato, il paziente viene trattato con farmaci che proteggono il tessuto nervoso da ulteriori danni. L’obiettivo? Salvare tutti i neuroni salvabili.

Inoltre, vengono stabilizzate le condizioni del paziente. I soggetti con ictus ischemico vengono sottoposti a procedure finalizzate alla disostruzione del vaso sanguigno occluso, mentre quelli con emorragia cerebrale a trattamenti mirati ad arrestare la fuoriuscita di sangue.

Nella stessa Stroke Unit ha inizio la prima fase della riabilitazione, che deve proseguire anche dopo le dimissioni. Infatti, la riabilitazione ha lo scopo di recuperare le funzioni perdute riattivando collegamenti neuronali non ancora irreversibilmente distrutti.

In Italia, l’ictus è la terza causa di morte e, in tutto il mondo, la prima causa di disabilità. I costi individuali e sociali di questa malattia sono estremamente rilevanti. Anche per questa ragione è importante diffondere una cultura di prevenzione, che promuova stili di vita equilibrati ed evidenzi le ripercussioni negative causate dai fattori di rischio evitabili della malattia, come il fumo, l’abuso di alcol e il diabete scompensato.

Che cos’è l’ictus

Il termine ictus deriva dal latino e significa colpo. Già nella parola, c’è uno degli aspetti principali di questa malattia, l’insorgenza improvvisa, che spiazza e non consente di attivare per tempo sistemi di protezione efficaci.

Generalmente, l’ictus si presenta senza essere annunciato da dolore o altri sintomi prodromici.

Perché può essere mortale

Le diverse funzioni cui sovrintende il nostro cervello sono concentrate in aree precise.

Ci sono zone che raggruppano i neuroni del linguaggio, altre quelli della vista, altre ancora quelli dell’equilibrio, e così via.

Quindi, un danno che si verifica in un’area causa un deficit funzionale dei neuroni preposti a quella funzione. Inoltre, una lesione molto estesa oppure che interessa neuroni che sovrintendono a funzioni vitali, come l’attività respiratoria, può essere mortale.

Perché avviene?

L’improvvisa chiusura di un vaso sanguigno cerebrale (ictus ischemico) impedisce alle cellule a valle di ricevere l’ossigeno ed i nutrienti necessari alla sopravvivenza. Questo fenomeno indica la necrosi, più o meno estesa, del tessuto e la sospensione della funzione cui i neuroni morti erano preposti.

La rottura di un vaso cerebrale (ictus emorragico) provoca la fuoriuscita di sangue, che si raccoglie a formare un ematoma all’interno del cervello (se l’ictus è intracerebrale) oppure una soffusione che avvolge il cervello (se l’emorragia è subaracnoidea, ossia si realizza fra le meningi). Il versamento comprime il tessuto circostante, danneggiando o distruggendone i neuroni.

L’ischemia cerebrale rappresenta l’85% di tutti i casi di¢ ictus.

Ictus e ischemia sono sinonimi?

Ictus e ischemia non sono sinonimi, poiché la condizione ischemica si verifica solo in un tipo di ictus, quello, appunto, ischemico: ischemia cerebrale può dunque essere un sinonimo di ictus ischemico.

Nel primo caso, quello dell’ictus ischemico, la lesione neurologica è dovuta all’impossibilità delle cellule di ricevere i nutrienti e l’ossigeno che normalmente vengono portati dal sangue. Invece, nel secondo caso, l’ictus emorragico, alla compressione causata dal sangue fuoriuscito dal vaso.

La condizione che si crea a seguito dell’evento primario scatena una serie di eventi nei neuroni che portano alla necrosi del tessuto.

Poiché i neuroni nell’adulto non possono, in linea generale, rigenerarsi, i danni prodotti dall’ictus sono per la gran parte irreversibili.

Come riconoscere l’ictus in arrivo: sintomi e cosa fare

La comparsa dell’ictus è per definizione improvvisa, solitamente non preceduta da alcun segno prodromico, se si eccettuano gli Attacchi Ischemici Transitori. Ma ci sono sintomi precoci, che subentrano nella prima fase, che, se adeguatamente e tempestivamente riconosciuti, possono salvare la vita e ridurre al minimo il numero dei neuroni perduti.

Cosa fare subito?

La perdita di forza o di sensibilità di un arto e il suo intorpidimento devono essere certamente indagati in un Pronto Soccorso attrezzato, che abbia una Stroke Unit. Un po’ controintuitivamente, è proprio la monolateralità che deve allarmare.

Anche il formicolio al viso, la difficoltà nel parlare, la sensazione di avere la bocca impastata oppure l’incapacità di articolare correttamente le parole (disartria) o di comprenderne il significato (afasia). Spesso, quando sono presenti questi sintomi, il paziente ha visibilmente la bocca storta. Questi sintomi potrebbero essere un segno di sofferenza dei neuroni del linguaggio.

Di recente il giornalista televisivo Andrea Vianello, oggi direttore di rete in Rai, ha raccontato la sua esperienza di malattia, descrivendo l’ictus che lo ha colpito, proprio nelle aree della corteccia cerebrale dedicate al linguaggio, e il percorso di recupero che ha seguito.

La riduzione della capacità visiva, soprattutto se si verifica in un solo occhio, la visione annebbiata o sdoppiata (diplopia) sono potenziali segni di sofferenza dei neuroni della corteccia visiva.

Mentre la difficoltà a mantenere l’equilibrio (atassia) e la mancanza di coordinazione possono essere segni di sofferenza dei neuroni del cervelletto. In questi casi, il paziente può avere vertigini, sentirsi spostare anche se è fermo, vedere gli oggetti muoversi attorno a sé anche se immobili.

La confusione mentale, quando subentra un ictus, può accompagnarsi ad un’alterazione dello stato di coscienza (che può evolvere, nei casi più gravi, nel coma) e, di solito, è associata a cefalea, nausea e vomito. Questi sintomi possono essere segno dell’ipertensione endocranica causata da un’emorragia.

Una cefalea improvvisa e straordinariamente intensa, estesa anche alla nuca e alla porzione cervicale della colonna vertebrale può suggerire un’emorragia subaracnoidea.

Il mal di testa è generalmente tanto forte che i pazienti raccontano non averne mai sperimentato uno simile.

Ictus ischemico: anatomia

L’ictus ischemico rappresenta l’85% di tutti i casi di ictus.

È dovuto all’ostruzione delle arterie che portano il sangue al cervello. La situazione più frequente è quella in cui l’occlusione si verifica a causa della formazione di depositi di grasso e altri detriti sulla parete interna delle arterie, le cosiddette placche ateromatose.

Condizioni di stress quali lipertensione sottopongono la parete arteriosa a sollecitazioni che possono causarne l’infiammazione e facilitare la deposizione delle placche.

Dove colpisce l’ictus?

Le arterie coinvolte sono quelle che originano dall’aorta. La più grande arteria del corpo si divide nelle due carotidi comuni, una destra e una sinistra, più o meno alla base del collo. Ognuna di queste due si divide ulteriormente in:

Dalla carotide interna ha origine, all’interno del cranio, l’arteria cerebrale media, la più importante arteria che conduce sangue al cervello. L’arteria cerebrale media irrora tutta la parte laterale dell’encefalo.

Invece, le due arterie vertebrali (destra e sinistra), che salgono parallele alla colonna vertebrale, irrorano:

Cosa succede

L’occlusione arteriosa causa sofferenza delle cellule nervose, che non ricevono più i nutrimenti e l’ossigeno necessari per la loro sopravvivenza. Questo quadro determina la necrosi delle cellule e la perdita di tessuto cerebrale.

Poiché nel mammifero adulto i neuroni perdono, per ragioni ancora non completamente chiarite, la capacità di rigenerarsi, la funzione assolta dai neuroni persi non viene ripristinata. L’esito di questo tipo di lesione è permanente.

Quanto tempo per capire le conseguenze

Nell’area circostante la necrosi, i neuroni vengono danneggiati ma non uccisi. E’ in questa sede che un intervento tempestivo può recuperarli e riattivare la loro funzione.

Spesso si sente dire, dal medico che ha soccorso un paziente colpito da ictus: “Dobbiamo aspettare per valutare le conseguenze”. La ragione è proprio nel destino, fausto o infausto, della zona d’ombra (viene definita proprio così) circostante la necrosi.

Come si verifica l’ostruzione arteriosa

L’ischemia cerebrale è causata dall’occlusione di un’arteria, che tuttavia può non avvenire localmente, nel cervello.

Quando l’ostruzione si verifica localmente a causa di un coagulo (che viene chiamato trombo) che si è formato al suo interno o per la presenza di una placca ateromatosa, si parla di trombosi cerebrale.

Invece, quando, un vaso del cervello si chiude per effetto di un coagulo partito da lontano (detto, in questo caso, embolo) si parla di embolia cerebrale.

Quali sono le conseguenze dell’ostruzione arteriosa?

Gli emboli partono più frequentemente dal cuore, dall’aorta e dalle arterie che da essa originano e che sono:

Queste ultime sono le arterie più importanti del cervello. Quindi, se ostruite possono determinare pesanti ripercussioni, quali:

Invece, un’ostruzione delle arterie vertebrali provoca un deficit di irrorazione in:

Quanti tipi di ictus ischemico conosciamo?

A seconda della causa che l’ha generato l’ictus ischemico (anche definito ischemia cerebrale) può essere classificato come trombotico, se deriva da un’occlusione trombotica di un’arteria cerebrale o embolico, se è causato da un’embolia cerebrale.

Se l’occlusione è dovuta non ad un trombo o embolo ma alla degenerazione della parete di una delle piccole arterie che nutrono la corteccia cerebrale, l’ictus è definito lacunare.

Inoltre, i fenomeni legati all’invecchiamento possono modificare la struttura di queste arterie (lipoialinosi) e innescare piccoli infarti (di diametro inferiore a 1,5 cm) che vengono definiti lacune. Sono più frequenti nelle persone anziane che soffrono di diabete o ipertensione non adeguatamente controllati.

L’infarto lacunare può danneggiare la memoria e la capacità critica, agendo come una demenza di origine vascolare.

Tipica di questi ictus anche la sindrome pseudobulbare, responsabile della camminata a piccoli passi, lenta, con tronco ricurvo e rigido che qualche volta si nota negli anziani.

In circostanze particolari, si può verificare un restringimento (stenosi) di un’arteria cerebrale, come reazione a sostanze ingerite o altre patologie, accompagnato da ipotensione. Queste condizioni possono causare un ictus emodinamico.

Ma, a seconda della causa che l’ha generato l’ictus ischemico può essere classificato come trombotico, se deriva da un’occlusione trombotica di un’arteria cerebrale o embolico, se è causato da un’embolia cerebrale.

Emorragia cerebrale

L’emorragia cerebrale è la forma più grave di ictus: può causare la morte del paziente in oltre il 50% dei casi.

L’emorragia si verifica a causa di un indebolimento della parete di un vaso, che cede sotto la pressione del sangue contenuto. Va da sé che l’ipertensione sia uno dei fattori di rischio più impattanti nel determinare il cedimento di un vaso.

Emorragia intracerebrale

Quando lo stravaso di sangue si realizza all’interno del cervello si parla di emorragia intracerebrale (o intraparenchimale). I neuroni direttamente investiti dal sangue fuoriuscito dal vaso muoiono quasi contestualmente all’emorragia, mentre quelli circostanti possono andare in sofferenza nei momenti successivi a causa della compressione generata dal versamento.

Una raccolta di sangue estesa può determinare un aumento della pressione su tutto il cervello, l’ipertensione endocranica, che, se particolarmente forte, può spingere il cervello a sporgere attraverso il forame occipitale, il foro di collegamento con il midollo spinale (erniazione cerebrale) e, dunque, a causare ulteriori gravi danni anche ai neuroni del tronco encefalico.

Sintomi

I sintomi più spesso correlati all’emorragia intracerebrale sono la cefalea intensa e improvvisa, che insorge soprattutto durante l’attività fisica, e anche:

I deficit neurologici sono improvvisi e progressivi:

La violenza di un’emorragia intracerebrale, il rischio per la vita cui è connessa sono di dominio pubblico.

Anni fa, nel 1984, un ictus emorragico in diretta televisiva mozzò il fiato agli spettatori televisivi. Enrico Berlinguer fu colpito da emorragia cerebrale durante un comizio a Padova. Morì dopo pochi giorni per le terribili conseguenze.

Emorragia subaracnoidea

Se lo stravaso di sangue si verifica nello spazio compreso fra le meningi, l’emorragia è detta subaracnoidea. La causa più frequente è la rottura di un aneurisma, ovvero il cedimento di un vaso sanguigno indebolito da una dilatazione patologica. Questa evenienza è più comune nei pazienti di età compresa fra i 40 ed i 65 anni.

La conseguenza principale della presenza di un versamento nello spazio subaracnoideo è la meningite chimica, ossia l’infiammazione delle meningi causata non da un microbo ma dal sangue stesso.

Inoltre, il quadro neurologico può evolvere nelle ore seguenti nel cosiddetto angry brain, il cervello arrabbiato, una condizione che include edema cerebrale (rigonfiamento del cervello) e rischio di restringimento patologico dei suoi vasi (vasospasmo), un fenomeno che peggiora la già critica situazione dei neuroni.

Il sintomo più evidente è la cefalea, ma possono sopraggiungere anche:

La popolare attrice statunitense Sharon Stone ha più volte ringraziato i medici che hanno saputo soccorrerla tempestivamente e correttamente quindici anni fa.

All’epoca 43enne, la Stone non credeva che i formicolii e la cefalea che lamentava da ore potessero essere dovuti ad un ictus. Fu solo grazie a cure appropriate che riuscì a recuperare le funzioni danneggiate dall’emorragia subaracnoidea (fortunatamente poco estesa) che l’aveva colpita.

Attacco ischemico transitorio (TIA)

Mentre generalmente l’ictus è un evento improvviso, in alcune circostanze viene preceduto da una serie di sintomi identici a quelli della patologia, ma che dopo qualche minuto scompaiono senza conseguenze.

Si parla, in questi casi, di attacchi ischemici transitori (TIA). I TIA devono essere indagati immediatamente e tenuti in attenta considerazione, perché possono precedere un ictus vero e proprio.

Infatti, una persona su 3 colpita da TIA ha un ictus, che in un caso su 5 insorge entro un anno.

Il TIA è per l’ictus quello che l’angina è per l’infarto, il risultato di una riduzione transitoria dell’afflusso di sangue al cervello, sufficiente a determinare la comparsa dei sintomi ma non abbastanza importante da provocare la morte dei neuroni.

Da cosa è causato l’ictus

L’ictus è causato dall‘improvvisa occlusione di un vaso sanguigno cerebrale (ad opera di un trombo) o proveniente da un’arteria del collo o dal cuore (embolia) oppure da un’emorragia che ha sede nel cervello (emorragia intracerebrale) o fra le meningi (emorragia subaracnoidea).

Le cause dell’ischemia cerebrale

La causa dell’occlusione di un vaso sanguigno del cervello può essere locale oppure nascere a distanza.

Nel primo caso, deriva dalla formazione di un coagulo (trombo) al suo interno o di una placca ateromatosa sulla sua parete e produce una trombosi cerebrale. Invece, nel secondo caso, il vaso all’interno del cervello viene raggiunto da un coagulo che si è originato dal cuore o dalle grosse arterie del collo (embolo).

Le arterie coinvolte nella produzione di emboli sono quelle che partono dall’aorta. A livello della base del collo, l’aorta forma le due carotidi comuni (una destra e una sinistra), che si dividono ulteriormente ognuna in una carotide esterna (che irrora il viso e la parte esterna della testa) ed una carotide interna (che porta il sangue alla parte anteriore del cervello).

Da ognuna delle due carotidi interne nasce, all’interno del cranio, l’arteria cerebrale media, il più importante vaso sanguigno del cervello, che ne irrora tutta la parte laterale. L’area nutrita dall’arteria cerebrale media è tanto vasta che, se l’occlusione si realizza in questa sede, le conseguenze possono comprendere la paralisi, la perdita della sensibilità o della visione da un lato del corpo e la difficoltà nell’espressione e nella comprensione verbale.

Ictus: parte destra o parte sinistra

Il lato del corpo colpito dai deficit funzionali è l’opposto di quello nel quale si è verificata l’ischemia. Se l’occlusione è a destra, rimarrà penalizzata la parte sinistra del corpo, e viceversa. La ragione è nel fatto che queste fibre nervose si incrociano nel passaggio dal cervello al midollo spinale (decussazione).

Occlusioni anche parziali di un’arteria importante come la carotide possono determinare ischemie cerebrali serie.

L’origine cardiaca degli emboli

Gli emboli possono staccarsi dal cuore per diverse ragioni.

La più frequente è la fibrillazione atriale, la forma di aritmia più comune. La fibrillazione atriale causa una contrazione anomala del cuore, favorendo il ristagno del sangue al suo interno e, di conseguenza, la formazione di coaguli.

Altre fonti possono essere la cardiopatia reumatica, gli esiti di un infarto miocardico, la presenza di malformazioni delle valvole del cuore o di protesi valvolari. Tutte condizioni che comportano un’alterazione del flusso del sangue, che aumenta il rischio di coagulazione anomala.

Occasionalmente, una frattura delle ossa lunghe può rilasciare particelle di grasso, che, trasportate dalla circolazione sanguigna, possono ostruire un vaso cerebrale.

La formazione di bolle di gas nel sangue dovuta ad una repentina risalita durante un’immersione subacquea (la cosiddetta malattia da decompressione) può essere un’ulteriore sorgente di emboli.

Le cause dell’emorragia cerebrale

L’ictus emorragico è causato dalla rottura di un vaso cerebrale a causa dell’indebolimento della parete del vaso dovuta nella maggior parte dei casi all’ipertensione.

Le arterie, soggette ad un processo di invecchiamento legato all’età che ne provoca l’assottigliamento e la perdita di elasticità, diventano meno resistenti e si rompono a seguito di sbalzi di pressione anche minimi.

Nell’anziano, i vasi che tendono a cedere sotto i colpi della pressione alterata sono le piccole arterie profonde.

Invece, nel giovane, la causa più comune di emorragia cerebrale è la rottura di un aneurisma, una dilatazione quasi sempre congenita della parete dell’arteria, che ha forma di sacco. La particolare morfologia del vaso disturba il flusso del sangue, che assume un moto vorticoso in grado di sollecitare l’arteria fino a romperla, in alcuni casi.

Nell’anziano, la deposizione di sostanza amiloide (che si verifica nell’Alzheimer) può determinare un’angiopatia che favorisce le emorragie, anche ricorrenti.

Ictus dovuto al consumo di droga

L’uso di cocaina o di amfetamine può, in certe circostanze, determinare un aumento improvviso della pressione arteriosa, tanto da portare all’emorragia cerebrale.

Le cause minori dell’ictus

Le cause meno frequenti dell’ictus interessano soprattutto il giovane.

Si tratta dei difetti congeniti della coagulazione del sangue, delle malattie reumatologiche (come l’artrite reumatoide) o di una malformazione del cuore definita pervietà del forame ovale. Nelle persone che hanno questa alterazione anatomica, in sostanza, i due atrii del cuore sono comunicanti fra loro. Il sangue assume un flusso vorticoso e disordinato, che può indurre la formazione di trombi.

Inoltre, l’assunzione della pillola anticoncezionale, in particolare nelle donne di età superiore ai 35 anni e forti fumatrici, può generare trombofilia, ovvero la tendenza ad una maggiore coagulazione del sangue.

Ma, può provocare una trombosi anche la dissecazione (alterazione della struttura della parete) delle grandi arterie che portano il sangue al cervello dovuta a:

Altre cause sono l’infiammazione vascolare secondaria a:

Inoltre, nei bambini, l’anemia falciforme è una causa comune di ictus ischemico.

Quali sono i fattori di rischio dell’ictus

Fattori non modificabili

L’incidenza dell’ictus è direttamente proporzionale alletà: bassa fino a 40-45 anni, aumenta gradualmente dopo i 50 per impennarsi oltre i 70 anni. L’età è quindi un primo fattore di rischio per l’ictus.

Il 75% dei casi di ictus riguarda le persone con più di 65 anni.

Un altro fattore non modificabile è il genere: il sesso femminile è meno colpito dall’ictus, almeno fino alla menopausa. Scomparsa l’azione protettiva esercitata dagli estrogeni, il rischio di ictus si parifica a quello maschile.  

Inoltre, la familiarità rappresenta un fattore favorente. Infine, avere già avuto un ictus aumenta la probabilità di averne un secondo.

Fattori modificabili

Se, da un lato, esistono diversi fattori sui quali non si può intervenire, se non rafforzando le misure preventive, dall’altro sono molto più numerosi gli aspetti modificabili.

Il fumo da sigaretta, l’ipertensione (per le ragioni viste), l’abuso di alcol e l’assunzione di stupefacenti riducono il livello di benessere delle arterie, predisponendo ad accidenti cerebrovascolari.

Le stime mostrano che il 40-90% delle persone che vanno incontro ad ictus erano ipertese, coscienti o meno di esserlo, prima dell’evento.

Sedentarietà e alimentazione sbilanciata

La sedentarietà e l’alimentazione sbilanciata, troppo ricca di grassi saturi e carboidrati a sfavore dei vegetali, può esporre ad un maggiore rischio di deposizione di placche ateromatose nelle arterie, che, a loro volta, possono occluderle.

Diabete e malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari e il diabete sono fattori di rischio importanti. La presenza di placche ateromatose che possono rilasciare emboli è certamente correlata al rischio di ictus.

L’aterosclerosi dei grossi vasi è la quarta causa di ictus; la fibrillazione atriale è la causa di oltre il 20% dei casi di ictus.

Disturbi della coagulazione

Anche i disturbi della coagulazione e le vasculiti, ovvero infiammazioni dei vasi sanguigni di origine principalmente autoimmune, sono fattori di rischio. Così come l’assunzione di contraccettivi orali.

Infatti, la pillola anticoncezionale è stata associata ad un aumento del rischio di ictus, che, per la verità, rimane molto basso nelle giovani donne che assumono prodotti a basso dosaggio, ma assume connotazioni più preoccupanti in quelle che prendono contraccettivi orali a dosaggio maggiore e hanno più di 35 anni.

Per quanto riguarda la terapia ormonale sostitutiva, cioè la terapia ormonale che può essere prescritta allo scopo di sostituire la fisiologica produzione di estrogeni in menopausa, è stato assodato che non ha effetto protettivo sul rischio di ictus, ma addirittura può aumentarne il rischio. Come per tutti i trattamenti farmacologici, anche in questo caso il medico deve effettuare, in accordo con la donna, un bilancio fra rischi e vantaggi.

Infine, la depressione, così come tutte le forme di stress psicosociale, è correlata ad un aumento del rischio di ictus.

Ictus: diagnosi

La diagnosi dell’ictus è clinica, ma la valutazione strumentale permette di distinguere l’ictus da malattie che hanno sintomi simili, distinguere se ischemico o emorragico, esaminarne l’estensione, istituire un trattamento di emergenza e tutte le iniziative necessarie a prevenire un secondo episodio e valutare l’eventuale riabilitazione.

La distinzione fra ischemia ed emorragia viene effettuata nell’immediato attraverso l’esecuzione di una tomografia computerizzata (TC).  In casi particolari, viene effettuata anche una risonanza magnetica.

Tomografia computerizzata negativa

Nel caso di sospetto ictus emorragico, in particolare di emorragia subaracnoidea, in caso di TC negativa viene eseguita la puntura lombare per individuare eventuali tracce di sangue fra le meningi.

Tutti i pazienti con ictus vengono sottoposti a elettrocardiogramma e altri test della funzione cardiaca: (ecocardiogramma, monitoraggio Holter, dosaggio della troponina serica) e i parametri della coagulazione per verificare le possibili cause cardiache ed ematiche dell’ictus.

Inoltre, possono anche essere eseguiti esami quali l’Ecocolor Doppler TSA e il Doppler Transcranico per valutare lo stato della circolazione sanguigna.

In generale, il paziente viene sottoposto ad una visita neurologica e clinica completa.

La glicemia viene dosata al letto del paziente (bedside glucose testing), per escludere che sia troppo bassa, caso in cui occorre somministrare farmaci specifici.

Ictus: cure

Le linee guida internazionali per il trattamento dell’ictus sono quelle congiunte stilate dall’American Heart Association e American Stroke Association.

Il trattamento di emergenza dell’ictus deve avvenire nelle cosiddette unità ictus (Stroke Unit), che sono 175 in tutta Italia, fra cui solo 53 hanno strutture per poter effettuare trattamenti endovascolari.

Il risultato è che molti dei pazienti che avrebbero l’indicazione per la trombolisi intravenosa o la trombectomia meccanica non accedono alle cure.

Il soccorso deve essere prestato tempestivamente

La precocità dei soccorsi aumenta le opportunità di cura immediata e riduce il rischio di invalidità permanente.

L’ictus bulbare. Il paziente deve essere stabilizzato nelle funzioni vitali, attraverso l’assistenza ventilatoria, se necessario. Questa procedura è fondamentale nel caso di ictus che interessano l’area bulbare del tronco encefalico.

Se necessario, viene inserito un catetere vescicale.

Se il paziente non riesce ad alimentarsi correttamente devono essere predisposte misure perché comunque riesca a nutrirsi, ad esempio cambiando la sua posizione nel letto o con la nutrizione parenterale. Queste iniziative hanno principalmente lo scopo di prevenire la polmonite ab ingestis, causata dall’inalazione accidentale di particelle di cibo.

Inoltre, per ridurre il rischio di trombosi venose profonde, il paziente in grado di muoversi deve indossare calze elastiche, che attivino la circolazione sanguigna nelle gambe, riducendo il rischio di distacco di emboli.

Terapie

Ictus ischemico

Dopo la stabilizzazione neurologica e generale delle condizioni del paziente, l’obiettivo successivo è la rivascolarizzazione, che viene effettuata con la trombolisi intrarteriosa. Disostruendo l’arteria chiusa, salva i neuroni non ancora morti, ma può essere allestita solo in pazienti selezionati ed entro tre ore dall’evento.

Per sciogliere i trombi vengono usati farmaci quali:

Nelle persone che non possono assumere anticoagulanti, perché a rischio di cadute e affette da malattie che possono causare emorragie (come l’ulcera), vengono impiegati gli antiaggreganti (solitamente acido acetilsalicilico).

Il paziente sottoposto a queste terapie deve essere attentamente monitorato.

La terapia di riperfusione acuta con labetalolo, nicardipina e clevidipina ha lo scopo di dilatare i vasi sanguigni, per ripristinare l’afflusso di sangue e contrastare la reazione di vasospasmo conseguente all’ictus.

Intanto, la funzione cardiaca e respiratoria e la pressione arteriosa vengono costantemente e scrupolosamente monitorate, per cogliere eventuali segni che indicano un rischio serio di vita per il paziente.

L’ictus con febbre

Per ridurre la temperatura corporea, che molto spesso si alza, viene somministrato un farmaco antipiretico. Invece, per alzare la glicemia bassa, viene eseguito un trattamento iperglicemizzante mentre se è alta, un farmaco ipoglicemizzante.

In presenza di crisi epilettiche scatenate dalla lesione cerebrale, vengono somministrati antiepilettici. Questa terapia non viene mai fatta a scopo preventivo.

La trombectomia meccanica

Si tratta di una procedura che prevede l’inserimento in un vaso di un dispositivo che, seguendo la circolazione del sangue e comandato dall’esterno, arriva fino al trombo e lo rimuove.

Può essere allestita solo nelle Stroke Unit.

I dispositivi più nuovi permettono di ristabilire la perfusione dal 90 al 100% dei pazienti trattati.

Cosa fare dopo: la terapia a lungo termine

Nel caso di ictus ischemico il paziente deve continuare ad assumere la terapia antiaggregante o anticoagulante anche dopo le dimissioni. Inoltre, devono essere trattate le cause dell’occlusione vascolare. Quindi, occorre ridurre la colesterolemia, con farmaci quali le statine.

Devono anche essere trattate le eventuali aritmie presenti.

Ictus: quando operare

Se il paziente ha avuto un ictus dovuto al forame ovale pervio, può essere indicata la chirurgia correttiva.

La chirurgia può essere eseguita anche nei casi in cui siano presenti stenosi delle grandi arterie che nutrono il cervello superiori a determinati limiti soglia. Per la loro rimozione vengono utilizzate tecniche di endoarteriectomia.

Ictus emorragico

L’emorragia cerebrale viene trattata con nicardipina, un farmaco antipertensivo che evita una delle conseguenze dell’ictus.

Dopo l’emorragia, il tessuto danneggiato libera molecole che hanno lo scopo di ridurre il diametro dei vasi sanguigni, per impedire una perdita massiva di sangue. Ma questo fenomeno riduce l’apporto di sangue nelle aree lese. La nicardipina dilata i vasi e consente ai neuroni di ricevere ossigeno e nutrienti.

Il paziente riceve farmaci di tipo sintomatico per alleviare lo stato di agitazione e la cefalea e una terapia di supporto che ne stabilizza le condizioni.

La chirurgia dell’ictus emorragico

Gli ematomi di grandi dimensioni devono essere drenati chirurgicamente, per evitare che generino una pressione nociva sulle aree di cervello circostanti.

Invece, non vengono operati gli ematomi cerebrali profondi, perché l’intervento ha un elevato tasso di mortalità e di deficit neurologici residui.

Come comportarsi dopo l’ictus: la riabilitazione

La riabilitazione è il complesso di abilità e funzioni coordinate messe in atto per sfruttare al massimo il recupero funzionale del paziente. Lo scopo è restituirgli una certa autonomia nelle attività quotidiane.

La riabilitazione precoce avviene direttamente nella Stroke Unit: la logica è quella di iniziare il processo riabilitativo prima possibile, per massimizzare il recupero.

Uno specialista competente elabora un piano di recupero personalizzato che si inserisce in un più generale progetto assistenziale, che definisce gli interventi riabilitativi e che coinvolge professionisti di diversi settori, compreso il medico di medicina generale.

Il paziente potenzia tutte le prestazioni utili nella sua vita quotidiana, con esercizi di difficoltà crescente che ripete anche a casa. Inoltre, viene incoraggiato a dedicarsi alla cura della sua persona.

Gli operatori sanitari che si occupano della sua riabilitazione devono ricercare eventuali segni di depressione, una delle conseguenze più frequenti dell’ictus, attraverso un’adeguata valutazione clinica.

Come prevenire l’ictus

Il paziente reduce da ictus è soggetto ad un maggiore rischio di un secondo episodio.

Quindi, deve essere attentamente monitorato anche dopo le dimissioni e sottoporsi a periodiche visite di controllo per valutare la necessità di un intervento laddove se ne presentasse la necessità.

Come evitare un ictus

La prevenzione sia primaria (ossia del primo episodio) sia secondaria (di un secondo ictus) include la rinuncia al fumo da sigaretta e il contenimento nel consumo di alcol.

La comunità scientifica è unanime nel sottolineare l’effetto preventivo dell’esercizio fisico, che mantiene:

Cosa mangiare?

Il mantenimento del peso forma deve essere uno degli obiettivi principali del paziente a rischio.

Per raggiungerlo e mantenerlo occorre un’alimentazione bilanciata, povera di grassi saturi (quelli di origine animale) e carboidrati e ricca di vegetali. Frutta e verdura contengono significative quantità di antiossidanti, molecole che aiutano i tessuti a rallentare i processi di invecchiamento.

Importante anche il ruolo del pesce, in particolare sgombro, tonno e salmone, ricchi di acidi grassi essenziali della linea omega-3, anch’essi caratterizzati da una spiccata azione antiossidante.

L’ipertensione e il diabete devono essere adeguatamente controllati, perché rappresentano un pericolo per le arterie.

Eventuali aneurismi arteriosi devono essere monitorati nel tempo. I pazienti con fibrillazione atriale di età superiore ai 65 anni o che hanno già avuto un ictus vengono generalmente messi in terapia con anticoagulanti. Agli altri sono consigliati gli antiaggreganti.

Le raccomandazioni dei cardiologi sono di limitare l’assunzione di sale da cucina a meno di 5 grammi al giorno. Questo obiettivo richiede di evitare i cibi ad alto contenuto di sale come salumi e formaggi stagionati.

Ictus: chi colpisce


In Italia, rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie (la seconda nel mondo, dopo le malattie cardiovascolari). Come in tutto il mondo, anche nel nostro Paese è la prima causa di disabilità e la seconda di demenza con perdita di autosufficienza.

Quante persone vengono colpite dallo stroke


Nel mondo, ogni anno 15 milioni di persone sono colpite da ictus; di queste, 6 milioni muoiono.

Nel nostro Paese, sono 200.000 i casi di ictus annuali, suddivisi in 150.000 nuovi casi e circa 50.000 recidive di ictus in persone che già lo avevano avuto.

Si stima che ogni medico di medicina generale assista ogni anno almeno 4-7 pazienti reduci dal primo ictus e segua almeno 20 soggetti in riabilitazione. Fra i sopravvissuti, un terzo circa ha un grado di invalidità elevato, incompatibile con l’autonomia. Mentre, un altro terzo ha una disabilità lieve o moderata e il restante terzo recupera l’autonomia.

La riabilitazione è un percorso lungo e complesso, che legittima i due terzi della spesa sanitaria connessa all’ictus.

Chi è a rischio

L’incidenza di ictus aumenta in maniera proporzionale all’età della popolazione. Infatti, rimane bassa fino a 40-45 anni, per poi aumentare gradualmente e impennarsi dopo i 70.

Tuttavia, sono 10.000 all’anno i casi di ictus giovanile, ovvero che riguarda soggetti di età inferiore ai 45-50 anni.

Le statistiche dicono che il 10-20% delle persone colpite dal primo ictus muore entro un mese ed un altro 10% entro il primo anno.

Gli uomini sono, in generale, più colpiti delle donne, che, almeno fino alla menopausa, godono della protezione cardiovascolare generata dall’azione degli estrogeni. Ma, con la cessazione della produzione di questi ormoni, il rischio delle donne raggiunge quello degli uomini.

Ictus nella storia

I sintomi di quello che appare a tutti gli effetti un ictus sono stati descritti in molti testi antichi, che risalgono al secondo millennio a.C.

Ippocrate, uno dei più grandi medici dell’antichità e fondatore della stessa professione medica (ancora oggi la laurea in medicina viene proclamata con il suo Giuramento), fu il primo a descrivere in maniera strutturata l’ictus. Ne scrisse come della causa della paralisi improvvisa, utilizzando il termine apoplessia, espressione che dal greco significa colpito con violenza. Un termine usato come sinonimo di ictus fino a qualche anno fa.

Definizione di stroke

Dal 1600, la malattia è stata definita in lingua inglese stroke, un vocabolo che ha lo stesso significato di apoplessia.

Inoltre, negli anni ’30, è stata introdotta l’espressione accidente cerebrovascolare. Questa terminologia è importante, perché segnala un passo avanti nella comprensione dei meccanismi vascolari alla base della malattia.

Ictus emorragico o ischemico

Nel trattato Historiae apoplecticorum, il farmacologo svizzero Johann Jacob Wepfer, nel Seicento, approfondì le cause ed i meccanismi dell’emorragia cerebrale. Wepfer si basò sugli studi condotti in sede autoptica.

Nello stesso periodo storico, sono stati descritti in maniera rudimentale i percorsi dei vasi sanguigni che nutrono il cervello. Fu proprio Wepfer a intuire l’origine occlusiva di questi vasi nell’ictus ischemico.

Infine, al patologo Rudolph Virchow dobbiamo la descrizione della patogenesi della tromboembolia, che egli stesso seppe ricollegare all’ictus.

Fonti
  1. 2018 Guidelines for the early management of patients with acute ischemic stroke – AHA/ASA
  2. Linea guida diagnostico-terapeutica e assistenziale dell’ictus cerebrale – Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda.
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